Qualche giorno fa ho partecipato, in qualità di relatore, ad un incontro dal titolo: “Il linguaggio della politica”, organizzato dall’ANDE di Agrigento (Associazione Nazionale Donne Elettrici), presieduta dalla Dottoressa Carola Depaoli, e si è svolto presso il Consorzio Universitario Empedocle. L’evento è stato introdotto brillantemente dalla professoressa Francesca Patti. Ho avuto il privilegio di relazionare con il professor Luciano Carrubba, Docente di filosofia e l’on. Antonino Mangiacavallo Presidente ECUA, entrambi eccellenti. Ha moderato divinamente Carola Depaoli.
Durante la mia relazione ho affrontato quello che è cambiato e quello che sta cambiando nella comunicazione politica.
Siamo di fronte ad un contesto sociale che si caratterizza per un clima di disorientamento culturale, nel quale la digitalizzazione della società sembra offrire terreno fertile alla proliferazione di comportamenti sempre più estremi, che hanno un impatto sul sistema di valori e di relazioni ad essi connesse.
La politica ha assunto contorni diversi e complessi e Evgenij Morozov, sociologo e giornalista bielorusso ha dato una definizione che deve farci riflettere. La politica opera sul paradigma del compromesso. “Non è perfetta: alcuni cittadini potranno restare delusi”. L’insoddisfazione è evidente e i risultati non tardano ad arrivare.
Nell’era della disintermediazione, come sostengono i sociologi Cristopher Cepernich e Edoardo Novelli, la transizione dei contenuti a carattere pubblico, e quelli di interesse politico, nei media ha portato al prevalere della logica dei media su quella della politica.
Purtroppo, ci dice il sociologo Brian McNair, la manipolazione come strategia degli attori politici ha un effetto diretto sul modo in cui si forma l’opinione pubblica e quindi il consenso.
La politica, avverte il sociologo Henry Jenkins, dunque sembra sfruttare la disintermediazione per una costruzione del potere fondato sull’annullamento del processo di costruzione della conoscenza, dove non trova spazio la cultura partecipativa per lasciare spazio alla polarizzazione e ad una opinione pubblica fondata sulla misinformation.
Risulta così evidente che il punto di partenza dei cambiamenti che la comunicazione politica sta attraversando e, più in generale, il rapporto tra politica e cittadini, è certamente il concetto di post verità. Il prefisso “post” non significa “next” ma piuttosto un ambiente in cui la verità è irrilevante e prevalgono le credenze radicate nelle emozioni. Il motore della post verità sono le notizie false che, con l’effetto megafono dei social network sono in grado radicare saldamente nella percezione dell’opinione pubblica
Ma non solo. Il privato viene utilizzato dal politico in chiave propagandistica per costruire un’aurea di autenticità e immediatezza con il proprio pubblico, fidelizzandolo, all’interno di un discorso che sfrutta la disintermediazione per creare uno “pseudo” filo diretto con l’utente, ma che in realtà utilizza la trasversalità, la crossmedialità e il meccanismo delle casse di risonanza per conquistare spazio e persistenza in tutti i flussi mediatici.
Un indebolimento che alimenta la forza del linguaggio populista. I media diventano strumenti per governare il potere, e questa connotazione dello strumento ci riporta alla definizione di bias, introdotti dal sociologo Harold Innis, che circoscrive la specifica proprietà del medium come: influenza, tendenza, deformazione, pregiudizio.
Ciò ha contribuito alla costruzione di legami deboli, in pseudo comunità chiuse, che non costruiscono forme concrete di partecipazione. Sintomo più evidente di questa incapacità è rappresentato dalla continua e incessante diminuzione degli elettori.
“La causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa d’esser uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà”. Il Premio Nobel agrigentino, lo scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello, così esprimeva dubbi sulla democrazia. Dubbi che ci assalgono ogni giorno di più vedendo l’altro astensionismo elezione dopo elezione.
Un recente articolo scritto dal ricercatore Enzo Risso, pubblicato su Il Domani, mostra il peso dell’astensione al voto in Italia.
Le ultime elezioni regionali in Lazio e Lombardia hanno evidenziato la disaffezione dei cittadini verso il diritto-dovere di voto.
A questo punto, ci spiega il sociologo Michele Sorice, la democrazia diventa azienda, con conseguente danno della rappresentanza e caduta della partecipazione che lascia spazio al prevalere dell’esercizio episodico e intermittente del voto.
Un processo che interessa molti paesi occidentali ma che in Italia appare particolarmente consistente e che mette in crisi l’equilibrio tra volontà e opinione che, nella visione di Nadia Urbinati, politologa e giornalista, rappresentano i due poteri dei cittadini sovrani.
La volontà si indebolisce, perché le procedure che regolano la formazione delle decisioni si indeboliscono. L’opinione nasce attraverso le comunità social e diventa social politica che si muove cercando lo scontro per ottenere il consenso.
La pandemia ha acuito dinamiche latenti e ha avuto un impatto incredibile sulla vita delle persone. La disinformazione ha contribuito ad alimentare il clima di paura e disorientamento, cancellando buona parte delle consapevolezze. Il ruolo delle agenzie di comunicazione ha contribuito ad alimentare un clima di incertezza e paura. È aumentata l’information gap con la conseguenza di una bulimia comunicativa abbastanza grave.
Il mondo liquido e la società liquida hanno favorito le strutture dell’inganno, dove gli individui si aggregano per condividere le idee simili e si chiudono nella loro zona comfort.
Gli ultimi due anni, dalla pandemia allo scoppio del conflitto russo-ucraino, ci hanno fornito le prove della crisi della credibilità politica. Leonardo Sciascia, scrittore agrigentino, ha fornito un’analisi che risulta essere attuale: “La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”. Non serve aggiungere altro di fronte alle tante “aggressioni” che arrivano da un’eccessiva babele comunicativa.
[immagine dal sito bitmat.it]