E’ esistita un’epoca in cui le rivoluzioni coinvolgevano la vita delle persone, modificavano i luoghi che essi abitavano e per entrambi costruivano un nuovo destino. Al tempo dei flash mob che durano lo spazio di un mattino, dei “restyling” politici o istituzionali spacciati per radicali mutamenti e di attori buoni per ogni stagione che ripropongono sè stessi in un eterno presente, trovo doveroso fare memoria di fatti e persone che, sovente, diedero la propria esistenza in omaggio all’idea di un futuro più giusto e più degno per quanti sarebbero venuti dopo di loro.
Nonostante gli storici, a partire dal compianto Massimo Gangi, si siano a lungo divisi sul carattere più o meno popolare dell’evento del 12 gennaio, esso resta il moto risorgimentale che per primo si manifestò in quel fatidico 1848. Quella della Sicilia fu la miccia che propagò l’esplosione in Europa. Il 10 febbraio insorse Napoli malgrado re Ferdinando lo stesso giorno – pressato dagli inglesi – avesse in tutta fretta promulgato una Costituzione; il 15 Firenze, il 27 Parigi, i 5 marzo Torino, il 14 Roma, il 15 Vienna e Budapest, il 19 Berlino, il 22 Venezia, il 23 Milano. Il termine “fare un ‘48” sarebbe presto entrato nel linguaggio comune come sinonimo di rivoluzione.
Per rivivere quegli eventi, propongo una salutare ed istruttiva passeggiata “ad anello” attraverso le vie del Centro Storico.
L’itinerario, che a mio avviso meriterebbe un’apposita sezione nelle guide turistiche della Città sia cartacee che sul web, si sviluppa iniziando proprio dalla piazza della Rivoluzione. La piazza è disseminata di lapidi commemorative che ne ricordano gli eventi storici in essa avvenuti. Al centro della piazza, la fontana con la statua del Genio di Palermo che fu fatta collocare dal pretore Strozzi nel 1687.
Nella piazza originariamente denominata “della Fieravecchia” iniziò la rivoluzione del 1848 il giorno 12 gennaio. Di particolare interesse è un indice metrico posto in alto su uno dei lati dopo l’unificazione, a tutela dei consumatori del tempo per confrontare le antiche misure in uso a Palermo con quelle introdotte dal Regno d’Italia.
Avviati per via Cantavespri, si gira a destra per piazza Croce dei Vespri su cui prospettano Palazzo Valguarnera –Ganci e l’ingresso dell’attuale Galleria d’Arte Moderna (GAM) intitolata ad Empedocle Restivo e restituita alla Città a partire dal 1996, dopo quasi un secolo di “provvisoria” sistemazione nel ridotto del Teatro Politeama.
Sotto piazza Croce dei Vespri furono sepolti i conquistatori angioini massacrati dalla popolazione inferocita durante la rivoluzione dei Vespri, nel 1282. Anche essa era stata diretta contro un re napoletano e aveva rivendicato l’indipendenza siciliana. Il ricordo e la celebrazione dei Vespri costituiva argomento di contrasto tra governo borbonico e popolazione siciliana anche per questo significato simbolico che ricopriva.
Si prosegue per l’attigua piazza S. Anna (oggi isola pedonale e divenuta set di molte produzioni cinematografiche e televisive) e, attraversata la via Roma che bisogna immaginare come non esistente in quanto realizzata tramite sventramento del tessuto urbano dopo il 1895, si percorre la via Calderai seguendo il tracciato che probabilmente compirono gli insorti nell’avvicinarsi ai centri del potere cittadino. Si giunge così alla via Maqueda e si gira subito a destra nella via Amodei che confluisce in via Università. In questo luogo avvenne lo scontro con la cavalleria napoletana e il primo a cadere fu Pietro Amodei, cui venne successivamente intitolata la stradina di collegamento con la via Ponticello sotto cui scorre ancora oggi il fiume Kemonia. Le truppe borboniche, preoccupandosi di restare intrappolate nel centro della città, si ritirarono.
Nella facciata laterale del palazzo dell’Università, nella via omonima, di fronte al confluire della via Amodei una lapide ricorda “QUI IL 12 GENNAIO 1848 PIETRO AMODEI PRIMO MARTIRE DEL POPOLO INSORGENTE SPIRAVA LA GRANDE ANIMA PAGO DI SIGILLAR COL SANGUE LA SUA IMMOBILE FEDE NELL’INDIPENDENZA SICILIANA”
Nel luogo era situata la statua di San Gaetano sui gradini del cui piedistallo morì Amodei, la statua fu poi rimossa per ordine del marchese di Rudinì e si trova ora a Brancaccio alla confluenza tra la via Brancaccio e la via San Ciro.
