Il drammatico ricordo della guerra è riaffiorato in questi giorni insieme ad un ordigno inesploso risalente al secondo conflitto mondiale rinvenuto a Palermo nella zona del porto e fatto detonare ieri in sicurezza in una cava abbandonata. L’intervento dei militari del Genio si è rivelato competente e professionale come sempre, a dimostrazione dell’ormai elevato di livello di specializzazione delle Forze Armate in ogni campo.
Altro che nostalgia della leva obbligatoria, della vecchia naia che era spesso scuola di bullismo, di caccia all’imboscamento negli uffici più altre amenità espresse dal lato peggiore del carattere italiano e da cui si tornava più ignoranti di prima. L’abolizione della coscrizione dal 1º gennaio 2005 fu stabilito dalla legge 23 agosto 2004, n. 226 ed ha permesso il salto di qualità in tutte le specializzazioni militari in Italia e all’estero di cui ci viene dato ampio riconoscimento.
Altra cosa dovrebbe essere un servizio civile non militare obbligatorio che avesse anche il valore di un valido anno sabatico al servizio del Paese, utile anche alla riflessione su una più ponderata scelta universitaria o lavorativa. Di non secondaria importanza sarebbe lo screening sanitario che precederebbe l’avvio dell’esperienza, tornando ad essere per moltissimi giovani una visita di controllo, spesso l’unica prima dell’età matura, scoprendo per tempo patologie congenite o latenti. Costituirebbe un’esperienza anche internazionale di solidarietà sociale, di acquisizione di competenze attivabili in occasione di calamità e di valori di cittadinanza trasversali a tutte le condizioni sociali. Dovrebbe essere un anno successivamente riscattabile, con un onere ridotto, ai fini pensionistici ed un requisito curriculare nella ricerca del lavoro.
Di questo tema mi ripropongo di affrontare in modo più approfondito le possibili articolazioni in un prossimo articolo.
Le disposizioni di evacuazione di circa settemila residenti nella zona del porto e disposte per poche ore durante l’intervento, mi hanno fatto tornare in mente un episodio bellico poco noto che si svolse durante la Grande Guerra proprio a Palermo, zona ovviamente non protagonista, come invece il Carso, il Trentino Alto Adige, il Veneto o le acque dell’Adriatico le cui immagini e storie sono patrimonio della memoria collettiva e hanno generato una grande letteratura e pagine storiche del cinema italiano.
Dalle pieghe della storia di quel conflitto emerge un fatto che coinvolse a Palermo la Borgata dell’Arenella e lo stabilimento industriale che vi era stato costruito, la Chimica Arenella appunto, quell’ammasso di rovine cui nessuno finora è riuscito a restituire un futuro, nonostante l’invidiabile posizione sul mare e l’evidente destinazione turistico alberghiera. Ne scrissi alcuni fa e lo ripropongo ora all’attenzione e alla curiosità dei lettori de Lo Spessore.
La fabbrica, originariamente prevista a Messina dalla società tedesca Goldenberg Chimica, sorse nel 1910 nella contrada, poco oltre la Tonnara Florio, prospiciente il mare, per sfruttare l’approdo diretto per le forniture, ma anche per gli scarichi industriali (sic!)
Nel 1913 fu avviata la produzione con personale tedesco e con sovvenzioni del governo italiano. All’inizio si trattò di un insuccesso, anche per la cronica carenza d’acqua dolce, ma già verso l’aprile del ’14 la situazione andava migliorando e la fabbrica incassava forti attivi grazie allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, soprattutto per la produzione dell’acido citrico usato come disinfettante negli ospedali e in quanto fra i massimi produttori mondiali di acido solforico, composto indispensabile per gli accumulatori ma anche per i gas tossici che proprio i tedeschi usarono per la prima volta in Belgio, a Ypres, nel luglio del 1917.
