Che il 2020 sia stato un anno da ricordare è ormai tristemente assodato. Nei prossimi decenni se ne scriveranno storie e leggende, saranno prodotti film, si susseguiranno inchieste e trasmissioni televisive; ogni anniversario sarà motivo di commenti, rivisitazioni e testimonianze e tra un secolo se ne parlerà ancora come accade per l’epidemia “spagnola”, per la peste manzoniana, per quelle narrate da Camus, da Boccaccio e da Tucidide, entrate a far parte della memoria collettiva dell’Umanità.
Lo Spessore se ne occupò e preoccupò tra i primi già il due febbraio di quell’anno quando ancora il fenomeno appariva sottovalutato, confinato come sembrava in una terra lontana i cui eventi fino a pochi anni fa erano riportati nelle pagine interne dei giornali dove si registravano epidemie, terremoti e altri devastanti eventi naturali che spesso infierivano su popolazioni già in precarie condizioni sociali ed economiche. Un errore imperdonabile di cui nessuno, probabilmente, risponderà mai.
L’Occidente onnipotente e protetto dal proprio benessere, sembrava sentirsi immune da catastrofi di tale portata, confidando da oltre un secolo nella propria presunta superiorità tecnologica, organizzativa e sanitaria con cui in Italia erano stati affrontati eventi tellurici di portata locale – Belice, Friuli, Irpinia, Abruzzo – ed epidemie che, per quanto allarmanti come nel caso del colera del 1973 che si diffuse dalla Campania anche in Puglia, in Sardegna, a Roma, Milano, Firenze, Bologna e a Pescara, si sapeva come fronteggiare. Complessivamente ci furono 277 contagiati e 24 morti. La città più colpita fu Napoli, con 15 morti su 119 casi e Bari con 6 morti su 110 casi accertati.
Quando dopo i primi decessi la parola colera si diffuse, la preoccupazione aumentò. Si pensava che il colera fosse una malattia propria dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, privi di un moderno ed efficiente sistema sanitario. Ma invece no, era presente anche in Italia. Successivamente, le autorità confermarono che le condizioni igieniche e sanitarie di Napoli erano molto precarie. All’inizio si pensava che l’epidemia fosse partita dai frutti di mare, così furono sequestrate le cozze e vietato il consumo di pesce. I limoni, che si riteneva potessero contrastare gli effetti del colera raggiunsero prezzi esorbitanti.
Tuttavia anche se allora la risposta collettiva, in termini di solidarietà, fu importante nel superamento dell’emergenza, non mancarono posizioni discriminatorie nei confronti del Mezzogiorno indicato come origine e causa del fenomeno, affiancando un non certo benevolo invito al vibrione della malattia alle invocazioni rivolte all’Etna e al Vesuvio in merito al destino “meritato” dai meridionali. Le immagini televisive di molte partite di calcio e i cori di certe tifoserie del tempo sono ancora lì ancora oggi a documentarlo.
Il florilegio potrebbe continuare a lungo ma sembra passato un secolo da allora e me ne asterrò in attesa di tempi migliori a cui guardo, cento anni dopo Antonio Gramsci, con l’ottimismo della volontà, pur non sottovalutando il pessimismo della ragione. Un elemento che comunque – sia scritto a margine – non può non far riflettere quando si pensi che delle otto regioni classificata da Istat come facenti parte del Mezzogiorno, ben sei, Sicilia, Sardegna, Calabria, Molise, Abruzzo e Basilicata sono oggi amministrate da maggioranze in cui è presente la Lega di Matteo Salvini.
Ma torniamo all’aspetto simbolico rappresentato dalla data palindroma dell’anno bisestile 2020, un evento raro e per ciò rivestito di tanti significati. Ce n’è stato uno l’anno scorso il 2 febbraio (02 02 2020) nel periodo che nel volgere di poco più di un mese avrebbe visto il corteo funebre dei camion militari, sfilare sulle strade di Bergamo; altri erano caduti nel 2010, 2011 e 2012, anni non facili in Italia e nel mondo. Particolarissimo quello del 20 febbraio 2002 che alle 8,20 di sera poteva essere addirittura scritto 20.02 20 02 2002. Il top deve essere stato l’11 novembre 1111 alle ore 11,11, in pieno Medio Evo: infuriava la Lotta per le Investiture tra il Papa e l’Imperatore che si disputavano il diritto di nominare gli alti ecclesiastici e lo stesso Pontefice. Il 29 febbraio 2092 sarà l’unico in un giorno aggiunto di un anno bisestile, come nel 2020.
Palindromo è un termine che deriva dal greco antico πάλιν “di nuovo” e δρóμος “percorso”, col significato “che può essere percorso in entrambi i sensi”. E’ una sequenza di caratteri che, letta al contrario, rimane invariata. Per esempio, in italiano: “Ai lati d’Italia”. Il concetto è principalmente riferito a parole, frasi e numeri.
