Dopo lo svarione di Renzi, in “missione” pagata in Arabia Saudita dove ha lodato il leader locale nonostante le accuse di omicidio a suo carico e la costante schiavizzazione dei lavoratori che “il nuovo che avanza” ha detto di ammirare, è stata la volta di Draghi fare una gaffe simile sul panorama internazionale.
In missione (la sua prima da premier italiano) in Libia, Mario Draghi ha lasciato tutti a bocca aperta per le parole sui migranti: “Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi, e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia”.
Peccato che il modo di gestire i migranti tutto è meno che soddisfacente e ammirevole. Le politiche di accoglienza della Libia sono state più volte condannate dalle Nazioni Unite. Solo pochi mesi fa, anche il Consiglio d’Europa, ha introdotto sanzioni nei confronti della Libia. Oggi, “decine di migliaia di rifugiati e migranti vivono intrappolati in un circolo vizioso di crudeltà con poche o nessuna speranza di trovare percorsi sicuri e legali”, ha denunciato fa Amnesty International, non più tardi di qualche giorno fa. “In Libia i migranti provenienti da molti paesi africani devono sopportare sofferenze inconcepibili”.
Draghi, forse in un impeto di presa di coscienza tardiva, ha cercato di smorzare i toni dicendo che, per quanto riguarda i disperati che fuggono in mare, “il problema non è solo geopolitico ma è anche umanitario”. Nel farlo ha solo peggiorato la situazione. Da tempo la Guardia costiera libica è sotto accusa per le violenze sui migranti. Ma non basta. I “salvataggi” di cui parla Draghi spesso sono effettuati anche grazie alle motovedette fornite dall’Italia alla Libia. Aiuti rinnovati ogni anno attraverso il Decreto missioni: solo nel 2020, alla Libia, sono andati quasi 59 milioni di Euro (58.292.664 euro), dei quali 10milioni destinati proprio alla Marina per il “salvataggio” dei migranti nel Mar Mediterraneo.
Aiuti per un paese dove i “rifugiati e migranti rischiano la vita in mare in cerca di sicurezza in Europa, per poi essere intercettati, trasferiti in Libia e consegnati agli stessi abusi che hanno cercato di sfuggire”, secondo Amnesty International.
L’Onu e la stessa Unione europea definiscono la Libia un paese “non sicuro” per i migranti. “Significa dirsi soddisfatti della sistematica violazione dei diritti umani. Era inaccettabile quando lo dicevano i suoi predecessori. È inaccettabile anche oggi che a dirlo è lui”, è il commento di Matteo Orfini alla frase di Draghi. Anche l’ex medico di Lampedusa, oggi vicepresidente della commissione Libia all’europarlamento Pietro Bartolo, si dice “interdetto se non stupito” dalle parole di Draghi.
La precipitosa missione del Presidente del Consiglio in Libia, in realtà, non aveva niente a che vedere con la condivisione di principi umanitari e di obiettivi sociali o geopolitici. La frettolosa decisione di elogiare il governo locale serviva solo ad aprire i colloqui su quello che era il vero obiettivo del viaggio del premier: una missione lampo per rilanciare e confermare progetti infrastrutturali messi in campo da tempo da Roma e Tripoli e che fruttano milioni e milioni di Euro ad un ristretto numero di grandi imprese tricolori. Lavori come quelli presso l’aeroporto internazionale o quelli per la costruzione della cosiddetta “autostrada della pace”. Ad ammetterlo è stato lo stesso Draghi: “E’ chiaro che l’Italia difende in Libia i propri interessi internazionali e la cooperazione. Se vi fossero interessi contrapposti l’Italia non deve avere alcun dubbio a difendere i propri interessi internazionali, né deve avere timori reverenziali verso qual che sia partner”.
L’obiettivo di Roma quindi non è curarsi dei migranti, è procedere sulla strada che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni (anche quando al potere c’era ancora il “dittatore” Gheddafi): “C’è la volontà di riportare l’interscambio economico e culturale ai livelli di 5-6 anni fa”, ha detto Draghi.
Puri interessi economici. Davanti ai quali, come hanno fatto tutti i suoi predecessori (anche il “nuovo” che non avanza più), Draghi non ha esitato a piegarsi fino a lodare un modo disumano di gestire un problema umano che costa ogni anno migliaia di vite umane.