La Fantascienza è un genere letterario nato nella seconda metà del diciannovesimo secolo ma che si sviluppa e prende concretezza e fama nel ventesimo secolo. Essenzialmente è un genere che trae la sua forza nell’immaginazione e include tante contaminazioni con diverse metodicità e intrecci narrativi pregni di elementi legati alla filosofia, alla scienza, all’essere umano e alla sua contemporaneità ma non solo. Nonostante la collocazione temporale delle narrazioni siano prevalentemente futuriste, il genere fantascientifico è applicabile anche ad un presente per quanto descritto in modo distorto spesso non coerente quindi alla realtà.
Tra i tanti concorsi dedicati a romanzi e racconti di Fantascienza, il Premio Urania gode senza alcun dubbio di pregio e considerazione poichè consente al vincitore l’onore di aver garantita la pubblicazione del romanzo vincitore includendolo tra le varie uscite mensili nel corso dell’anno.
Molti talenti che hanno potuto coronare il loro sogno di scrittori di successo del genere hanno vinto premi in vari concorsi tra cui anche il premio Urania che dal 1952 ogni mese pubblica un romanzo e spesso in collane parallele e speciali periodiche, riproponendo per il piacere degli appassionati romanzi editi dei “padri del genere” che hanno rappresentato e rappresentano la storia della letteratura di Fantascienza.
Con un certo orgoglio risulta evidente che l’Italia offre un contributo notevole al genere grazie ai vincitori del premio che ogni anno confermano la bellezza e l’imponenza di un genere complesso che richiede un notevole bagaglio di fantasia e di capacità narrativa coerente con certe dinamiche descrittive che impongono una capacità “tecnica” di intrattenimento allo scopo di appassionare il lettore e tenerlo seduto in poltrona stimolandolo nella lettura senza interruzioni e imprigionandolo virtualmente all’interno della trama che scorrendo acquisisce il suo interesse e la sua curiosità pagina dopo pagina.
E’ proprio quel che accade durante la lettura del romanzo “Le ombre di Morjegrad” della scrittrice Francesca Cavallero dalla Val Bormida nel savonese; romanzo vincitore del premio Urania 2018, (il premio relativo all’anno 2019 è stato già ufficializzato ma ancora non pubblicato); giovanissima autrice nata nel 1982 si laurea in Scienze Giuridiche a Genova e conseguirà successivamente il Dottorato di ricerca in Arte e Tecnologie Multimediali e come freelance si dedica a lavori di grafica. La sua totale devozione al genere Fantascientifico la porterà a partecipare a vari concorsi e premi letterari sfiorandone la vittoria con il Premio Stella Doppia con il racconto “Come polvere di una clessidra rotta”.
Il suo romanzo vincitore della trentesima edizione del Premio Urania “Le ombre di Morjegrad” ci immerge in un futuro terribilmente possibile e probabile che sembra il risultato di un degrado e di una decadenza di valori che avanza già nel nostro presente. Un luogo oscuro dal nome Morjegrad, una metropoli dove la concentrazione di sfruttamento del lavoro, delle risorse ambientali rappresenta un incubo persistente in cui nascere dalla parte sbagliata di un “muro divisorio” costituisce il paradosso di una atroce condanna ad una vita tormentata e vessata senza alcuna speranza di giustizia. Un incubo raccapricciante dove l’essere umano diviene “oggetto” senza sostanza e con un destino di sfruttamento…ma tra le povere ombre della città-stato una speranza, una ribellione, forse, sembra fare capolino…
La scrittrice Francesca Cavallero non sembra fermarsi alla vittoria del suo romanzo; Urania rilancia e scommette sul suo talento offrendole spazio per un racconto inedito che sarà inserito nella collana di racconti dal nome Millemondi in uscita a giorni.
Era doveroso contattare la scrittrice per porle qualche domanda e conoscere meglio la sua personalità:
Nel complimentarci per il romanzo vincitore del premio Urania 2018, le rivolgiamo alcune domande per conoscerla e per offrire ai lettori un quadro più esaustivo possibile relativo al suo talento. Il genere fantascientifico è uno dei generi più complessi da romanzare perché richiede una preparazione tecnica e scientifica per non cadere nella trappola del banale che spesso tende a ridicolizzare l’intera trama dell’opera. Che ne pensa?
La complessità, per me, è anche sinonimo di apertura, vissuta come sfida e occasione di approfondimento. Ovviamente, non tutti gli autori di fantascienza sono tecnici o scienziati con il demone della scrittura, ma oggi le possibilità di informarsi sono parecchie ed è sicuramente un bene approfittarne, a prescindere dalla propria formazione. Tuttavia, penso che sia soprattutto fondamentale onorare i principi di plausibilità e verosimiglianza all’interno del contesto (o del mondo!) che si vuole costruire, per quanto fantasioso o sopra le righe esso sia. Secondo me prestare una grande cura nel gestire la coerenza interna (che riguarda atmosfera e dettagli, personaggi e relativo background, azioni e reazioni ecc.) consente al lettore di lasciarsi coinvolgere anche dalle trame più audaci.
Quanto è stato lungo il parto del romanzo e che timori può avere uno scrittore che concorre ad un premio così prestigioso come quello Urania?
