Carissimi giovani che in questi giorni state vivendo l’entusiasmante mobilitazione per il futuro del Pianeta a Glasgow, ho deciso di scrivervi questa lettera aperta per manifestare la mia vicinanza alla costanza e all’incisività del vostro movimento nel pretendere la svolta climatica che il mondo aspetta ormai da decenni.
A tutte le giovani generazioni è toccato e toccherà sempre di lottare per il cambiamento e la vostra iniziativa è in questo momento forse l’unica che sta scuotendo un mondo giovanile che sembrava ormai destinato ad invecchiare sui social, considerando la politica un’attività deludente e priva di emozioni.
Senza andare troppo lontano nel tempo vorrei ricordare i giovani che si sacrificarono nel XIX secolo per i risorgimenti nazionali, coloro che combatterono contro i fascismi e il comunismo, altri che dedicarono il proprio impegno contro la minaccia nucleare, altri ancora che negli Stati Uniti anni degli anni cinquanta del XX secolo denunciarono le contraddizioni della società borghese occidentale dando vita alla beat generation, origine della grande contestazione partita poi dalla Francia nel 1968 e estesa a larga parte del mondo, incidendo profondamente su culture, ideali, costumi e linguaggi e durante la quale chi scrive trascorse anni indimenticabili e fecondi.
Da ultimo, la frontiera è quella dell’impegno per il rispetto dei diritti umani e la lotta per riconoscere a ciascuna persona la possibilità di essere cittadina del mondo e non solo del luogo dove casualmente si è trovata a nascere. Molti vostri coetanei sono in prima linea nelle ONG ed a bordo di tante navi che senza sosta percorrono le rotte più a rischio di naufragi o fanno ciò che possono per aiutare le infinite schiere di migranti che attraverso i Balcani cercando di raggiungere un’Europa non sempre all’altezza dei principi di civiltà che in essa sono sorti secoli fa.
Per natura tocca ai giovani “rompere” con il passato ed immaginare un mondo nuovo evocando quell’”immaginazione al potere” che fu lo slogan dei vostri genitori. Stavolta la sfida è globale, non conosce limiti geografici né culturali poiché è in ballo l’unico pianeta su cui viviamo e che per i prossimi secoli non avrà alcuna alternativa per la maggior parte dei suoi abitanti; l’analisi degli effetti del cambiamento climatico non riguarda stavolta contesti esclusivi ed elitari di accademici o sociologi ma è ormai “carne viva” per quanti vedono distrutti dalla sacrosanta ribellione della Terra i risultati di vite di impegno volte a costruire città, a coltivare campagne, a migliorare la salute dei giovani nutrendoli con quelle proteine animali che ne hanno innalzato nel volgere di un secolo statura ed intelligenza media, a generare quel progresso che, spesso inconsapevolmente per i più, è diventato ora la causa dell’attuale profondissima emergenza.
Il vostro spietato rimprovero ai grandi decisori politici o religiosi del mondo di non sapere o volere andare oltre quello che avete definito essere uno stanco “bla, bla, bla” è uno schiaffo potente alle ragioni della real politik ed interessi economici di una grandezza inimmaginabile che vi ruotano intorno e che, statene certi, cercheranno in ogni modo di contrastarvi cercando di ridurvi alla marginalità e al silenzio, quando non alla clandestinità. E’ accaduto in passato e potrebbe accadere di nuovo, dal momento che la natura umana cambia con estrema lentezza e rimane ancora prigioniera dell’avidità e dell’egoismo.
Occorre pertanto che prestiate attenzione ad alcune considerazioni che in questo articolo della domenica propongo anche a voi, quale platea più ampia di quella che solitamente legge i miei scritti.
Il rischio più grave che dovete evitare è di essere accusati di “velleitarismo” cioè di pretendere ciò che obiettivamente è impossibile fare nel giro di pochi mesi o anni. Il mondo che conosciamo, almeno in Occidente si è costruito su quei presupposti che dai vostri detrattori vengono presentati come minacciati e liquidati con l’espressione sarcastica “decrescita felice”: l’emancipazione delle popolazioni rurali, l’istruzione, i trasporti rapidi e a basso costo, la liberazione della donna, la digitalizzazione che permette di ridurre distanze e differenze favorendo l’inclusione dei meno fortunati e in alcuni Paesi più avanzati, compresa la Svezia di Greta Thunberg che oggi vi rappresenta, un livello di vita tra i più alti che il mondo abbia mai conosciuto e che non può essere arrestato con un clic.