L’entrata in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali, oltre al cambio degli addetti tedeschi alla produzione, determinò anche “l’opportunità” della cessione delle quote degli azionisti tedeschi, con la mediazione della Banca Commerciale, a prestanome italiani, fra cui Carlo Sarauw e Giulio Lecerf, che diverrà il direttore della fabbrica, per evitare così l’amministrazione controllata da parte del governo.
Ma una campagna stampa, orchestrata dal Giornale di Sicilia e manovrata dal parlamentare social riformista Aurelio Drago, accusava i vertici aziendali, e soprattutto lo scaltro direttore Lecerf, di “triangolare” la produzione in Germania – ricordiamo che si trattava di un paese in conflitto con l’Italia dall’agosto 1916 – attraverso alcuni paesi neutrali (Svizzera e Norvegia, anzitutto). La fabbrica, a detta di alcuni, era diventata addirittura una centrale di spionaggio!
Probabilmente la triangolazione avveniva veramente e questo traffico risultava anche nei rapporti del ministero degli Interni. Sembra infatti che i proprietari tedeschi della chimica Arenella fossero riusciti ad ottenere dal loro governo che gli impianti venissero risparmiati – ciò a conferma l’effettiva triangolazione dei prodotti – e un ordine in tal senso era stato diramato alla marina tedesca.
Eppure accadde qualcosa su cui ancora oggi aleggia un mistero degno delle più intriganti spy stories. I fatti li ricordano tutti gli abitanti della borgata, anche se alcuni particolari risultano controversi furono raccontati da Rosario La Duca che, per la prima volta, ne parlò in un articolo inserito nella rubrica del Giornale di Sicilia: “La città perduta” pubblicata 26 gennaio 1972 dal titolo: Il pescatore che salvò l’Arenella. Successivamente, si occupò del caso Pietro Zambito che ne raccontò nel 2013 in La Storia di una fabbrica chimica a Palermo.
Ne riassumo gli avvenimenti, grazie al ricordo del testimone oculare Salvatore Parisi che quel giorno in cui si svolsero gli avvenimenti era poco più che un adolescente.
Il 31 gennaio del 1918 era una giornata piovigginosa ed una sottile foschia limitava la visibilità lungo la costa. Verso le quattro del pomeriggio, molte delle barche della borgata si trovavano in mare a pesca di sardine. Il tempo non accennava a migliorare, sicché i pescatori, issate le vele, decisero di rientrare a terra. Fu proprio in quel momento che, improvvisamente, a circa mezzo miglio dalla costa e proprio di fronte alla Fabbrica Chimica dell’Arenella, emerse un sottomarino tedesco.
Subito due uomini, aperto il boccaporto, issarono anche loro una vela sul periscopio in modo da mimetizzare il loro sottomarino tra le barche della borgata. Altri uomini, messo in azione il pezzo d’artiglieria del sottomarino stesso, iniziarono un cannoneggiamento verso la fabbrica chimica. Dapprima tiri lunghi, e le bombe caddero nel costone di Monte Pellegrino proprio sotto il Pizzo Volo dell’Aquila: poi tiri più precisi.
Venne colpito all’inizio il corpo di fabbrica dell’industria prospiciente sulla via Cardinale Massaia, e successivamente alcune bombe caddero anche sul padiglione allora destinato alla produzione della anidride solforosa; infine, fu centrata in pieno la base della grande ciminiera che ancor oggi esiste.
Risultava evidente l’intenzione del nemico di voler abbattere il grande comignolo che con il suo crollo, oltre ad arrecare gravi danni a vari reparti, avrebbe paralizzato per un certo tempo il funzionamento della fabbrica
E certamente ci sarebbero riusciti se Giuseppe Sileno, un giovane pescatore della borgata che prestava servizio militare su navi da guerra e che si trovava in licenza, nell’udire i primi scoppi, affacciatosi dal balcone della casa della fidanzata, non si fosse subito reso conto che si trattava di un sottomarino tedesco e non avesse quindi valutato il pericolo che correvano gli abitanti dell’Arenella, i quali, già in preda al panico, avevano cominciato a fuggire verso la montagna. Le due batterie della costa, invece, inspiegabilmente tacevano.
