La storia dell’Autonomia Siciliana è sempre stata connotata da forti anomalie.
Nata come contenimento del fenomeno separatista, la prima regione a Statuto Speciale d’Italia, ha conosciuto una storia travagliata che più volte è stata descritta, pur da punti di vista spesso opposti e conflittuali.
Lasceremo dunque la storia per addentrarci in un’analisi politico sociale più congeniale a chi scrive e forse più utile per rintracciare quelle “tare” che affliggono una delle zone del Paese più popolose e, da sempre, dotata di immense risorse naturali, culturali, economiche ed umane.
La politica siciliana è stata quasi sempre subalterna a quella nazionale. Dell’isola, con l’ambigua espressione di “laboratorio politico” si è fatto un uso molto simile al deserto del Nevada.Vi sono state fatte deflagrare le contraddizioni più stridenti, vi sono stati nascosti i misteri più inquietanti, vi sono stati soppressi servitori scomodi dello Stato, operanti nel territorio o inviativi come Carlo Alberto Dalla Chiesa e lo stesso Giovanni Falcone, proprio perché vi scomparissero grazie alle inquietanti connivenze con la mafia, sempre disponibile a fare da braccio armato per ingraziarsi il Potere di turno e lucrare così coperture di ogni genere, benefici per i propri esponenti detenuti, commesse per le imprese, piccole e grandi da cui da sempre essa trae la parte più cospicua delle proprie “entrate”.
Come nella favoleggiata “Area 51”, in Sicilia sono stati occultati, negandone ogni esistenza, grandi criminali, potenti finanzieri, cospicui capitali, grandi latitanti e persino pentiti (ops…collaboratori di giustizia) di cui si è persino poi dimenticato di annotare il decesso, come nel caso di Rosario Spatola.
La politica siciliana è sempre stata condizionata dalla mafia, in modo diretto o indiretto, o attraverso esponenti direttamente eletti di cui le principali “famiglie” erano e sono collettori di voti oppure contattando successivamente nei modi più insospettabili esponenti ritenuti più avvicinabili.
Tutto, o almeno ciò che conta, è stato possibile in Sicilia passando attraverso collusioni mafiose di diverso livello. Innestatasi in una cultura ancestrale dell’amicizia, della famiglia, dell’onore, tipica della società rurale e trovando terreno facile in uno Stato Centrale lontano, predatore e chiaramente orientato più a prendere che a dare, la mafia ha avuto gioco facile nell’accreditare se stessa come soggetto protettore dalla microcriminalità, giudice inappellabile nelle controversie di campagna e di città, referente assoluto per ogni politica di insediamento produttivo di Aziende provenienti dall’esterno o per ogni genere di assunzioni interne o negli enti territoriali e quando ciò non è bastato, creando mediante i politici disponibili, decine di enti e società partecipate assolutamente ridondanti e quasi sempre dannosi per le scarse finanze locali.
Commissari dello Stato non sempre all’altezza del compito, spesso giunti in Sicilia al termine della propria carriera e desiderosi di concluderla senza danni, hanno contribuito ad avallare quanto era possibile, quando avrebbero potuto in mille occasioni bloccare leggi di spesa o provvedimenti chiaramente finalizzati a scopi di arricchimento di singoli politici o di interi partiti.
Fenomeni quali il Milazzismo, e per qualche anno, Città per l’Uomo e il Movimento della Rete, cui furono, spesso erroneamente, avvicinate, non hanno, di fatto, mai modificato le profonde radici di una politica malata e incapace di volare alto. L’unico reale tentativo di rinnovamento, agito in totale isolamento in anni di grandi transizioni del potere nazionale da Piersanti Mattarella, si spense nel sangue in quella mattina dell’Epifania del 1980.
A tutt’oggi, nulla si sa dei mandanti e si dubita persino se gli esecutori siano stati successivamente condannati al posto di altri.