Al pari di quanto accadde con l’invenzione della macchina a vapore che diede un colpo decisivo alla schiavitù secolare del lavoro manuale e aprì la strada al concetto di “energia” le forme del progresso si sono nutrite di fonti non rinnovabili, nell’errato convincimento sino a pochi anni fa, della loro inesauribilità e in alcune parti del mondo ciò ha fatto rifiorire deserti come nella Penisola arabica o in Israele e sottrarre al mare, come in Olanda, ampie porzioni di terre abitabili e coltivabili. L’anima di questo spinta in avanti è stata il petrolio e, in alcune nazioni, l’energia nucleare resa disponibile e relativamente sicura pur tra mille polemiche e contrasti dovute al problema dello smaltimento delle scorie.
A questa spinta oggi, oltre la metà della popolazione mondiale che tra Cina e India ed i paesi africani in via di sviluppo ascende almeno 4 miliardi di persone le quali chiedono di raggiungere almeno in parte il benessere dei restanti abitanti del Pianeta, anche a costo di subire periodicamente gli effetti del cambiamento climatico. Sono popoli talmente abituati a soffrire per centinaia di motivi, che in alcun modo rinuncerebbero nell’immediato al proprio diritto allo sviluppo. Fino a quando anche essi non saranno al vostro fianco, i loro governanti esiteranno.
Da qui la diserzione della Cina, la sofferta mediazione temporale del premier indiano Nerendra Modi circa il differimento – poco convinto – della riduzione delle emissioni di CO2 al 2060, l’esitazione degli Sati Uniti che tuttavia dopo l’isolazionismo di Donald Trump sono tornati con Joe Biden a posizioni più multilaterali. Ma attenzione, anche il campione della democrazia occidentale potrebbe presto tirarsi nuovamente indietro poiché, come l’Europa, dovrebbe rivedere alla radice il proprio modello di vita, fondato sul consumo e sulla mobilità aerea e su gomma, che ne ha fatto per decenni la principale aspirazione di milioni di immigrati.
Veniamo dunque all’ Europa, il luogo dove massimamente e diffusamente si è espressa la creatività umana in ogni campo e la coscienza morale e politica della cultura in cui essa si manifesta.
Un vasto continente che – ad accezione della Scandinavia abitata complessivamente da poche decine di milioni di abitanti già frugali per proprio natura – fa costantemente i conti con la cronica mancanza di materie prime, a partire dall’acqua, alimenta tutto con l’energia elettrica, comprese le nuove automobili in grande espansione, che proviene in larga misura dal carbone, dal petrolio o dal nucleare. Voi non eravate nati quando nel 1973 lo shock petrolifero decretato dal cartello dei paesi aderenti all’OPEC lasciò a piedi centinai di milioni di persone e non avete di idea di quale prezzo fu pagato in termini politici all’Arabia Saudita per farsi mediatore, in cambio della protezione eterna da parte della NATO, come sarebbe accaduto per l’invasione del Kuwait di Saddam Hussein e per gli eventi successivi.
Nonostante molti paesi avessero “compreso l’antifona” ed avviato programmi di ricerca di energie alternative e rinnovabili, solo pochi tra essi si sono resi – parzialmente – autonomi da quelle tradizionali mantenendo inalterato il proprio stile di vita. Ricordate infatti che nella storia le rivoluzioni per il pane sono state sempre determinanti nell’abbattere troni e dominazione; quelle per la disponibilità di energia non sono da meno ed oggi equivalgono all’ennesima potenza a quelle del passato. Quindi non aspettatevi che il vostro impegno possa vedere risultati a breve dal momento che ci troviamo davanti ad una transizione ecologica impossibile da portare a compimento prima di una transizione antropologica per la quale occorrono, nella migliore ipotesi, decenni.