Attraversata la via Maqueda, si gira intorno al Palazzo del Municipio, sede da secoli dell’amministrazione cittadina, il cui capo fino al 1860 aveva il titolo di pretore e non di sindaco ed era una carica da lunga tradizione riservata ad un aristocratico. Il palazzo nel 1860 si ritrovò situato nell’area della città conquistata dagli insorti e dai garibaldini e, mentre durava ancora la battaglia di Palermo, fu centro di una grande manifestazione popolare di fronte a cui Garibaldi, affacciatosi al palazzo, si impegnò a non venire a patti con i Borbone. Delle ambiguità di quei giorni e di quelle che oggi chiameremmo fake news, si è occupato, con lo stile tra saggio e romanzo che gli era proprio, Umberto Eco ne Il Cimitero di Praga, edito da Bompiani nel 2010.
Avvincenti le ipotesi romanzesche circa l’affondamento del battello postale Ercole che trasportava da Palermo a Napoli il padovano Ippolito Nievo, già noto, seppur giovanissimo, come poeta e scrittore romantico. Fervente patriota, grande idealista e persona molto retta, era vice intendente di Garibaldi e conosceva le molte “magagne finanziarie” tra cui i fondi neri della massoneria inglese usati per corrompere i generali borbonici Francesco Landi a Calatafimi e Ferdinando Lanza a Palermo, il trafugamento dell’oro del Banco di Sicilia e tante altre malversazioni che lo avevano indignato. Nievo intendeva far chiarezza su tutto ciò portando a Torino i libri contabili della spedizione dei Mille. Il piroscafo esplose al largo di Stromboli e nel naufragio perirono 78 persone tra passeggeri e componenti dell’equipaggio. Si pensò immediatamente a un sabotaggio alle caldaie della nave ma, altrettanto tempestivamente, l’inchiesta fu insabbiata. Fu la prima “strage di Stato” nella storia d’Italia? C’è chi ancora oggi lo pensa. Il capolavoro di Ippolito Nievo Le confessioni di un italiano (poi divenuto Le confessioni di un ottuagenario) fu pubblicato postumo nel 1867 dall’editore Treves di Milano.
Nel 1866 la popolazione insorta ne cacciò il marchese di Rudinì, capo dell’amministrazione cittadina e rappresentante degli interessi dell’aristocrazia fondiaria. Riattraversata la via Maqueda si imbocca la via Giuseppe d’Alessi, che ricorda il capo della rivolta di Palermo del 1647 e gli avvenimenti che in quell’epoca si svolsero nell’attigua chiesa di San Giuseppe, e la si percorre fino a vicolo Castelnuovo per cui si gira a destra.
Nel vicolo al civico numero 11 aveva il proprio palazzo Carlo Cottone Principe di Castelnuovo leader del movimento rivoluzionario del 1812. Dopo il golpe assolutista del 1816 egli si chiuse nel palazzo rifiutandosi di riconoscere la legittimità del nuovo regime.
Si risale quindi il corso Vittorio Emanuele, attuale denominazione della via già intitolata al viceré Garcia de Toledo, ma che conserva nella memoria di molti palermitani il nome più antico di Cassaro (dall’arabo Al Kasr: via che conduce al Castello). Si giunge alla Villa Bonanno, alla Piazza Vittoria ed alla Piazza del Parlamento, avendo di fronte il Palazzo Reale ed a destra il contiguo quartiere di San Giacomo, tuttora adibito ad uso militare. La vegetazione non consente di cogliere la vastità della superficie complessiva, che portava tradizionalmente il nome di Piano del Palazzo. Una parte di essa è adesso intitolata alla Vittoria a ricordo di quella riportata dal popolo palermitano nella rivoluzione del 1820. Qui infatti durante il Festino di Santa Rosalia maturarono rapidamente fermenti di rivolta che produssero l’assalto al palazzo e la presa del potere da parte delle maestranze artigiane.
Si ritorna indietro per corso Vittorio Emanuele, piegando a sinistra ai Quattro Canti e, attraversata la via Maqueda, si percorre la via Venezia. Nella zona era insediato il quartiere della maestranza artigiana dei conciapelle. Nel 1820 i conciapelle furono la forza trainante della rivoluzione e per questo motivo il generale napoletano Nunziante, a regime restaurato, ne rase al suolo gran parte del quartiere. Le aiuole al centro della piazzetta di via Venezia, una volta chiamata piazza Nuova o Bocceria nuova, sono i segni di questo sventramento e della successiva sistemazione. L’azione di trasformazione del rione Conceria fu poi ripresa dal regime fascista nell’area dove sono situate le vie Bari e Napoli con distruzione massiccia di assetto urbano e monumenti.
