Una nuova piattaforma per incontrarsi come avatar e interagire con oggetti virtuali. Un modello olografico a tutti gli effetti con “oloportazione”, con tecnologia 3D per inviare un’immagine realistica di una persona nel mondo virtuale
Il detto: “bisogna fare di necessità virtù” lo abbiamo interpretato alla lettera perché, nonostante la pandemia ci abbia colti di sorpresa, la nostra capacità di resilienza ci permetterà di rinascere e reinventarci. Almeno questo è quello che speriamo ardentemente. Ma qualche segnale già c’è.
Più volte intervenendo in incontri pubblici, rigorosamente on line, o con contributi scritti, ho parlato e scritto di come il Covid-19 ha solo velocizzato processi già compiuti da molto tempo. Ho ipotizzato che le riunioni in futuro ci saranno, ma verranno favoriti gli incontri sulle piattaforme online. Lo stesso Bill Gates ha ammonito che la nostra vita post pandemia sarà diversa con minore socialità e maggiore uso delle tecnologie.
Abbiamo assistito tutti al grande successo dei colossi della comunicazione a distanza come ad esempio: Skype, Meet e Zoom. Inoltre, abbiamo scoperto l’importanza delle videochiamate attraverso Whatsapp, Msn, le stanze di Facebook e molte altre app che hanno aiutato le persone a sentirsi più vicine. Compresa l’ultima esperienza di Clubhouse che ci permette di stare a conversare in stanze, senza mostrare immagini o foto.
Il New York Times, il quotidiano statunitense, in un articolo di David Leonhardt, ha cercato di descrivere come potrebbe essere il nostro futuro. Certo, non potevamo immaginare quello che Microsoft aveva in serbo per noi: Microsoft Mesh. Una novità interessante da scoprire e da raccontare.
Microsoft ha presentato Mesh, così come ci ha spiegato il giornalista Dario d’Elia in un articolo sul Corriere della Sera, come una nuova piattaforma che permette alle persone di incontrarsi come avatar, offrendo loro la possibilità di teletrasportarsi e interagire con oggetti virtuali. Insomma, un modello olografico a tutti gli effetti con “oloportazione”, l’uso della tecnologia di acquisizione 3D per inviare un’immagine realistica di una persona nel mondo virtuale.
Lo confesso tra “il serio e il faceto” ho ripensato ad una serie animata americana Jem (Jem and the Holograms), prodotta da una collaborazione fra la Hasbro e la Sunbow e trasmessa in America tra l’ottobre 1985 e il maggio 1988, diventata poi amatissima dalle bambine italiane nel 1987. A pensarci bene furono tante le serie animate che, negli anni ’80, avevano come tema il teletrasporto e chi lo avrebbe mai detto che nel 2021 sarebbe diventato quasi realtà.
Una descrizione perfetta ci viene fornita da Alex Kipman, Technical e Fellow di Microsoft: “Questo è stato il sogno della realtà mista, l’idea fin dall’inizio. Puoi davvero sentirti come se fossi nello stesso posto con qualcuno che condivide contenuti o puoi teletrasportarti da diversi dispositivi di realtà mista ed essere presente con le persone anche quando non sei fisicamente insieme”.
Mesh sarà disponibile su dispositivi come HoloLens 2, altri visori VR, tablet, smartphone e PC. Il 2 marzo è stata rilasciata in una versione di anteprima per HoloLens 2, insieme alla preview di AltspaceVR. In futuro, Microsoft potrebbe integrare Mesh in Teams e Dynamics 365 per trasformare completamente le videoconferenze e riunioni digitali.
Satya Nadella, CEO di Microsoft, ha dichiarato: “Pensa a cosa ha fatto Xbox Live per i giochi: siamo passati dal single player al multiplayer, creando comunità che aiutassero le persone a connettersi e raggiungere risultati insieme. Ora immagina se la stessa cosa accadesse con la realtà mista”.
Mesh sembrerebbe proiettato verso il futuro della realtà mista. La gente che si trova in altri continenti potrà provare a vivere questi incontri a distanza, organizzare riunioni, progettare e condividere esperienze. Naturalmente, proiettandosi nello spazio virtuale attraverso il proprio avatar o con avatar costruiti “ad hoc” per l’occasione. Il mondo dell’architettura, della medicina e dell’ingegneria potrebbe essere coinvolto in questa nuova prospettiva.
“Architetti e ingegneri potrebbero camminare fisicamente attraverso un modello olografico del pavimento di una fabbrica in costruzione, vedendo come tutti i pezzi dell’attrezzatura si incastrano in tre dimensioni, evitando potenzialmente costosi errori”, sostiene Microsoft. Lo stesso potrebbe valere per gli studenti di ingegneria o di medicina che potrebbero “riunirsi come avatar attorno a un modello olografico e rimuovere parti del motore o staccare i muscoli della schiena per vedere cosa c’è sotto”.
Sono convinto che i progressi della tecnologia non vadano arrestati, ma nutro un profondo timore che è quello del graduale isolamento degli uomini. Il grande sociologo Zygmunt Bauman diceva che siamo iperconnessi, ma sempre più soli. Principio estremamente vero.
La società, ed in particolare il mondo del lavoro, ha intrapreso lo smart working e questo sta cancellando momenti importanti delle relazioni sociali. A me quello che manca maggiormente, da quando anche io lavoro da casa, è lo scambio di opinioni nella vita reale, un abbraccio tra colleghi nei momenti di difficoltà, un caffè in compagnia, la pausa pranzo insieme e la possibilità di vivere attimi irripetibili.
Oggi, apprezzo tutti quei momenti a cui prima non davo importanza e a cui ero abituato, perché tanto facevano parte della quotidianità e non pensavo di esserne privato.
L’aspetto legato alla solitudine da smart working è visibile anche nelle nuove generazioni, costrette da quasi un anno alla DAD (didattica a distanza). Ho studiato il fenomeno nel mio ultimo libro “Figli delle App”, edito da Franco Angeli e in tutte le librerie dall’8 marzo 2021. Il terzo capitolo è infatti interamente dedicato ai risultati della survey online “La mia vita ai tempi del Covid”. Condotta nel periodo aprile – maggio 2020, ha coinvolto in totale 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori che hanno risposto ad un questionario online composto da diciassette domande. Uno dei dati emersi riguarda il senso di solitudine e paura che i giovani hanno provato durante i mesi del primo lockdown. E poi la tendenza ad isolarsi rispetto all’ambiente familiare, una sorta di dipendenza dal gruppo, mentre il contesto familiare sembra rivelare crescenti debolezze e fragilità che alimentano le barriere e la mancanza di dialogo.
Ecco, questo credo sia il problema del lavoro a distanza la perdita di quella socialità che è parte integrante per gli uomini. Stiamo diventando bravi a teletrasportarci quasi come i personaggi di Star Trek, serie televisiva ideata da Gene Roddenberry e divenuta in seguito tra le più popolari nella storia della televisione, ma chi ci restituirà il tempo che non abbiamo potuto passare con i nostri affetti più cari? Speriamo di non immedesimarci troppo con la frase: “Spazio, ultima frontiera..Questi sono i viaggi della nave stellare Enterprise” per non dimenticare quello che è davvero importante: il calore di un abbraccio, la forza di un bacio e la bellezza di guardarsi negli occhi, quelli veri, non teletrasportati!!!