I governi sembrano più disposti ad investire per proteggersi dagli effetti del cambiamento climatico – e con la tecnologia di cui si dispone potrebbero riuscirci – piuttosto che costringere centinaia di milioni di persone a rinunziare all’automobile, al fresco in estate o al caldo in inverno, alla disponibilità di elettrodomestici ormai ritenuti irrinunciabili, all’utilizzo di device la cui richiesta di energia tradizionale ancora per molti anni non potrà mai essere sostituita da attuali o future fonti alternative, nella medesima quantità.
“E allora?” chiederete, magari con sarcasmo. Allora dovete mettervi in testa due cose: il processo avverrà con la gradualità necessaria alle industrie per riconvertirsi, agli stati per finanziare la transizione ecologica mondiale e alle persone dei paesi più avanzati per accettare alcuni cambiamenti irrinunciabili. Tutto ciò richiede gradualità e tanta ricerca.
Ma è a voi che tocca dare il segnale più importante che, oltre la doverosa protesta e il continuo memento ai governanti, coinciderà con la personale progressiva rinuncia ad alcuni stili di vita energivori per testimoniare che di quanto giustamente chiedete l’attuazione siete disposti, per primi a pagare il prezzo; bello e significativo è stato il segnale di recarsi a Glasgow in treno e non in aereo, ma quanto durerà nella vita di tutti i giorni? Si ridurrà l’uso dei vostri smartphone per risparmiare quelle batterie il cui cuore costa lacrime e sangue a chi lo estrae in condizioni di schiavitù in miniere lontane? Rinuncerete, fino al completamento della transizione, a fare tardi la notte per regolare invece la vostra vita, frattanto diventata adulta, sul ritmo della luce del giorno?
Scuoterete la testa sdegnati quando con i vostri master (che non possono essere certo conseguiti tutti nel settore ambientale) vi vedrete offrire un posto di lavoro in un’industria ancora in ritardo sul piano energetico? Siete disposti infine a fronteggiare e neutralizzare quanti, utilizzando in mala fede il vostro messaggio, già vi costruiscono sopra prospettive di potere personale, come è avvenuto in anni recenti con l’antimafia di facciata?
La risposta non ve la posso dare io anche se quando toccò a me, alcune scelte pagarono volentieri il prezzo delle mie idee giovanili. Lascio invece che ve la dia il Premio Nobel per la letteratura nel 1907, uno “sporco” colonialista, almeno così sostiene qualcuno che ne vuole abbattere le statue nel mondo, ma che però di formazione del carattere e di fermezza di principi (del suo tempo ovviamente) si intendeva molto:
“Se riuscirai a mantenere la calma quando tutti intorno a tela perdono, e te ne fanno una colpa. Se riuscirai a avere fiducia in te quando tutti ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio. Se riuscirai ad aspettare senza stancarti di aspettare, O essendo calunniato, non rispondere con la calunnia, O essendo odiato a non lasciarti prendere dall’odio, Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo da saggio; Se riuscirai a sognare, senza fare del sogno il tuo padrone; Se riuscirai a pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina E trattare allo stesso modo questi due impostori. Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto distorta dai furfanti per ingannare gli sciocchi, o a vedere le cose per cui hai dato la vita, distrutte, e piegarti a ricostruirle con strumenti ormai logori. Se riuscirai a fare un solo mucchio di tutte le tue fortune e rischiarle in un colpo solo a testa e croce, e perdere, e ricominciare di nuovo dal principio senza mai far parola della tua perdita.
Se riuscirai a costringere cuore, nervi e tendini a servire il tuo traguardo quando sono da tempo sfiniti, E a tenere duro quando in te non resta altro se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”
Se riuscirai a parlare alla folla e a conservare la tua virtù, O passeggiare con i Re, senza perdere il senso comune, Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti, Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo. Se riuscirai a riempire l’inesorabile minuto Con un istante del valore di sessanta secondi, Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa, E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio! “Rudyard Kipling, 1835.
Alla sua morte nel 1936, il corpo venne cremato e le ceneri sono custodite presso l’Abbazia di Westminster, a Londra. Visto che viaggiate in treno, fate una sosta e andate a trovarlo, ripensando ai sui versi. Non potranno che aiutarvi nella vostra sacrosanta battaglia.
Buon futuro ragazzi, non vi lasceremo soli, ma adesso tocca a voi!