Con la caduta del Muro di Berlino, roboante espressione per definire la conclusione di un periodo che nel 1989 era già terminato da un almeno dieci anni, venuto meno l’interesse strategico dell’Isola da parte degli Stati Uniti sia sul piano militare che su quello di contenimento del Partito Comunista, che erano stati all’origine del ”patto scellerato con la Mafia” evitando di fatto ogni epurazione della classe dirigente compromessa con il Fascismo – favorendone piuttosto la quasi totale mimetizzazione nella Democrazia Cristiana – la Sicilia ha cominciato già allora a non interessare più ad alcuno.
Ai siciliani poté sembrare che tale fase preludesse finalmente ad uno sviluppo a lungo sognato e solennemente proclamato nello Statuto, ma in realtà scoprirono presto che la nuova stagione preparava frutti avvelenati. Arrestato Vito Ciancimino, celebrato il maxi processo, scomparso il grande referente della mafia, Salvo Lima e reso inoffensivo il suo presunto dante causa nazionale Giulio Andreotti, la Sicilia ha cominciato il suo nuovo calvario: l’antimafia militante.
Consapevoli della forte spinta mediatica nazionale, che ha sempre guardato alla Sicilia come mafia o antimafia, in diversi settori professionali, imprenditoriali, giurisdizionali e politici, si è compreso come sulla cosiddetta antimafia si potessero costruire fortune e carriere. Provò ad ammonire su questo tema Leonardo Sciascia ma la reazione fu così rabbiosa e violenta che ne aggravò la salute già fortemente minata e lo consegnò alla tomba e alla gloria che nessuno come i siciliani sa tributare a chi in vita ha accuratamente osteggiato e se, possibile, contribuito a togliere di mezzo.
Nei fatti la patente di antimafia ha permesso a molti personaggi incredibili mimetizzazioni, straordinarie scalate associative e professionali e sfolgoranti verginità politiche assurgendo, da perfetti sconosciuti, alle prime pagine dei giornali, circonfusi di luce, a beneficio di quasi tutta l’editoria.
Qualsiasi idiota, capace di comporre un centinaio di pagine con un titolo che contenesse la parola mafia, è stato immesso d’ufficio nel pantheon degli scrittori, dei saggisti o degli esperti di cose siciliane.
Nascosti dietro i pochissimi che avevano veramente pagato con la vita – Mario Francese, Beppe Alfano, Mauro Rostagno, Peppino Impastato e non molti altri – decine e decine di giornalisti e scrittori hanno potuto, senza rischio alcuno, contribuire a costruire la tremenda idea che la Sicilia, che era stata mafia, adesso stesse per diventare “antimafia”. E lì il grande show è cominciato. A base di cortei, navi salvifiche che sbarcavano i fratelli del nord venuti a dare manforte, celebrazioni oceaniche, interventi nelle scuole e nelle università, migliaia di convegni, seminari, workshop e laboratori che in vent’anni avrebbero dovuto cambiare la Sicilia, ab imis, come dicevano i latini.
Ma in quelle profondità poco o nulla è cambiato in mancanza dello sviluppo.
L’assenza di spessore dei politici, in particolare in quelli eletti all’ARS., l’accurato evitamento di qualsiasi visione a lungo termine circa il modello di sviluppo, la costante indecisione se convogliare tutte le energie e le poche risorse verso il turismo o l’agricoltura, la grande industria manifatturiera o la raffinazione del petrolio (senza alcun vantaggio fiscale per l’Isola), l’oscillazione continua tra sussulti autonomistici e prostrazioni umilianti alle corti dei partiti nazionali hanno prodotto in occasione della prima elezione diretta del Presidente della Regione nel 2001 proprio l‘epitome della sicilianità peggiore: il cuffarismo.