Molti frammenti del romanzo (alcune descrizioni, alcuni dialoghi, le “bozze” dei personaggi) sono nati nel corso di anni. Si può dire, dunque, che le suggestioni per l’ambientazione arrivano da un mondo che bussa alla mia immaginazione da tanto tempo. A un certo punto, però, è venuto naturale mettere insieme i pezzi: per la stesura vera e propria ho impiegato circa un anno e mezzo. È stato un periodo intenso, perché cerco sempre di trattare e rileggere i miei testi con tutta l’autocritica e l’oggettività possibile: desideravo onorare la prestigiosa tradizione del Premio e della Collana. Avrei voluto partecipare tante volte, ma non mi sono mai sentita pronta fino al 2018, quando finalmente ho deciso di buttarmi.
Morjegrad è un luogo creato dalla sua fantasia ma sembra invece essere una predizione basata sul disinteresse umano per le risorse ambientali dove distinzioni di classe sempre più estreme mirano allo sfruttamento del lavoro etc. Per lei i romanzi di fantascienza devono in qualche modo mantenere un filo sottile che li lega alla realtà di oggi?
Più che una predizione è una proiezione e un esorcismo delle mie paure, che nascono dalla osservazione della realtà. Temo infatti che, se l’umanità dovesse trovarsi a ricominciare da capo su un nuovo pianeta, dopo aver distrutto la Terra, commetterebbe gli stessi errori che l’hanno portata alla rovina. La fantascienza mette a disposizione strumenti molto potenti per interpretare (e riscrivere) il reale e le sue manifestazioni, immaginandone un’evoluzione non solo a livello scientifico e tecnologico, ma anche sociologico, economico e, perché no, anche psicologico. Ma questo, in effetti, è il mio modo di approcciarmi al genere, che amo molto nella sua declinazione distopica. Certamente non è l’unica prospettiva che si può assumere. La fantascienza consente infatti grande speculazione, può farsi crocevia di contaminazioni e universi, per cui non credo che sia strettamente necessario rimanere in qualche modo ancorati alla realtà di oggi: ci sono talmente tante sfumature da contemplare!
Se lo aspettava di vincere il premio?
Come ho detto, faccio molta autocritica, penso che ci sia sempre margine per migliorare… non mi aspettavo di vincere il premio perché sono molto dura con me stessa, a volte decisamente troppo. Ora, però, guardandomi alle spalle, mi sento orgogliosa del lavoro che ho fatto: buttarsi, qualche volta, non guasta!
Urania apprezza il suo operato pubblicando prossimamente un suo racconto nella raccolta Urania Millemondi. Il suo percorso sembra essere felicemente indirizzato verso questo genere. Si sente incoraggiata da questo o preferisce anche estendere il suo talento con romanzi o racconti di altro genere?
Dopo lungo peregrinare fra generi diversi, penso che la fantascienza sia la strada che ho tanto cercato. È un genere, come diceva Lei, complesso, affascinante, ricco di possibilità, in grado di consentire anche un certo livello di sperimentazione stilistica. Un universo tutto da esplorare, insomma, di cui non credo che mi stancherò tanto presto!
Ci racconta in breve la sua metodologia di lavoro? Quanto tempo trascorre a scrivere? È una scrittrice che torna spesso a correggere e riscrivere o la sua stesura prevede la scrittura complessiva ed eventuali altre correzioni successive?
È difficile definirlo “metodo”, perché devo ammettere che si tratta di un processo piuttosto selvaggio, che solo negli ultimi anni ho imparato a disciplinare con una scaletta vera e propria. Scrivo in tre modi: prima con gli occhi, perché sono le immagini ad apparire per prime sulla soglia della mia fantasia, fotogrammi di storie che devono ancora nascere, ma di cui inizio a percepire i colori, alcuni dettagli, i visi dei personaggi o una specie di inquadratura mentale. Poi scrivo “con la pancia”, perché da quelle immagini nascono sensazioni, emozioni, le espressioni e il vissuto dei personaggi, che iniziano a sussurrarmi il loro background e ciò che stanno facendo. Infine, scrivo con la testa: è come unire i puntini. In questa fase strutturo i dialoghi, tratteggio con chiarezza la trama. Dopo queste tre fasi ci sono quelle che preferisco: la rilettura (in silenzio e ad alta voce) e la calibrazione dei dettagli, delle sfumature. Scrivo principalmente di notte e in ogni momento libero dal lavoro. A volte mi accorgo di scrivere anche mentre non lo sto facendo, perché l’ispirazione può arrivare da un dettaglio qualsiasi della giornata, come se una parte di me vivesse sempre agganciata alla storia a cui sto lavorando… per questo ho sempre con me il mio quaderno per gli appunti.
Quali reputa essere i suoi maestri di Fantascienza?
In particolare direi Bradbury, Orwell, Simmons, Dick, Gibson, Lovecraft e Poe.
Cosa consiglia a chi volesse intraprendere la strada dello scrittore di Fantascienza nell’anno storico della pandemia mondiale?
Consiglio di lasciar depositare le emozioni e farne sempre tesoro, per poterle osservare e utilizzare al meglio. Per esempio, in questi mesi stiamo assaggiando un futuro distopico descritto da decine di libri e di film, ma per il quale non eravamo preparati, né dal punto di vista psicologico né dal punto di vista pratico. Facendo di necessità virtù, e cioè analizzando se stessi in un momento quasi inedito (temuto eppure imprevisto dalle persone) nella nostra attuale civiltà, è possibile sentirsi più vicini a vicende che sono sempre state immaginate in un futuro lontano. Infondere il proprio vissuto dentro personaggi che agiscono in un contesto fantascientifico è importante per poter innescare quel meccanismo di identificazione che riesce a rendere “veri” anche i contesti più arditi. Senza dimenticare che a volte la realtà supera l’immaginazione…