Le misure per contrastare la fame nel mondo non sembrano aver sortito, fino ad ora, i risultati sperati: nel mondo, sono almeno 750 milioni le persone che soffrono la fame. Il numero dei soggetti con malnutrizione è salito a 735 milioni. Quasi un decimo della popolazione mondiale.
Sono i risultati dell’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide e curato dal Cesvi per l’edizione italiana. Ogni anno i ricercatori calcolano il punteggio GHI dei singoli paesi basandosi su quattro indicatori (denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni).
Nel 2023, il rapporto è stato presentato poco prima dell’inizio dei lavori della COP28 di Dubai: i cambiamenti climatici hanno un impatto rilevante sull’insicurezza alimentare. L’aumento delle temperature e i disastri climatici rendono più difficile produrre gli alimenti necessari. Questo colpisce in modo particolare i paesi più poveri e le fasce della popolazione meno abbienti. Tutto questo ha effetti evidenti sulla salute: il 75% degli abitanti delle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza. È quindi particolarmente vulnerabile ai disastri. Secondo il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. In base ai dati della Banca mondiale, dal 2019 al 2022, il numero di persone che vivono in insicurezza alimentare è aumentato da 135 milioni a 345 milioni, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze.
Le misure adottate negli ultimi vent’anni non hanno cambiato questo stato di cose. A livello globale il punteggio di GHI 2023 è 18,3. In leggero calo rispetto al 2015 (19,1). Al tempo stesso, però, il numero di persone denutrite è aumentato considerevolmente passando da 572 milioni (dato 2017) a circa 735 milioni. Particolarmente grave la situazione in 43 Paesi. Le maggiori criticità sono state rilevate in Asia meridionale e Africa a Sud del Sahara (qui il GHI è del 27,0 per entrambe, ossia “fame grave”).
Critica la situazione in 9 paesi: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 paesi il livello di GHI è grave. E le previsioni sono tutt’altro che rosee: al ritmo attuale, nulla fa pensare che in 58 paesi il livello di fame potrà migliorare in modo rilevante (come avevano promesso dai SDGs).
Ad essere particolarmente colpite sono le fasce più deboli della popolazione e i giovani, le cui prospettive future sono minacciate: l’instabilità alimentare potrebbe costringere i giovani ad affrontare da adulti povertà estrema, fame, essere incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di varie crisi. Il 16% della popolazione globale vive in gran parte in paesi a basso e medio reddito di Asia meridionale, Asia orientale e Africa. In questi paesi la condizione dei giovani è particolarmente grave: uno su cinque non lavora, né è impegnato in corsi di studio o formazione. Anche quelli che riescono a trovare un lavoro rischiano di essere impiegati in modo “informale”. Secondo lo studio i giovani hanno il doppio delle probabilità degli adulti di vivere in povertà estrema (con meno di 1,90 dollari al giorno a persona). Ancora peggiore la condizione delle ragazze: spesso il loro lavoro non è retribuito. Per molte di loro le prospettive sono tutt’altro che rosee: secondo le stime, i cambiamenti climatici causeranno disastri faranno aumentare il numero di donne e ragazze in povertà di oltre 158 milioni. E l’insicurezza alimentare colpirà almeno 236 milioni in più di donne e ragazze.
A causa degli attuali sistemi alimentari, ragazze e ragazzi erediteranno “sistemi insostenibili, iniqui, non inclusivi e sempre più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico”. Centinaia di milioni di ragazzi e ragazze i dati potrebbero dover affrontare un periodo “policrisi” caratterizzato da crisi energetica, crisi economica, postumi della crisi pandemica e crisi geopolitica. Per loro sono sempre maggiori le probabilità di trovarsi in condizioni di povertà estrema e insicurezza alimentare. E non poter aver accesso alle risorse, alla terra, alle competenze e alle opportunità per diventare protagonisti di una trasformazione che sta avvenendo senza tenere conto delle loro esigenze. E a volte, della loro stessa esistenza.