Un insieme di volgarità, ignoranza, familismo amorale, approssimazione intellettuale, religiosità beghina, contiguità con la mafia, cultura dell’appartenenza, assenza di ogni contatto con l’Unione Europea, se si escludono principesche sedi di rappresentanza a Bruxelles e l’utilizzo dei fondi strutturali per assumere precari e gonfiare gli organici degli enti di formazione. Oggi Salvatore Cuffaro ha scontato la giusta pena ma, talvolta, chi scrive si chiede se non sia il primo a restare allibito dinanzi a ciò che è stato il seguito del suo già discusso impero.
Ad una governance pubblica tragicamente ma almeno schiettamente di bassissimo profilo morale e senza pretese rivoluzionarie, si è sostituta una gestione del potere che ha fatto dell’ambiguità più assoluta la propria cifra distintiva, rispettando tutti i dettami dell’antimafia di facciata: primo comandamento: imbarcare un certo numero di magistrati, ex questori o altri alti servitori dello Stato nella propria giunta, ben oltre ogni considerazione di competenza e /o adeguatezza al ruolo; secondo comandamento: arruolare qualche intellettuale “organico” che garantisse buone referenze con le centrali dell’antimafia nazionale e soprattutto, terzo comandamento, darsi la veste di liberatore della Sicilia dall’avvilente eredità del 61 a 0, quel lascito pesante che ha gravato sulla Sicilia come un macigno per due legislature nazionali.
Liberatore, si noti bene, in nome del più autentico autonomismo, cui pagare con disinvoltura il prezzo di avere tradito i propri elettori, i propri alleati, i propri mentori.
Com’è stato possibile che ciò accadesse senza rivolte, proteste, scioperi, barricate o altro?
E qui c’è stata la genialata: nascondere il proprio insaziabile desiderio di potere dietro l’antiberlusconismo, l’antimafia di facciata, la strombazzata difesa della pienezza dell’Autonomia e la retorica antirisorgimentale, la rivendicazione del “maltolto” procurandosi per strada quali alleati i più affamati di potere in Sicilia e cioè i peggiori eredi del PCI – verso cui già Pio La Torre nutriva perplessità che lo portarono alla tomba – oscurati prima da una DC egemone e poi dalla dilagante leadership di Leoluca Orlando e dall’evanescente figura di Rita Borsellino, icona potente sul piano simbolico, inattaccabile sul piano personale e mediatico ma politicamente inadeguata a tranciare il nodo gordiano dei tanti interessi che gravitano intorno al governo regionale.
Persino un astuto psichiatra è stato arruolato. Le ombre dei suoi sogni più ambiziosi sono diventate realtà ed egli ha potuto governare la peggiore delle stagioni politiche siciliane, ben al riparo da accuse che altri avevano travolto per molto meno ed in minor tempo, dividendo ed imperando, distruggendo la tradizione migliore della sinistra siciliana, mortificando quella destra che lo aveva eletto, flirtando con quel centro che, pur avendogli dato i natali politici, ha sempre disprezzato perché non abbastanza, almeno secondo il suo parere, ambizioso e spregiudicato.
Cosa ci lasciò quell’ esperienza? Una Sicilia in ginocchio con il più alto numero di giovani disoccupati nel mondo occidentale, un’Amministrazione Regionale e Locale ingolfata per decenni da personale stabilizzato, in piena violazione di ogni norma concernente il pubblico impiego, uno stile di governo oscuro e paranoico, paragonabile a quello di Rasputin negli ultimi anni dello Zarismo, un indebitamento senza precedenti, la distruzione di qualsiasi identità della Sinistra, migliaia di ragazzi e di giovani adulti che alla domanda se accetterebbero un lavoro da un imprenditore in odore di mafia rispondono affermativamente, in barba a venti anni di scuole imbandierate nel ricordo di Falcone, di Borsellino, di Mattarella, di Dalla Chiesa, di Pio La Torre, di Padre Puglisi e di cento altri martiri.
