Il partito fondato da Renzi dopo la scissione col PD è in caduta libera. Le preferenze degli italiani per il suo partito sono in picchiata: dal 12% sono scese ad un 4,3% dello scorso anno. Eppure lui non sembra voler rinunciare a fare la prima donna sia in Italia che all’estero.
Dopo aver spaccato il PD (un cammino durato anni: ancora non è chiaro il motivo dei suoi incontri con Berlusconi, leader dell’opposizione, quando non era nemmeno segretario del Partito Democratico), ha costretto il governo Conte bis a dimettersi (cosa gravissima in un momento come quello attuale nel quale si va avanti a colpi di DPCM). Durante i sondaggi al Quirinale, prima ha dichiarato di non voler andare alle elezioni (consapevole, forse, di non avere i numeri nemmeno per superare la soglia di sbarramento), poi ha detto di volere un nuovo governo di larghe intese (ma non è ancora chiaro con chi).
Ancora peggio all’estero. Pochi giorni fa, a Riyadh, in Arabia Saudita, Renzi ha partecipato a due eventi (c’è stato anche chi ha parlato di una fee di decine di migliaia di dollari per fare avanti e indietro dall’Arabia Saudita a bordo di jet di lusso).
Prima un convegno organizzato dal think tank Future investment iniziative, fondazione saudita, definita la “Davos del deserto”, della quale Renzi fa parte del board formativo accanto a personalità di spicco come il figlio del re, Mohammad bin Salman, e principe ereditario, Richard Attias, consigliere di leader internazionali, aziende e nazioni, o Yasir O. Al-Rumayyan, governatore del Fondo per gli investimenti pubblici dell’Arabia Saudita dal 2015 nonchè presidente di Saudi Aramco, la società quotata più preziosa al mondo.
Poi, alla tv di stato saudita, in una intervista nel corso della quale ha profuso grandi elogi per il paese ospitante e per il suo leader, Mohammed bin Salman. “È un grande piacere e un grande onore essere qui con il grande principe Mohammed bin Salman”, ha esordito Renzi. Poi, in un impeto di non si sa cosa, ha paragonato l’Arabia Saudita di oggi all’Italia del Rinascimento. Secondo Renzi l’Arabia Saudita potrebbe “essere il luogo per un nuovo Rinascimento”.
Subito dopo Renzi, forse per giustificare il proprio ruolo “tecnico” nel think tank saudita, ha parlato del costo del lavoro in Arabia Saudita dicendo che “da italiano, lo invidia”.
Se a pronunciare queste parole fosse stata una persona qualunque, nessuno avrebbe avuto niente da obiettare ascoltando sdolcinate parole chiaramente destinate ad adulare l’ospite più che ad una analisi macroeconomica e geopolitica. Ma il sig. Renzi è anche un personaggio politico e, cosa più importante, è ancora (almeno fino alle prossime elezioni) senatore del Parlamento italiano.
Per questo, parlare di “invidia” in un discorso sulle scelte del governo saudita sul mercato del lavoro ha lasciato molti attoniti.
Possibile che Renzi non sappia che in Arabia Saudita il costo del lavoro è basso perché i sindacati e gli scioperi sono considerati illegali e i lavoratori non hanno diritti? Secondo molti, lavorare in Arabia Saudita, specie per gli immigrati provenienti dal Sud Est asiatico, in massima parte impiegati nei lavori domestici e nelle imprese edili, ricorderebbe “pratiche schiavistiche” (nonostante la schiavitù sarebbe stata abolita nel 1962). E che è grazie a questi “schiavi moderni” che i ricchi arabi hanno potuto erigere città dal nulla, in mezzo al deserto, dotandole di servizi inimmaginabili e microclimi artificiali. Hanno potuto farlo anche grazie alla totale assenza di norme che proteggono adeguatamente i lavoratori migranti. É questo il Rinascimento cui aspira Renzi?
Renzi sembra non sapere che, in Arabia Saudita, sono migliaia i detenuti stranieri rinchiusi nelle carceri solo perché privi di documenti o fuggiti dalle case dove lavoravano. Sembra non sapere che il governo li ha volutamente esclusi dalla Labour Law, che protegge un pochino solo i lavoratori locali. Sembra non sapere che, solo a seguito delle pressioni esercitate da Human Rights Watch e dalla comunità internazionale, il governo saudita ha accettato di sottoscrivere, nel 2010, la convenzione ILO (International Labour Organization) n.189.
Parlare di questo paese come di un nuovo centro del Rinascimento è spaventoso. Basti pensare che fino al 2019, l’Arabia Saudita si è addirittura rifiutata di rispondere alle richieste del Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei migranti e del Relatore speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani di poter visitare il paese.
Quello osannato da Renzi è il paese che ha guidato la “coalizione militare impegnata nel vicino Yemen, le cui forze sono implicate in crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale” come riporta la scheda di Amnesty International sul paese. Qui, sempre secondo Amnesty International, “le autorità hanno intensificato la repressione sui diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione” e “hanno vessato, detenuto arbitrariamente e perseguito penalmente persone critiche nei confronti del governo, difensori dei diritti umani, membri della minoranza sciita e familiari di attivisti”.