Una di esse si trovava proprio sotto la torre della tonnara, l’altra una cinquantina di metri più in là, verso Vergine Maria. Giuseppe Sileno immediatamente corse verso le batterie dove trovò gli uomini addetti ai pezzi, perfettamente tranquilli in quanto ritenevano che si trattasse di una nostra unità da guerra che effettuava dei tiri per esercitazione. Proprio quella mattina, infatti, un cacciatorpediniere aveva eseguito lunghe evoluzioni nello specchio d’acqua antistante la costa dell’Arenella e, quindi, gli uomini a servizio delle due batterie facilmente erano stati tratti in inganno. E Giuseppe Sileno dovette sudare sette camicie, urlando ed imprecando, per convincere gli addetti ai pezzi che si trattava invece di un sottomarino tedesco.
Finalmente le batterie della costa aprirono il fuoco.
Il sottomarino indirizzò allora qualche colpo verso di esse, poi, ammainata la vela e richiuso il boccaporto, scomparve nelle profondità. Di Giuseppe Sileno nessuno allora si occupò. Si era in tempo di guerra e non si parlava facilmente di azioni militari che per noi avevano comportato uno smacco; ed un sottomarino tedesco che impunemente raggiungeva e bombardava la costa siciliana lo era. Il fatto venne quindi messo a tacere ed a poco a poco fu dimenticato perfino nella stessa borgata. Solo nel 2005 al pescatore Giuseppe Sileno dell’Arenella fu intitolato un plesso dell’Istituto Comprensivo di via Cardinale Massaia. Agli alunni che lì iniziano oggi un complicato anno scolastico dedico questo articolo su un episodio che ha molto da insegnare.
L’ingegner Carlo Rodanò, cui si deve nel 1932 una storia della fabbrica “Chimica Arenella”, redatta per la “Banca Commerciale Italiana” narra: … “E quando la sera del 31 gennaio 1918 un sommergibile tedesco bombardò lo stabilimento, a Palermo ci si convinse che i tedeschi avessero voluto creare un alibi al loro amico Lecerf”.
La responsabilità dell’accaduto fu attribuita all’ex direttore tedesco, che avrebbe fornito ai suoi connazionali le indicazioni per bombardare lo stabilimento (che stava per essere requisito dalle autorità militari, perché vi era il sospetto, anche su segnalazione dei servizi segreti Alleati, che fornisse, attraverso la Svizzera, materiali chimici alla Germania) grazie a riprese fotografiche del litorale palermitano fino a Balestrate, prima di abbandonare improvvisamente Palermo.
In realtà, il bombardamento fu frutto di un errore: i tedeschi proprietari dell’Arenella erano riusciti a ottenere dal loro governo che la fabbrica fosse rispettata e in tal senso fu ordinato ai sommergibili di non bombardarla; ma un comandante cui l’ordine non era pervenuto poiché lontano dalla base, non esitò ad attaccarla, per la semplice ragione che era il bersaglio più comodo fra quanti ne aveva visto fuori del porto di Palermo. Il numero dei morti non fu mai accertato e l’unica lapide collocata nel 1922 e ancora oggi visibile riporta solo i nomi di dieci operai caduti combattendo su altri fronti. Curiosamente uno di questi appare cancellato, forse perché, dato per disperso, fece poi ritorno. Misteri molto siciliani sullo sfondo di una guerra spaventosa che vide cadere, altrove, oltre 55.000 isolani come ricordano i cippi commemorativi delle vittime nate in ogni comune siciliano. Un immane battesimo del fuoco che vide i nostri nonni ventenni diventare di colpo adulti nel più drammatico dei modi. Nominati Cavalieri di Vittorio Veneto “solo” cinquant’anni dopo, scoprirono di essere stati protagonisti ed eroi di quella che fu definita “l’ultima guerra d’indipendenza italiana”. Altro che movida!