Attraversata nuovamente la via Roma si giunge alla chiesa di San Domenico che fu sede il 25 marzo del 1848 della seduta inaugurale del parlamento generale di Sicilia. Nella chiesa vi sono i monumenti funebri di alcuni dei protagonisti dell’epoca e, dal 2015, la tomba di Giovanni Falcone. Uscendo dalla chiesa si piega a destra per la via Gagini, passando dinanzi alla Società Siciliana di Storia Patria, fino ad arrivare alla via Seminario Italo-Albanese, per girare poi a sinistra per la via Monte Santa Rosalia. L’edificio a destra, Palazzo Branciforte, con ingresso dalla via Bara all’Olivella e attualmente sede della Fondazione Sicilia, era in origine il Monte di Pietà Santa Rosalia presso il quale la povera gente depositava in pegno i propri beni d’uso comune a garanzia di piccoli prestiti. Proprio nel 1848 la marina napoletana bombardò Palermo insorta e i proiettili provocarono un incendio nel palazzo distruggendo i beni che vi erano custoditi.
Per domare Palermo nuovamente insorta, molto più estesa fu la zona bombardata nel 1866 dalla marina sabauda e molto più distruttivo il bombardamento per effetto delle innovazioni nelle artiglierie. Dalla via Bara all’Olivella si gira a destra per la via Lampedusa -dove sorgeva un tempo il palazzo dell’autore del Gattopardo, distrutto nel 1943 – e poi a sinistra per la via Valverde.
Si giunge alla via Squarcialupo, intitolata così perché nei pressi fu assassinato il capo della rivolta repubblicana del 1517, Gian Luca Squarcialupo. Nell’edificio, costruito nel 1617 come Orfanotrofio maschile del Buon Pastore, ha sede il Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini.
Percorsa questa via verso piazza Valverde, si giunge alla via Meli, girando poi a destra per via Materassai, piazza Garraffello e poi via Garraffello e si attraversa il corso Vittorio Emanuele. Lo si discende per una trentina di metri fino a via Parlamento che girando a destra si percorre fino al numero 32, dove in cima ad una breve rampa hanno sede la Biblioteca francescana e l’Officina di Studi Medioevali.
Al primo piano dell’edificio, che è il complesso conventuale di San Francesco, ebbe sede ordinaria il parlamento generale di Sicilia nel 1848 e 1849 in due sale configurate a elle, una per la camera dei pari, l’altra per quella dei comuni. Uscendo dall’edificio si gira a sinistra giungendo alla via Immacolatella, percorrendola fino a piazza San Francesco d’Assisi. Si discende a destra lungo la via dei Cintorinai.
Oggi è denominata via Alessandro Paternostro – giovane giurista e poi senatore del Regno che aveva partecipato alle giornate del 1848 e, dopo l’esilio in Egitto, era tornato a Palermo per i moti del 1860 – dove residuano le tracce di antiche botteghe di borse e cinture, fino a raggiungere corso Vittorio Emanuele (Cassaro basso) e piazza Marina. Lasciata a sinistra la mole dello Steri di fronte a cui fu decapitato nel 1410 Andrea Chiaramonte capo della resistenza baronale al re aragonese Martino si raggiunge via del 4 Aprile da dove, qualche metro a sinistra sulla via Alloro, è bene evidente la Buca della Salvezza da cui fuggirono due superstiti della sommossa della Gancia del 4 aprile 1860. Più avanti sulla destra al civico 97 si situò nel 1892 la sede dei Fasci dei Lavoratori. Il numero civico è oggi inesistente e l’edificio è stato demolito recentemente per costruire un nuovo fabbricato. Si prosegue per via dell’Alloro fino a quando si giunge ad avere a sinistra la via Aragona che si percorre ritornando in quella piazza Rivoluzione da cui è iniziato il percorso.
Auspicando che i Siciliani di oggi non abbiano perduto lo spirito di ribellione che contraddistinse gli antenati, non resta che augurare ai lettori de Lo Spessore e a tutti i cittadini che conoscono ed amano il valore della memoria, una buona passeggiata settembrina nella storia del Risorgimento a Palermo.