Possibile che Renzi non sappia che, come ha dimostrato Amnesty International, ad aprile scorso, le autorità saudite hanno arrestato 14 persone, ree soltanto di avere pacificamente appoggiato il movimento per i diritti delle donne e le attiviste per i diritti umani. Tra loro Loujain al-Hathloul condannata al termine di un processo che Amnesty definisce “iniquo”, per “spionaggio per potenze straniere” e “cospirazione contro il regno” saudita. E questo solo per “aver promosso i diritti delle donne. Una condanna che “mostra ancora una volta la crudeltà delle autorità saudite nei confronti di una delle più coraggiose tra le donne che hanno osato cercare di rendere concreto il loro sogno di un’Arabia Saudita migliore”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
Ma non basta. Forse Renzi ha dimenticato che l’Arabia Saudita è uno dei pochi paesi al mondo dove si pratica ancora la pena di morte: solo nel 2019, sono state eseguite 184 condanne a morte, il numero più alto nei sei anni precedenti. E alcuni dei condannati erano minorenni quando avrebbero commesso il reato di cui erano accusati. Una situazione che l’organizzazione per i diritti umani Reprieve ha definito una “tragica pietra miliare”. Altro che Rinascimento!
L’Arabia Saudita è anche un paese in guerra. Ora, a parte ogni ovvia considerazione sul lodare un paese responsabile di migliaia di morti innocenti, Renzi dovrebbe sapere che la legge italiana vieta la vendita di armi a paesi in guerra. Eppure, un’azienda italiana, nel 2016, avrebbe venduto 20mila bombe proprio a Riyadh. Proprio durante il governo Renzi (possibile che lo abbia dimenticato?). Solo recentemente, durante il governo Conte, è stata revocata la licenza di esportazione per le bombe ancor da inviare (oltre 12.700). “Da pacifista, prima ancora che da sottosegretario di Stato, sono estremamente felice del percorso fatto, insieme alla società civile e al Parlamento, per bloccare una vergogna lasciataci in eredità da Matteo Renzi ai tempi del suo mandato da premier, la maxi commessa da oltre 20mila bombe all’Arabia Saudita nel 2016, proprio nel momento peggiore della guerra in Yemen”, ha dichiarato il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano pochi giorni prima della partecipazione di Renzi alla cosiddetta “Davos del deserto” a Riyadh e del suo sdolcinato discorso sulla “culla del nuovo Rinascimento”.
Perfino gli USA, seppure tardivamente, hanno smesso di vendere bombe all’Arabia Saudita: tra i primi decreti firmati dal nuovo presidente americano, Joe Biden, c’è la sospensione “temporaneamente” della vendita di armi all’Arabia Saudita, in attesa di “riesaminare” la situazione. E nessuno ha definito l’Arabia Saudita il nuovo Rinascimento.
Da qualunque lato si guardi, il comportamento di Renzi non sembra trovare giustificazioni. Tanto più che non sarebbe una novità. Lo scorso anno, parlando alla Commissione che si occupa del caso Regeni, l’ex presidente del consiglio ha detto che “la non collaborazione egiziana è un falso, la non sufficiente collaborazione egiziana è la realtà”. Ancora una volta, parlando di “non sufficiente collaborazione”, Renzi sembra aver dimenticato che era lui a capo del governo italiano quando Giulio Regeni è stato ucciso e che è durante il suo mandato che sono cominciate le discussioni con l’Egitto. Ad oggi non c’è nessuna condanna per l’omicidio Regeni. Così come nessun è stato condannato per l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi assassinato nel 2018, in Arabia Saudita quello che per Renzi è il nuovo centro del Rinascimento.
E sulle scelte politiche di Renzi quando era capo del governo ci sarebbe molto da dire (forse anche più di quello che i giornalisti investigativi di Report hanno fatto emergere). Eventi, parole, dichiarazioni ma soprattutto fatti. Come quello che, solo pochi giorni prima di creare la crisi di governo, Renzi ha preteso a spada tratta che Conte lasciasse la presidenza dei servizi segreti e la affidasse a una “Autorità delegata”. Perchè?
La verità è che, nonostante tutti i suoi sforzi, Renzi non sembra un leader internazionale. Ma solo un tassello della politica del governo saudita che, da anni, continua a spendere miliardi di dollari nel tentativo di nascondere l’immagine del paese come violatore pervasivo dei diritti umani. Lo fa ospitando importanti eventi sportivi, parlando di cultura, organizzando grandi eventi per le multinazionali (come il Saudi PPPP: Plastics&Petrochem, Print e Pack in corso in questi giorni e poi agricoltura a ottobre e edilizia e GDO in due eventi a novembre) e mostrandosi al mondo come sede di un importante think tank con grandi personaggi internazionali come ospiti. Personalità tra le quali Renzi non è riuscito a fare il protagonista come avrebbe voluto. Anzi.