Non passa giorno senza che si parli dei bombardamenti degli israeliani sulla Striscia di Gaza. Dalle “colpe” di Hamas a cosa si starebbe cercando di fare per fermare la strage di innocenti senza precedenti causata dai bombardamenti israeliani.
In tutto questo tempo, però, i media (almeno quelli occidentali) hanno sempre parlato di Hamas ma non hanno detto una parola sul presidente palestinese Mahmoud Abbas. Possibile che non abbia fatto alcuna dichiarazione da quando si sono intensificati gli scontri, quasi due mesi fa? Sentire anche la sua opinione sarebbe importante. Per almeno due motivi. Prima di tutto perché è una delle parti in causa: Israele sta bombardando lo Stato palestinese. E poi perché sarebbe importante comprendere se l’attuale governo palestinese approva il comportamento di Hamas e fino a che punto.
Di tutto questo, almeno stando alle notizie riportate sui giornali nazionali, sembra che il leader palestinese abbia parlato. Nei giorni scorsi, persino il segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato che l’Autorità Palestinese (ANP) dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel futuro di Gaza. Chiaro il riferimento al suo presidente, Mahmoud Abbas. L’unico, sulla carta, in grado di fornire legittimità a qualsiasi piano futuro. L’ottantottenne presidente – noto come Abu Mazen – è in carica da quasi due decenni. Il suo mandato sarebbe scaduto da molti anni ma si è sempre rifiutato di indire nuove elezioni. Cosa che non è piaciuta a molti: non tutti approvano la sua decisione di rimandare anno dopo anno le elezioni dall’occupazione israeliana della Cisgiordania. L’anziano leader è stato più volte accusato di non ottemperare ai propri doveri e di cedere troppo facilmente alle richieste delle autorità israeliane. Secondo molti il presidente non godrebbe più dell’appoggio della maggioranza del suo popolo. Cosa questa che avrebbe rafforzato il potere dei gruppi armati. Alcuni, come Tarifi, hanno detto che Abu Mazen starebbe rispondendo male alla crisi seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha causato la morte di oltre 1.300 israeliani, ma in particolare all’assalto israeliano a Gaza che finora ha ucciso circa oltre diecimila persone, tra le quali oltre cinquemila bambini. “Abu Mazen dovrebbe alzarsi in piedi e sostenere il nostro popolo. Dovrebbe sostenere il popolo di Gaza”, ha detto Tarifi. “Non l’ha fatto, ma avrebbe dovuto. Questo gli ha fatto perdere credibilità: non c’è nessuno che ascolti la nostra voce”.
Salito al potere dopo la Seconda Intifada, Mazen divenne leader della Palestina dopo aver accusato Yasser Arafat di istigare alla violenza: “Stiamo perdendo il controllo della strada”, furono le sue parole. Come presidente dell’Autorità Palestinese si è sempre opposto all’uso della forza come mezzo per fare pressione su Israele. Ma, per contro, non è mai riuscito a garantire una pace duratura. Neanche nei territori dove maggiore era la sua presenza.
Qualche giorno fa Abu Mazen avrebbe anche partecipato a un vertice con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il re di Giordania Abdullah II e il presidente egiziano, Abdel Fatah al-Sisi (possibile che i media nazionali non lo abbiano scritto?). Una conferenza delle Nazioni Unite “potrebbe essere l’ultima opportunità per salvare la soluzione dei due Stati e per evitare che la situazione si deteriori più gravemente e minacci la sicurezza e la stabilità della nostra regione e del mondo intero”, ha dichiarato Abbas. Che ha abbandonato la discussione dopo il bombardamento (l’ennesimo) di un ospedale a Gaza. Il giorno dopo, ha dichiarato che “Israele ha oltrepassato tutte le linee rosse” e ha definito l’evento un “orribile massacro di guerra”. Parole blande e lontane dalla realtà. Insufficienti per riconquistare la popolarità nazionale ormai sempre più in calo. “Ha perso la sua occasione, ha perso credibilità”, ha detto Abu Khalid, un noto avvocato palestinese.
Che ha aggiunto: “La gente non sta cercando un sostituto che agisca come presidente, la gente semplicemente non lo vuole affatto”, ha dichiarato riferendosi ad Abbas e ai suoi consiglieri. “Non vogliono sostenere un gruppo che ha rinunciato alla nostra terra. Dal 1993 abbiamo negoziato con gli israeliani e stiamo perdendo di giorno in giorno”. Secondo Tarifi se Abbas continuerà a non fare nulla (o quasi) di fronte all’azione israeliana a Gaza, “potrebbe scoppiare un colpo di stato”.
Una situazione critica. Anche perché, sull’altro fronte, quello israeliano, la situazione non è migliore: a Gerusalemme, i consensi nei confronti di Netanyahu sono in calo. E il governo di Netanyahu si trova a fronteggiare dure critiche sia interne che esterne. Yair Lapid, leader dell’opposizione israeliana, ha auspicato un’uscita di scena immediata di Netanyahu e c’è già chi pensa ad un voto di sfiducia contro il governo e alla nascita di un nuovo esecutivo guidato da un altro rappresentante del Likud.
Intanto, mentre i leader dei due paesi in guerra da decenni cercano di non essere spodestati, continuano i raid israeliani su obiettivi civili. “I cadaveri sono ovunque e le squadre mediche stanno cercando di evacuare i feriti”, sono i titoli più frequenti sui giornali locali. “Riceviamo immagini e filmati orribili di decine di persone uccise e ferite in un’altra scuola dell’UNRWA che ospita migliaia di sfollati nel nord della Striscia di Gaza. Questi attacchi non possono diventare una consuetudine, devono cessare. Un cessate il fuoco umanitario non può più aspettare”, ha detto Lazzarini, commissario generale dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA).