Solo pochi giorni fa, per la Giornata Mondiale contro la desertificazione e la siccità, WWF e Legambiente hanno lanciano l’ennesimo appello parlando di una situazione allarmante: “Niente neve sulle Alpi, il Lago Maggiore è ai minimi storici del periodo, il Po è colpito da una siccità gravissima mentre in alcune regioni del sud le reti idriche portano ad una dispersione d’acqua del 60% o 70%. Il 17 di giugno non siamo ancora in piena estate, secondo il calendario delle stagioni, ma già soffriamo uno dei livelli di siccità più alti mai registrati”. “Acqua sempre più rischio a causa della crisi climatica. Le immagini di questi mesi dei fiumi in secca, la richiesta di razionamento acqua in 125 comuni italiani, e il possibile stato di emergenza per alcune regioni, è un grave segnale d’allarme”.
In realtà si tratta del solito pianto sul latte versato (o sull’acqua che non c’è più). Di crisi idrica (così come delle conseguenze dei cambiamenti climatici, ma non solo) si parla da decenni. Nel mondo e in Italia. Ma nessuno ha voluto fare niente di concreto.
Lo scorso anno, un rapporto di Legambiente dal titolo “Il Clima è già cambiato” parlò di “rischio desertificazione in intere regioni come Sicilia, Abruzzo e Molise” con i bacini idrici siciliani che avevano 78 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto all’anno precedente (dati Dipartimento regionale Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia), il livello più basso del decennio (ma queste regioni non sono il Piemonte o la Lombardia, quindi…).
Ma anche questo non era una novità. Secondo il centro Emdat che conduce ricerche sugli eventi estremi, negli ultimi 25 anni, l’Italia è stata colpita da almeno 4 principali eventi legati alla siccità (rispettivamente nel 1997, 2002, 2012, 2017). Eventi che hanno causato danni per oltre 5 miliardi di dollari (5.297.496.000, per il 48% dovuti alla crisi idrica del 2017). La situazione peggiore in Sicilia, dove è a rischio di desertificazione il 70% del territorio, come sottolinea l’associazione dei Consorzi di bonifica (Anbi).
Problemi noti e risaputi ai quali se ne aggiunge un altro (non meno noto): spesso la poca acqua che c’è viene sprecata. I dati pubblicati dall’Ispra (e riferiti al 2015) dicono che, in Sicilia (ma in Italia c’è chi è ancora peggio), metà dell’acqua potabile viene dispersa prima di arrivare al rubinetto. A causa di una rete idrica colabrodo le cui condizioni peggiorano anno dopo anno (il dato mostra un peggioramento rispetto a quello precedente, del 2012). A livello nazionale, le perdite idriche reali di acqua potabile, ottenute come differenza tra le perdite totali e quelle apparenti, secondo l’Istat, ammontano a 3,2 miliardi di metri cubi, circa 100 mila litri al secondo, a 144 litri al giorno per abitante!
Parlare, oggi, di siccità o di bacini idrici che si svuotano significa ammettere di non aver fatto niente per anni, anzi per decenni. La perdita nell’ultimo periodo sarebbe bastata a soddisfare “le esigenze idriche per un intero anno di circa 40 milioni di persone”, secondo l’Istat. Ma nessuno se ne è curato.
Ci si pensa solo ora che si “sentono” gli effetti della siccità. Secondo il WWF: “L’Italia e il Mediterraneo sono una delle aree nel mondo più sensibili alle variazioni climatiche, un hotspot a livello mondiale. È estremamente urgente abbattere le emissioni di gas serra, abbandonando una volta per tutte i combustibili fossili, e rivedere tutte le concessioni idriche (agricole, industriali, civili) riducendole in funzione delle effettive disponibilità d’acqua. Quando non è gestita e prevista adeguatamente, la siccità è uno dei motori della desertificazione e del degrado del territorio, nonché una tra le cause di aumento di fragilità degli ecosistemi e di instabilità sociale. La dimensione degli impatti connessi alla siccità dipende anche dalla vulnerabilità dei settori più esposti, tra cui l’agricoltura, la produzione di energia (non solo quella idroelettrica, ma anche le centrali termoelettriche che usano l’acqua dolce) l’industria, l’approvvigionamento idrico per le abitazioni, gli ecosistemi”.
Un problema noto e che non riguarda solo l’Italia. I dati della Commissione europea parlano di gravi conseguenze per le persone che vivono in aree considerate sotto stress idrico per almeno un mese all’anno che potrebbero passare dai 52 milioni (11% della popolazione europea) a 65 milioni. Inutile dire che la maggior parte di queste persone vive nei paesi dell’Europa meridionale, tra cui Spagna (22milioni; 50% della popolazione nazionale), Italia (15 milioni; 26%), Grecia (5,4 milioni; 49%) e Portogallo (3,9milioni; 41%). Nel Mediterraneo il periodo di stress idrico può superare i 5 mesi e durante l’estate, lo sfruttamento dell’acqua può avvicinarsi al 100%.