Dopo la triste esibizione tra i veli dell’imbarazzante governo Crocetta, vassallo del governo centrale, privo di una propria maggioranza e diventato inesauribile fonte per i media nazionali di lazzi e luoghi comuni che hanno reso ridicola l’immagine già drammatica della Sicilia, l’ultimo atto sembra consumarsi oggi con il governo Musumeci, legittima espressione di una Sicilia che di sinistra non è mai stata, che cede alle sirene dei sondaggi, apre alla Lega di Matteo Salvini generando il più macroscopico ossimoro della politica siciliana, trascorre il proprio tempo alla ricerca spasmodica di ogni possibile sostegno economico e, dalla inattesa vicenda della pandemia, trarrà ogni possibile giustificazione mentre è pronta a ricevere fiumi di denaro che, in mancanza di una idea guida per lo sviluppo del territorio, probabilmente finiranno nei mille rivoli di micro interventi locali non coordinati ma probabilmente utili per un secondo mandato presidenziale la cui intenzione era stata solennemente esclusa dall’interessato, al momento dell’insediamento.
La consolidata barriera di protezione eretta nel tempo da una burocrazia partorita ed allevata su un impianto legislativo sublimemente bizantino ha reso e renderà scivolosi gli assalti alla Bastiglia di movimenti improvvisati, privi di cultura politica, di visione locale e mondiale, mancanti di esponenti qualificati per esperienza o professionalità e impregnati di ideologie ancora più inquietanti di quelle che ci siamo lasciati alle spalle nel ‘900 e sull’ortodossia delle quali vigila la coppia tragica Grillo- Casaleggio.
Più che il firmamento, mi ricordano la Crociata dei Fanciulli che, tra storia e leggenda, nel XIII secolo partirono alla volta della Terrasanta ma naufragarono nel Mediterraneo e finirono poi venduti come schiavi da chi era più furbo e “attrezzato” di loro.
Nulla è più pericoloso per un popolo che vivere in un eterno presente deteriorato, ma che si preferisce ad un futuro che potrebbe mettere in discussione privilegi, accordi e patti antichi e recenti, sotto i quali è stata seppellita ogni dignità e speranza di futuro.
Giovanni Falcone amava dire che “tutto questo non durerà in eterno e primo poi finirà” e Paolo Borsellino era solito sognare ad occhi aperti che “un giorno questa terra sarà bellissima”.
“E allora?” si starà chiedendo il lettore stanco di analisi che ne hanno scandito la vita, senza generare risposte concrete da parte della politica che ha piuttosto riprodotto con minime variazioni le medesime pratiche morali, politiche e amministrative.
Allora, niente! Anche l’analista non ne può più delle proprie riflessioni che continua a scrivere solo perché non si perda la memoria del passato. La Sicilia sarà marginale anche in futuro, la criminalità organizzata e la corruzione potranno anche mutare nome ma continueranno ad essere la soluzione alla sopravvivenza per i più e la fonte di redditi, e dei conseguenti necessari consumi, per i molti. Civiltà ben più illustri della nostra sono oggi coperte di sabbia e nessuno ne avverte la mancanza. Solo materia affascinante per storici ed archeologi e mete di un turismo di massa che non genera vero sviluppo.
Se sino a ieri potevamo sperare che i nostri giovani migliori e più qualificati potessero intestarsi la svolta decisiva, oggi anche questo ci è precluso perché essi non torneranno nella terra da cui sono andati via. E faranno bene, perché conoscono il significato della parola irredimibilità e sanno che, se vorranno, potranno aiutare la propria terra facendosi onore altrove, dove il merito ed i risultati sono l’unico vero ascensore sociale.
Noi resteremo a contemplare ipnotizzati un passato avvolto nel mito ed a dibattere stolidamente su quell’ identità siciliana che tanto amiamo e difendiamo ma che al proprio interno genera, inesorabilmente e periodicamente, i mostri che, con il consenso autolesionista della preda, da sempre ci divorano.