Secondo una leggenda l’inventore e il primo virtuoso del genere sarebbe stato il poeta greco Sotade, vissuto ad Alessandria d’Egitto nel III secolo. Esiste anche il “palindromo sillabico”, vale a dire una parola oppure una frase le cui sillabe, se lette al contrario, sono invariate. Per esempio: “le-ta-le”, “Ma-rem-ma”, “Ne-ro-ne”, “po-li-po”.
Oltre due decenni dopo l’evento “Matrix”, nel 2020 è uscito “Tenet” con Michael Caine e Kenneth Branagh. Regista Christopher Nolan che aveva già firmato “Memento” (2000); “Insomnia” (2002); “Batman Begins” (2005); “The Prestige” (2006); “Il cavaliere oscuro” (The Dark Knight) (2008); “Inception” (2010); “Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012); “Interstellar” (2014) e “Dunkirk” (2017). “Tenet” ha ottenuto pochi giorni fa l’Oscar per i migliori effetti speciali curati da Andrew Jackson, David Lee, Andrew Lockley e Scott Fisher.
Eccone la sintesi della trama e le cautele che la corredano: un agente segreto indaga su un trafficante di armi russo che riceve ordini dal futuro. Scopre che l’uomo collabora per distruggere l’umanità del presente, in modo che quella del futuro (in possesso di una tecnologia per vivere il tempo a ritroso) possa salvarsi da una catastrofe climatica. Usando quella stessa tecnologia, il protagonista tornerà sui propri passi per porre rimedio a un suo errore e salvare il mondo. Coloro che non avessero ancora visto il film e non intendano farlo potranno approfondire la trama.
Per quanti invece ciò costituirebbe un imperdonabile spoiler, valga l’avvertimento, anch’esso cinematografico: Non aprite quella porta!
Il Sator cui il film fa riferimento attraverso il nome di uno dei uno dei “cattivi” è trai misteri più affascinanti che circondano le antiche iscrizioni: il quadrato del Sator è una ricorrente iscrizione latina, in forma di quadrato magico, composta dalle cinque seguenti parole: SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS. La loro giustapposizione, nell’ordine indicato, dà luogo a un palindromo, vale a dire una frase che rimane identica se letta da sinistra a destra e viceversa. La stessa frase palindroma si ottiene leggendo le parole del quadrato dal basso verso l’alto purché ogni riga sia letta da destra verso sinistra. L’iscrizione è stata oggetto di frequenti ritrovamenti archeologici, sia in epigrafi lapidee sia in graffiti, ma il senso e il significato simbolico rimangono ancora oscuri, nonostante le numerose ipotesi formulate.
Il curioso quadrato magico è visibile su un numero sorprendentemente vasto di reperti archeologici, sparsi un po’ ovunque in Europa. Gli esemplari più antichi e più celebri sono quello incompleto rinvenuto nel 1925 durante gli scavi di Pompei, inciso su una colonna della casa di Paquio Proculo e quello trovato nel novembre del 1936 su una colonna della Palestra Grande, sempre a nella città vesuviana. Quest’ultimo ha avuto grande importanza negli studi storici relativi alla frase palindroma poiché esso è completo e arricchito da altri segni interessanti che non si sono trovati altrove e fu certamente inciso prima dell’eruzione del 79 d.C. A partire da questi ritrovamenti, il quadrato del Sator viene anche detto “latercolo pompeiano”.
Ne sono stati rinvenuti esempi a Roma, nei sotterranei della basilica di Santa Maria Maggiore, nelle rovine romane di Cirencester (l’antica Corinium) in Inghilterra – dove chi scrive ha constatato personalmente l’esistenza dell’iscrizione nel 2002 – nel castello di Rochemaure a Oppède in Vaucluse, a Le Puy-en-Velay, nella corte della Cappella di Saint-Claire, sulla parete del Duomo cittadino di fronte al Palazzo Arcivescovile a Siena,sulla facciata della Chiesa di Santa Lucia (Magliano de’ Marsi) nella Certosa di Trisulti a Collepardo, a Santiago di Compostela in Spagna, nelle rovine della fortezza romana di Aquincum, in Ungheria, a Riva San Vitale in Svizzera, solo per citarne alcune.
Se si leggesse il palindromo cambiando verso di percorrenza alla fine di ogni riga o di ogni colonna, si otterrebbe la frase “sator opera tenet arepo rotas”, in cui il termine Sator indicherebbe il seminatore, arepo rappresenterebbe una contrazione di areopago (nel significato di tribunale supremo), e il palindromo potrebbe essere tradotto con: “Il seminatore decide i suoi lavori quotidiani, ma il tribunale supremo decide il suo destino”; tale interpretazione attribuirebbe pertanto un significato morale al quadrato magico secondo cui: “L’uomo decide le sue azioni quotidiane, ma soltanto Dio decide il suo destino” La lettura all’interno del palindromo della parola “PATERNOSTER” come crux dissimulata avviene per via di anagramma.
