Sono appena rientrato da una missione a Tblisi in Georgia, dove ho svolto un Visiting Professor alla Tblisi State University. Quando sono partito ero un po’ preoccupato. Le immagini che venivano diffuse dalle tv di tutto il mondo mostravano il malcontento della gente. In effetti, c’era una protesta con tanti giovani per le strade. I giovani universitari manifestavano contro una legge varata dal Parlamento. C’era una presenza di polizia in tenuta anti-sommossa nei luoghi della manifestazione. La Georgia è a pochi chilometri dall’Ucraina, dall’Armenia dove ci sono conflitti che durano da decenni. Ho compreso un forte bisogno di pace, di libertà, di solidarietà. Il rispetto alla vita dovrebbe essere una garanzia senza confini. Invece il mondo sta andando da un’altra parte purtroppo. La guerra e il numero delle uccisioni quotidiane sono inaccettabili. Tutto il mondo merita la pace e i bambini e i giovani devono continuare a sorridere.
Ai partecipanti al Capitolo generale dei Fratelli dell’Istruzione Cristiana di Ploërmel, ricevuti in udienza il 22 aprile 2024, Papa Francesco ha detto: “I bambini giocano, anche sotto le bombe, nei Paesi in guerra. Quando vediamo le fotografie di questi Paesi, ci sono bambini che giocano. Ma una cosa che mi colpisce, quando vengono qui a Roma bambini dell’Ucraina che sono trasferiti qui e vivono qui, questi bambini non sorridono: hanno perso il sorriso. La guerra fa questo: fa perdere il sorriso dei bambini. Lavorate perché loro riprendano la capacità di sorridere”.
Utilizzare i social network per veicolare un messaggio di pace diventa fondamentale. Si parla molto spesso di “slacktivism”. Questa parola è nata dall’unione di due parole “slacker” (fannullone) e “activism” (attivismo) e riguarda tutte quelle azioni che facciamo sui social (mettere like, condividere, postare video e immagini, inserire hashtag e molto altro ancora) che rappresentano una forma di partecipazione attiva, ma non risulta essere veramente rivoluzionaria. L’ambivalenza dello “slacktivism” assume due accezioni diverse: veicola informazioni velocemente e raggiunge un enorme numero di utenti e crea l’illusione di una piena realizzazione sociale, scoraggiando gesti più importanti e più impegnativi come ad esempio la partecipazione alle associazioni di volontariato. In queste ultime settimane, moltissimi utenti hanno pubblicato e condiviso un’immagine “All eyes on Rafah”, creata da un fotografo malese con l’intelligenza artificiale. L’intento è stato quello di porre l’attenzione su quanto sta succedendo nella Striscia di Gaza e ha guadagnato più di 45 milioni di repost.
Una condivisione eccezionale che ha messo in evidenza Rafah. Una città che il 27 maggio è stata bombardata dall’esercito israeliano, scatenando un incendio tra le tendopoli. Purtroppo, in quell’incendio hanno perso la vita circa 45 sfollati tra cui donne e bambini. Chi ha condiviso l’immagine è stato accusato di “slacktivism”. I commenti degli utenti sui social sono stati numerosi e come sempre ci sono stati i favorevoli e i contrari alla condivisione. Di fatto, anche un’immagine generata dall’intelligenza artificiale ha raggiunto milioni di persone.
Le atrocità reali sono difficili da condividere e non riescono ad ottenere la stessa viralità.Uomini, donne e giovani che hanno voluto esprimere il loro “No” alla guerra. In questo caso, secondo me, non importa l’origine dell’immagine. Si è tanto discusso anche sui profitti delle piattaforme. Sicuramente, le piattaforme sono società per azioni che hanno bisogno di accontentare gli azionisti e gli investitori. Cercano di conquistare un ruolo di primo piano anche nel mercato dell’e-commerce. Qualcuno è convinto che ci sia chi guadagna anche sui messaggi di pace e probabilmente è proprio così.
Si parla tanto di pace, ma ci sono persone che poi continuano a fornire armi, a comprare armi e a dire sì alle lobby delle armi. Un gioco delle parti che non tiene conto di quanto sia essenziale salvaguardare il dono della vita e salvaguardare la nostra umanità. C’è molto cattivismo e la disinformazione viene sfruttata come arma di guerra, per far sparire la verità e suscitare paura. L’opinione pubblica viene manipolata e si è sviluppato il potere del controllo mentale che avviene attraverso la virtualità ci accarezza benevolmente e ci suggerisce ciò che ritiene conveniente. Questa tipologia di comunicazione ha come caratteristica quella di accrescere l’insicurezza e la paura nella popolazione.
Tra qualche giorno ci saranno le elezioni europee e quasi nessuno affronta il tema della pace. Non conviene parlare di pace. Le posizioni dei partiti si sono completamente ribaltate in merito alle armi fornite all’Ucraina. Ora, la partita è molto più complessa, visto che bisognerà capire se le armi verranno utilizzate per difendersi o per offendere. In questa campagna elettorale abbiamo letto tanti slogan e abbiamo visto tanti spot, ma non è stato trattato il tema della pace. L’unica persona che continua a parlare di pace con coerenza è il Santo Padre. Il Papa ha dichiarato che: “Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine” e ha chiesto a tutti i Paesi in guerra di mettere fine ai conflitti: “Cercate di negoziare. Cercate la pace” e ha aggiunto che tutte le sere alle 19 chiama l’unica parrocchia cattolica della Striscia per avere notizie..
È difficile fare discorsi seri sui social, però se i messaggi sono efficaci ed immediati assumono una rilevanza considerevole. Tutto quello che si dice, si propone e si posta, che può riguardare la pace, a mio parere è significativo e di grande valore. Di fronte a quello che accade quotidianamente, si parla di 187 conflitti in tutto il mondo e di 66 bambini uccisi al giorno solo sulla Striscia di Gaza, qualunque tipo di post sembra insufficiente e inutile, ma nulla è lo è. Ma le parole… hanno comunque un peso. A volte servono.