Oggi tutti parlano di “pace”, di “convivenza pacifica” eppure, in tutto il mondo, la violenza è più diffusa che mai. Spesso viene vista come l’unico strumento per fare ascoltare la propria voce, per conquistare un territorio ricco di risorse naturali o per imporre una dittatura mascherata da democrazia (si pensi ad alcuni paesi africani). Ma anche per protestare contro una ingiustizia (vera o percepita). I media sono pieni di immagini degli scontri tra polizia e popolazione di colore negli USA. Di manifestazioni contro il lockdown o il MES o il TTIP, in molti paesi europei. Delle proteste a Hong Kong: vanno avanti da mesi senza aver ottenuto risultati concreti (solo pochi giorni fa, un leader dei manifestanti è stato arrestato – di nuovo – e pare sia in attesa di essere trasferito lontano dai luoghi delle proteste, in Cina).
Quale potrebbe essere l’alternativa a tutta questa violenza? Il 2 Ottobre, in tutto il mondo, si celebra la Giornata Mondiale della Nonviolenza. Istituita il 15 Giugno 2007 su invito del ministro degli Esteri indiano, Anand Sharma, la risoluzione 61/271 delle Nazioni Unite invita tutti a riflettere su un principio: “La nonviolenza è la più grande forza a disposizione del genere umano. È più potente della più potente arma di distruzione che il genere umano possa concepire”.
La data del 2 Ottobre venne scelta per ricordare la nascita del Mahatma Gandhi: dovrebbe servire a “divulgare il messaggio della nonviolenza, anche attraverso l’informazione e la consapevolezza pubblica”. Un messaggio spesso poco considerato ma, al contrario, di importanza globale: ricorda a tutti “l’importanza universale del principio della nonviolenza” e “il desiderio di assicurare una cultura di pace, tolleranza, comprensione e nonviolenza”.
La decisione di protestare, di far valere i propri diritti, di chiedere di essere ascoltati senza mai fare ricorso alla violenza probabilmente fu uno dei maggiori cambiamenti del XX secolo. Poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, Gandhi impostò tutta la propria politica anticolonialista sul principio dell’ahimsa (rifiuto di esercitare ogni forma di violenza contro l’individuo e la natura) e organizzò la satiasgraja, il più grande movimento nonviolento a memoria d’uomo: decine e decine di milioni di persone diedero vita a manifestazioni di disobbedienza civile di massa ma senza mai ricorrere a metodi violenti. Secondo molti, fu proprio da questa decisione che nacque l’idea attribuire a Gandhi il nome di “Mahatma” (grande anima): per il coraggio e l’inflessibilità nel mettersi davanti al nemico, ma senza mai usare la violenza, nemmeno per difendersi, nemmeno quando era l’altro ad usarla per primo. Gandhi vinse quella che forse è la guerra più grande combattuta nel XX secolo. Una guerra non violenta che dimostrò che era possibile cambiare il mondo senza il ricorso alle armi e ai bombardamenti della Prima Guerra Mondiale.
Purtroppo fuori dall’India furono pochi ad ascoltarlo: un’altra Guerra Mondiale venne combattuta, la Seconda. E poco dopo lo stesso Gandhi fu vittima della forma più estrema di violenza: venne assassinato. Per un attimo, sembrò che il principio dell’ahimsa potesse finire nel dimenticatoio. Le guerre, il ricorso alla violenza per far imporre scelte quasi sempre economiche e mai di principio, non hanno più avuto tregua (tranne un brevissimo periodo alla fine del secolo scorso). Anche in India, patria del Mahatma Gandhi, la violenza si diffusa a macchia d’olio: nell’ottobre del 1947, ebbe inizio Prima Guerra del Kashmir, il primo di una serie di conflitti tra India e Pakistan, più o meno violenti ma mai più cessati.
Oggi, in tutto il mondo sono decine, centinaia le guerre e gli scontri in atto. Anche nella “pacifica” e “non violenta” Europa (si pensi alla Cecenia, all’Ucraina, all’Artsakh ex Nagorno-Karabakh, giusto per fare alcuni esempi). In Asia (si pensi alla Birmania, governata da San Suu Ki, ex premio Nobel per la Pace (onorificenza, stranamente, mai concessa a Gandhi). In Medio Oriente (Afganistan, Yemen, Siria e molti altri). In Africa (in Libia in decine di altri paesi). A queste si aggiungono centinaia di proteste “civili” che sfociano in scontri violenti tra manifestanti e forze dell’ordine.
In tutti e cinque i continenti la violenza è ormai diffusa e dominante. E a poco sono serviti i ripetuti appelli delle Nazioni Unite che, oltre al 2 Ottobre, dedicano a questo tema anche altre giornate: il 19 Novembre (la Giornata mondiale senza violenza verso i bambini e i giovani), il 25 Novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne) e il 23 Settembre (Giornata mondiale della Pace).
Il 30 gennaio 1948, Gandhi morì assassinato dai colpi di pistola sparati da Nathuram Godse, un fanatico radicale, pare legato al gruppo estremista indù Mahasabha. Per un attimo si pensò che i suoi insegnamenti, ciò che aveva fatto, i risultati che aveva raggiunto potessero scomparire: la gente braccò l’assassino e cercò di linciarlo. Arrestato, Godse venne condannato a morte e ucciso nonostante l’opposizione dei sostenitori di Gandhi. Molti pensarono che ad essere stato ucciso non era stata una persona, il Mahatma Gandhi, ma un’ideologia, un Pensiero (con la P maiuscola). Per un attimo, si pensò che non era possibile vivere senza violenza e che le proteste, gli scontri, i conflitti che sorgono naturalmente non possono essere risolti in modo non violento.
Seguendo le volontà di Gandhi, il suo corpo venne cremato e le ceneri disperse nei maggiori fiumi del mondo (tra i quali il Nilo, il Tamigi, il Volga e il Gange). Un desiderio che era speranza che il principio della nonviolenza potesse diffondersi oltre i confini dell’India e raggiungere tutti gli abitanti del pianeta. Alla data della sua morte le Nazioni Unite hanno deciso di dedicare anche un’altra giornata: la Giornata della nonviolenza nei confronti dei bambini, celebrata dal 30 gennaio 1964, ma solo dal 1993 riconosciuta dall’Assemblea delle NU. La nonviolenza nata con Gandhi non è morta: sopravvive nelle proteste di alcuni gruppi di lavoratori, nei movimenti femminili e studenteschi, nelle manifestazioni contadine. Forme di lotta non violenta che usano come armi manifesti, volantini, interventi in radio e televisione e, soprattutto, Internet. Forme di protesta non violenta che, nonostante la ritrosia di alcuni paesi (USA in primis) si stanno diffondendo più velocemente di quanto lo stesso Gandhi avrebbe mai potuto sperare.