Un decennio di orrore, di stragi di civili, di crimini contro l’umanità. Una guerra senza quartieri, miliziani stupratori e tagliagole, un “macellaio” di nome Bashar al-Assad, ancora al potere, sostenuto militarmente dai russi, dagli iraniani, dagli hezbollah libanesi e un paese dimenticato dall’Europa e dalla politica internazionale.
Riflettere sulla Siria è scavare nella storia contemporanea degli ultimi anni, facendo emergere la vergogna internazionale e la strage di milioni di famiglie, donne e bambini. L’organizzazione di volontariato We Are continua a porre l’attenzione sull’attualità della Siria e sulle origini di questa catastrofe umanitaria di cui l’associazione si occupa da anni. L’occasione è l’organizzazione di un evento online con autorevoli relatori.
Ai lavori online hanno partecipato Amedeo Ricucci, giornalista della Rai, Giulio Terzi, ambasciatore e già Ministro degli Esteri, i volontari e attivisti di We Are Enrico Vandini, Lorella Morandi e Gabriella Tonoli. I bambini e le famiglie in Siria hanno sofferto tanto negli ultimi anni e questa sofferenza sembra non accennare a finire. Almeno 4,7 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. La povertà sempre più diffusa, la mancanza di riscaldamento e i crescenti prezzi del cibo stanno costringendo i bambini a lasciare la scuola per lavorare.
Ogni settimana, la diffusione della pandemia sta rendendo alle famiglie sempre più difficile sopravvivere e garantire un’istruzione di base ai bambini. L’Unicef continua a lavorare senza sosta per fornire aiuto, elencando dati e report tragici. Le organizzazioni umanitarie necessitano di fondi, di un migliore accesso ai luoghi e di maggior sostegno internazionale.
“La violenza in Siria deve finire”, ribadisce Enrico Vandini. “Siamo andati nei campi profughi a ridosso della Turchia per vedere con i nostri occhi, per capire come vivevano i bambini vittime di questo conflitto. Quando siamo tornati a casa, abbiamo capito che questo viaggio ci aveva e ci avrebbe cambiati per sempre”, rimarca Enrico Vandini nel descrivere la nascita di We Are.
Durante i lavori online, l’associazione bolognese ha richiamato l’attenzione degli ascoltatori sugli ultimi progetti in corso. “Nel corso dell’anno nell’ambulatorio da noi creato nella cittadina turca di Kilis, in collaborazione con la fondazione turco-siriana Fatih Sultan Dernegi, personale specializzato in psicologia ha effettuato un totale di 827 sedute di cui 365 dedicate ai bambini e 240 agli adulti (individuali e di gruppo) oltre a 17 incontri in cui si sono fatte ripetizioni scolastiche ai fanciulli che ne avevano particolare bisogno. Credo che si possa tranquillamente sostenere che si tratta di un ottimo lavoro che però non si fermerà: come stabilito all’inizio della ideazione di questo progetto si è deciso che lo stesso dovesse avere durata biennale per cui già da gennaio si è ripartiti. Come già ricordato in fase di rendicontazione semestrale molte delle ore sono state impiegate nella spiegazione della pandemia in corso e soprattutto sui modi per cercare di difendersi dalla stessa e questo percorso è stato a beneficio sia dei bambini che degli adulti”, hanno ribadito i volontari dell’organizzazione bolognese.
Come è noto a tutti, la pandemia tuttora in corso ha limitato in maniera drastica la possibilità di organizzare serate ed eventi benefici a sostegno di questo e di altri progetti ma i volontari e attivisti di We Are sono comunque riusciti a dare copertura a tutti i progetti avviati aggiungendone qualcuno di nuovo a seconda delle emergenze che sono state segnalate e riuscendo a sostenere le spese per sette spedizioni di beni di prima necessità inviati anche nell’isola greca di Lesbo.
I volontari hanno effettuato richieste di sostentamento ad istituzioni, fondazioni e grandi aziende italiane anche se a pandemia ancora in corso non è facile ottenere fondi. L’aiuto di tutti è determinante e sostenere We Are è particolarmente importante per il futuro dei bambini e delle famiglie siriane. I relatori di eccezione, Amedeo Ricucci e Giulio Terzi hanno ricordato che ciò che viviamo in Siria è l’attività di una propaganda di regime che è riuscita ad avvelenare i canali dell’informazione al punto da mettere in dubbio l’autenticità del lavoro di Caesar la cui mostra fotografica è stata esposta dalle più importanti istituzioni internazionali. Le foto del fotografo siriano si riferiscono in parte al periodo in cui le manifestazioni pacifiche del 2011 sfociavano in brutali arresti, torture ed esecuzioni indiscriminate di quanti si opponevano al regime. La Siria non deve cadere nel dimenticatoio dell’informazione nazionale e internazionale e ciò che continua ad accadere nel Paese appare semplicemente come vergogna umanitaria.