L’acqua è il vero problema di pietra della crisi climatica. Se la siccità rischia di diventare una piaga costante in Europa Meridionale, in particolare nei Paesi del Mediterraneo, nel mondo la preoccupazione per questo fenomeno è altrettanto alta. E anche lì (non) se ne parla da anni. Eppure i fenomeni che dimostravano che qualcosa stava peggiorando erano molti. Secondo le stime, i raccolti più bassi della siccità del “Giorno Zero” causarono perdite per circa 400 milioni di dollari, oltre a decine di migliaia di posti di lavoro e un numero incalcolabile di vite umane.
A Cape Town di Zero Day si era già parlato anni prima, nel 2018, quando le autorità si erano rese conto che la fornitura di acqua municipale non sarebbe stata sufficiente a soddisfare la domanda. Vennero adottate misure straordinarie. Vennero aperti i collegamenti a nuovi bacini, aperti impianti di desalinizzazione (Monwabisi, Strandfontein, V&A Waterfront e Cape Town Harbour) e di riciclaggio (Zandvliet). Ma soprattutto venne razionata l’acqua potabile: ai cittadini fu consentito di raccogliere una quantità di acqua potabile non superiore a circa 200 litri per persona al giorno. Nel 2020, dopo la crisi chiamata Zero Day in Sud Africa, alcuni ricercatori condussero analisi in zone del pianeta con climi simili (tra cui la California, l’Australia meridionale, l’Europa meridionale e parti del Sud America).
Il risultato non lasciò dubbi: “Analisi come questa dovrebbero essere condotte per una gestione approfondita del rischio idrico”, disse la co-autrice Sarah Kapnick, ricercatrice fisica e vice capo divisione presso il Laboratorio di fluidodinamica geofisica del NOAA. “Dato il drammatico cambiamento nel rischio di siccità pluriennale, questo lavoro serve anche come esempio per altre regioni per esplorare i loro mutevoli rischi di siccità”, ha detto Kapnick. “I rischi emergenti di siccità potrebbero non essere sul radar dei manager di altre regioni del mondo che non hanno sperimentato un recente raro evento di siccità”. Le siccità meteorologiche, o deficit di precipitazioni, come quella che ha colpito Città del Capo, hanno un elevato impatto sociale ed economico. Queste misure non furono sufficienti a risolvere il problema. Ma soprattutto non bastarono a far comprendere ai tutti i governi del pianeta che l’acqua (e in particolare l’acqua potabile) è un bene prezioso e come tale va tutelato e protetto evitando sprechi e perdite inutili e cambiamenti climatici che causano siccità e desertificazione.
Nessuno finora ha fatto niente di concreto. Nessuno a preso decisioni serie. La prova? Ancora oggi l’Italia (leggasi “i contribuenti”) paga 165mila euro al giorno per il mancato rispetto delle direttive europee sulla depurazione (e eventuale riutilizzo) delle acque. “Una sanzione economica elevata contro l’Italia per la mancata depurazione delle acque vale 60 milioni di euro l’anno – ha dichiarato Maurizio Giugni, Commissario unico per la depurazione – Una cifra alta, ma secondaria rispetto al dato ambientale. Sei milioni di persone oggi scaricano i reflui a mare, con un danno per l’ambiente enorme, concentrato nelle Regioni del Mezzogiorno”. Una situazione che a breve potrebbe peggiorare ulteriormente. Non per le condizioni climatiche e la siccità, ma perché alle tre istruttorie già passate in giudicato se ne potrebbe aggiungere un’altra, ancora è in fase d’istruttoria.
Un quadro disastroso: il Commissario parla di basse qualità progettuali e lungaggini burocratiche per “proteggere il paesaggio” mentre tonnellate di liquami si riversano in mare senza depurazione. “Il livello progettuale in Italia è basso: non a caso la struttura commissariale ha dovuto rivedere quasi tutte le progettazioni disponibili. A questa carenza si unisce una scarsa conoscenza del costruito da parte degli Enti Locali e una scadente manutenzione di reti e impianti. L’altro scoglio sono le tempistiche autorizzative”. E mentre il nostro governo fa gite in treno in Ucraina per parlare di altre armi da regalare ad un paese in guerra (in violazione dell’art. 11 della Costituzione?) e si concentra sulla messa al bando delle auto non esclusivamente elettriche (per fare i bravi con il New Green Deal della Von del Leyern), gli italiani, anche quelli che vivono nelle regioni settentrionali, cominciano a capire cosa vuol dire mancanza d’acqua potabile.
Cosa significa aprire il rubinetto di casa e non vedere uscire niente.