Tra le eccellenze presenti in Sicilia che sanno distinguersi per il loro impegno professionale e per la loro spiccata capacità di occuparsi di molte discipline e attività, il professore Francesco Pira è uno dei nomi più autorevoli.
Sociologo e professore di comunicazione e giornalismo presso il Dipartimento del Master in Social Manager all’Università di Messina, da anni si occupa di Scienze; di Comunicazione sociale ed è Vice Presidente con delega alla Comunicazione dell’Osservatorio Professioni e Imprese 4.0 di Confassociazioni.
Fra i tanti ruoli di prestigio che copre Francesco Pira è Componente del Comitato Promotore e componente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale di PA Social e Istituto Piepoli. Negli anni è stato autore di saggi sulla comunicazione e ha firmato notevoli articoli scientifici pubblicati in riviste italiane ed estere e ha svolto il prestigioso ruolo di visiting professor presso l’Università Re Juan Carlos di Madrid e Docente Erasmus presso l’Università di Wroclaw in Polonia.
Messinese doc e con una forte appartenenza territoriale ha dimostrato e dimostra una forte sensibilità ai problemi e alla storia della Sicilia; lo testimoniano anche i suoi articoli nelle sue rubriche su vari quotidiani e periodici web e cartacei. Lo Spessore, quale periodico culturale, è orgoglioso di poter ospitare presto sue preziose analisi su varie argomentazioni.
Negli ultimi anni ha svolto ricerche su come sia cambiata la comunicazione della mafia dai pizzini al web. Doveroso quindi rivolgergli qualche domanda contestualizzando l’intervista sul suo ricordo del giudice Paolo Borsellino intervistato dal professore prima del suo rientro a Palermo.
“Un velo di tristezza mi scende ogni anno nei giorni dell’anniversario della morte del Giudice Paolo Borsellino. L’intervista che gli feci per un quotidiano regionale l’ho incorniciata ed è accanto al mio studio. Sono orgoglioso di aver intervistato da giovane giornalista questo eroe del nostro Stato”.
Professore Pira che ricordo ha del Giudice Paolo Borsellino?
Più volte ho ricordato, anche durante interventi in convegni o conferenze, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia, che ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ‘90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Oggi, come spesso mi è capitato da quando non c’è più e sento parlare di lui, risento la sua voce. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità. E’ un episodio che mi ha segnato perché ci è capitato tante volte di avere paura ma è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura continuasse la sua battaglia contro il male. Un’intervista tra quelle che non dimenticherò mai nella mia esistenza. Incancellabile. Piena di vita, anche se annunciava la morte. Le sue parole non possono e non devono essere dimenticate: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.
Ci sono altre interviste ad altri magistrati antimafia che le sono rimaste impresse?
Si c’è un’altra intervista che mi porto dentro. Quella fatta al giudice Antonino Caponnetto Capo del Pool Antimafia. Mi piacevano tantissimo i messaggi che era capace di lanciare ai giovani: “Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.
Sulla tragica uccisione del giudice Borsellino aveva fatto dichiarazioni molto precise. Cercato risposte che non sono arrivate: “Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.
Tanti misteri attorno alla morte dei Giudici Falcone e Borsellino…
Il giudice Paolo Borsellino aveva idee molto chiare sulla Sicilia: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Le parole pronunciate dal Giudice Borsellino che sono state rese note negli ultimi anni confermano un sospetto che avevo avuto parlando con lui: un senso profondo di solitudine. Lui che diceca che un giorno la Sicilia diventerà bellissima. Quella stessa terra che ha amato e voleva cambiare… ma che l’ha tradito ed ucciso.
Lei negli ultimi anni da professore universitario ha svolto ricerche su come è cambiata la comunicazione della mafia…
Le mafie che hanno impostato il loro sistema sui nuovi modelli relazionali, hanno anche imparato ad utilizzare nuovi codici e nuovi linguaggi per confondersi, con quel loro fare camaleontico, nel fluire della società liquida. E lo hanno fatto attraverso un uso appropriato delle nuove tecnologie come risorse per la gestione dei propri flussi finanziari e per lo sviluppo delle attività criminose, muovendosi con disinvoltura sui social e WhatsApp. Il codice comunicativo si è evoluto e, se in una precisa fase storica, è stata sfruttata la spettacolarizzazione, in seguito è tornato ad essere impiegato come veicolo di messaggi, riappropriandosi della sua identità. Esemplari in tal senso l’impiego di pizzini di Bernardo Provenzano, che sono stati strumento di comunicazione e di gestione del potere ed hanno al contempo contribuito a svelare agli inquirenti molte dinamiche di Cosa Nostra, aprendo, quindi, ad una dimensione esterna.
Eppure della Mafia c’è ancora una immagine stereotipata nello stile de “Il Padrino” che è lontana anni luce dalla realtà
Si così come controversa si presenta ancora oggi la figura del mafioso, in cui convivono due nature contrapposte: sono santi e benefattori per alcuni, demoni per altri. A tal proposito basta richiamare alla mente le opinioni che i Corleonesi hanno, ad esempio, dello stesso Totò Riina, ancora oggi. Immagini che vengono delineate anche attraverso il filtro della manipolazione seduttiva che sono in grado di esercitare attraverso la rappresentazione mediatica del mafioso. Oggi i mafiosi sono colletti bianchi capaci di usare bene le potenzialità delle nuove tecnologie. Comunicano e commettono i loro delitti attraverso il web. Possono permettersi di assoldare esperti. La mafia rurale ha lasciato il posto a quella ipertecnologica. C’è una differenza sostanziale tra il vissuto e il percepito.
Ho avuto modo di appurare in attività di ricerche esaminando spesso come Cosa Nostra sia passata con disinvoltura dai pizzini ai nuovi canali social, la narrazione mediatica del linguaggio mafioso. La percezione distorta del reale viene, infatti, enfatizzata dai mezzi di comunicazione, che insistono sui particolari, su quel “feticismo del dettaglio”, che accresce la curiosità, tanto che sempre più spesso i casi di cronaca nera diventano sempre più eventi televisivi, per mezzo dei quali alzare l’audience grazie alla morbosa cura dei dettagli angoscianti.
Falcone e Borsellino hanno immolato le loro esistenze e sacrificato così i loro affetti più cari. Le fiction sono diventate realtà. Anzi la realtà ha superato ogni finzione scenografica. E se si vuole scrivere insieme un nuovo copione, è necessario imparare a conoscere le nuove modalità di interazione e di comunicazione impiegati dalle criminalità organizzate, in modo da formare adeguatamente anche le nuove generazioni. Andare oltre “Il Padrino”. Oltre “Il Capo dei Capi”. Tutto viaggia sulla rete. Tutto è social, anche la mafia.