La presenza del palindromo in molte chiese medievali induce a considerarlo – per quanto esso possa aver avuto un’origine più antica – un simbolo che si inserisce nella cultura cristiana di quel periodo. Partendo dalla identificazione del Sator, il seminatore, con il Creatore (vedi la Parabola del seminatore e la Parabola del granello di senape), qualche studioso ha proposto la seguente interpretazione: “Il Creatore, l’autore di tutte le cose, mantiene con cura le proprie opere”.
Un’altra sostiene che, coerentemente con abitudini diffuse nel Medioevo, l’impiego in ambiente cristiano del quadrato del Sator doveva corrispondere a finalità apotropaiche, come avvenne per molte altre iscrizioni suggestive, del tipo Abracadabra o Abraxas. Il tema attrasse anche Umberto Eco che nel saggio “Sator Arepo eccetera” del 2006 si cimentò in una serie di sublimi giochi linguistici molto cari al maestro che tanto ci manca.
Insomma sembra proprio che tra numeri, eventi e relative narrazioni anticipate o posticipate, si nascondano relazioni, suggestioni o, semplicemente, le tante proiezioni di desideri e timori di quell’animo umano che ancora così poco conosciamo. Resta il fatto che, solo per restare in decenni recenti, il romanzo distopico “1984” scritto nel 1949 da George Orwell annunciò il Grande Fratello come un’entità che avrebbe tenuto sotto controllo le persone attraverso la costante registrazione dei movimenti e dei comportamenti; “2001: Odissea nello Spazio” scritto e diretto da Stanley Kubrick nel 1968 come apologo della fine dell’illusione dell’ uomo di controllare la macchina, trovò conferma nell’anno in cui il terrorismo islamico raggiunse il proprio apice, demolendo l’incrollabile certezza degli Stati Uniti in merito al controllo della propria sicurezza nazionale mai violata in modo così eclatante e drammatico al punto che, come ebbe a dirmi Paolo Mieli presente a Palermo in quelle ore terribili per un evento promosso dall’Amministrazione Provinciale a Villa Giulia: “Niente sarà più come prima”.
Una frase che molti, soltanto successivamente, avrebbero pronunciato, non sempre a proposito. Infine, un accenno prudente all’allarme durato alcuni mesi nel 2012 a seguito della cosiddetta profezia dei Maia in merito alla “fine del mondo” o, almeno, di un ciclo di vita di esso, prevista nel dicembre di quell’anno e che fece la fortuna del cinema “catastrofico”.
Tenuto conto degli errori minimi registrati tra le osservazioni degli astronomi dell’antichità rispetto a quelle attuali, possiamo ipotizzare che – vista anche l’ambiguità grafica della nozione di zero di origine olmeca (civiltà pre-colombiana che precedette quella maia) e sulla quale i matematici arabi fecero chiarezza soltanto tra il VII e l’XI secolo, introducendo il calcolo decimale come lo conosciamo oggi – non si fossero discostati più di un’unità dalla verità e indicando un numero ancora una volta palindromo: 212 per segnalare il 2021 anziché il 2020?
Non possiamo saperlo, di certo c’è solo che il mondo, scosso in ogni parte sin nel profondo, è cambiato in modo radicale e sta per inoltrarsi in un’epoca nuova ed incerta. Mentre non vorremmo incorrere nelle ire da parte del CICAP, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze – il benemerito centro sorto nel 1989 per iniziativa di Piero Angela e di un gruppo di scienziati, che tutela dalla tante balle che circolano, sulla rete e non solo, circa i fenomeni difficilmente spiegabili – bisogna ammettere che la nostra civiltà continua ancora oggi a interrogarsi sulla frase che William Shakespeare, o comunque si chiamasse il Bardo, fa rivolgere dal principe Amleto di Danimarca ai propri amici sulle mura del Castello di Kronborg a Helsingor, avvolto dalla nebbia:
“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante possa comprenderne la tua filosofia”.
Un’ affermazione forse poetica dettata dall’infelicità dell’indecisione che ritroveremo secoli dopo nel suo conterraneo Søren Kierkegaard, ma che al filosofo Giordano Bruno arso vivo come eretico in Campo dei Fiori nell’anno del Signore 1600, al padre della scienza moderna Galileo Galilei costretto a lungo all’abiura e al silenzio, al teologo gesuita e paleo-antropologo Pierre Teilhard de Chardin, nato proprio il primo maggio di centoquaranta anni fa e ammonito severamente dal Sant’Uffizio con un provvedimento canonico del 1958 che soltanto due anni fa si è deciso di riconsiderare e, infine, al fisico danese Niels Bohr, tra padri della fisica quantistica, sicuramente non era sfuggita.
Come non è sfuggita a chi scrive, si parva licet, l’occasione di riflettere in questo articolo della domenica per i pazienti lettori de Lo Spessore, con altre categorie e con uno spirito inusuale, su un anno che si ripeterà soltanto con la citata data palindroma bisestile del 29.02.2092, trovando, si spera, un mondo diventato nel frattempo più semplice e più saggio.
Saluti dal futuro.