Nei giorni scorsi, in molti sono rimasti sorpresi dalla notizia che l’Economist ha definito l’Italia “miglior paese al mondo”. Merito, secondo la rivista, della gestione del nuovo premier Mario Draghi, definito “un premier competente e rispettato a livello internazionale”. Di fronte al quale “un’ampia maggioranza dei politici ha seppellito le proprie divergenze per sostenere un programma di profonda riforma che dovrebbe significare che l’Italia ottiene i fondi a cui ha diritto nell’ambito del piano di ripresa post pandemia dell’Ue”, si legge nell’articolo. Ma se così è, perché ricorrere alla fiducia per l’approvazione della manovra finanziaria appena presentata in Parlamento (dove il governo è sostenuto da una ampia maggioranza)?
Per un giornale che ha lodato Draghi e l’Italia, altri hanno espresso giudizi diversi (ma di loro, stranamente, non ha parlato quasi nessuno) sul Bel Paese. Secondo il Centre for Economics and Business Research sull’andamento dell’economia globale nei prossimi anni, l’Italia potrebbe addirittura finire fuori dal gruppo dei G10, le 10 maggiori economie del pianeta in base al PIL, il Prodotto Interno Lordo, la misura standard utilizzata per stimare le performance dell’economia di un paese. In questo momento, secondo le stime della World Economic League, l’Italia si trova all’ottava posizione della graduatoria guidata stabilmente dagli USA (inseguiti dalla Cina), preceduta dalla Francia e seguita dal Canada e dalla Corea del Sud.
Il PIL, che stima il valore totale dei beni finiti e dei servizi di un paese prodotti all’interno dei loro confini in un determinato periodo di tempo, cambia continuamente. Ma è difficile rilevare cambiamenti rilevanti, da un anno all’altro, tra i paesi al vertice della classifica. A meno che non intervengano eventi eccezionali come la pandemia (e il modo di gestirla da parte dei governi dei vari paesi).
Le stime per l’Italia pubblicate dalla Banca Mondiale sono tutt’altro che rosee: i dati dei primi dieci paesi per PIL nominale e soprattutto del PIL corretto PPA, mostrano per il nostro paese un calo dell’8,9%. Peggio dell’Italia avrebbe fatto solo il Regno Unito (9,7%).
Ben diversa, invece, la performance degli altri paesi del G10: negli USA, il PIL corretto PPA è diminuito “solo” del 3,6%, Giappone e Germania hanno entrambi limitato i “danni” ad un -4,6%. La Cina, invece, sarebbe riuscita ad ottenere un indice positivo e una crescita del PIL del 2,3%.
In parole povere, questo significa che, in un solo anno, a parità di tutti gli altri fattori il confronto dell’Italia (e del Regno Unito) con gli altri paesi del G10 è peggiorato considerevolmente.
Di fronte a questi dati non sorprende scoprire che, secondo le stime dei ricercatori, nel giro di pochi anni, l’Italia potrebbe addirittura non fare più parte di questa top ten dei paesi del mondo per PIL: finirebbe al 13esimo posto. Parzialmente responsabile di questa “performance” negativa, secondo gli economisti, l’inflazione che se da un lato fa crescere (sulla carta) il PIL, dall’altro impoverisce il potere d’acquisto. Sotto questo profilo gli esperti prevedono che la situazione potrebbe peggiorare già nel 2022: in Italia, l’inflazione è nettamente superiore a quella ufficiale. Un problema non facilmente risolvibile nel giro di pochi mesi.
A questo si aggiunge un altro aspetto che i giornalisti dell’Economist che hanno lodato l’Italia non hanno considerato. Dei 191,5 miliardi di Euro contenuti nel PNRR, solo una parte sono “a fondo perduto”, ovvero non devono essere restituiti. La maggior parte (parliamo di oltre cento miliardi di euro, una somma pari quasi a quattro manovre finanziarie!) sono prestiti che, nei prossimi anni, l’Italia dovrà restituire. Ma, per farlo, dovrà indebitarsi ed emettere titoli di stato. E questo non potrà non avere effetti negativi sulle performance finanziarie dei prossimi anni. Una situazione che rende difficile pensare all’Italia come al “miglior paese del mondo”.