“Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori” scrisse ne “Il barone rampante” Italo Calvino. Oggi si fa un gran parlare di chiudere le frontiere per ridurre i rischi di attentati di natura terroristica legati all’esacerbarsi del conflitto israelo-palestinese. Ben undici paesi dell’UE, tra i quali l’Italia, hanno deciso di sospendere l’Accordo di Schengen.
Tante parole e tante chiacchiere spesso senza una certezza di risultati. E, come al solito, con molte cose non dette.
Cominciamo con l’Accordo di Schengen. Sottoscritto da 23 dei 27 paesi dell’UE prevede la creazione del cosiddetto “spazio Schengen” dove consentire a più di 400 milioni di persone di circolare liberamente, senza obbligo di sottoporsi ai controlli di frontiera. Oggi, sono circa 3,5 milioni le persone che attraversano le frontiere interne per motivi di lavoro, studio o visita a famiglie e amici, e quasi 1,7 milioni di persone risiedono in un paese Schengen mentre lavorano in un altro. Ma le vere ragioni alla base della decisione di eliminare le frontiere tra i paesi sottoscrittori sono altre: permettere la libera circolazione delle merci senza dazi e senza controlli. L’Italia e altri dieci paesi europei hanno sospeso il trattato di Schengen. In Italia la decisione riguarderebbe solo i confini con la Slovenia. La premier Giorgia Meloni ha detto che si tratta di una “questione di sicurezza nazionale”. “Il Governo italiano ha comunicato la reintroduzione dei controlli delle frontiere interne terrestri con la Slovenia, in base all’articolo 28 del Codice delle frontiere Schengen (Regolamento Ue 2016/339)”, si legge sul sito del governo. Premesso che non si capisce cosa impedirebbe ad un terrorista che volesse entrare nel nostro paese (o uscire dall’Italia) di entrare in Italia facendo il giro da altri paesi, come la Francia o la Svizzera, o di arrivare via mare, il governo dimentica che uno dei principali obiettivi che aveva portato alla decisione di creare lo “spazio Schengen” era proprio “proteggere i cittadini attraverso una maggiore cooperazione tra le forze di polizia, le autorità doganali e le autorità preposte ai controlli alle frontiere esterne di tutti gli Stati membri”. Schengen, infatti, non prevede solo l’abbattimento dei controlli alle frontiere: “riguarda la cooperazione nell’attività di contrasto, lo spazio Schengen consente: il miglioramento dei sistemi di comunicazione tra le forze di polizia, l’inseguimento transfrontaliero di criminali, la sorveglianza transfrontaliera delle persone sospettate, l’assistenza operativa reciproca, gli scambi diretti di informazioni tra le autorità di polizia”. Tutto questo, sempre secondo il Consiglio europeo, con “un vantaggio enorme nella lotta contro il terrorismo e contro le forme gravi di criminalità organizzata, compresa la tratta di esseri umani e la migrazione illegale”.
Chiudere le frontiere significa rallentare – se non arrestare – queste possibilità. Ma non basta. Il ministro Piantedosi si è affrettato a specificare che la misura avrà una durata temporanea e non definitiva: “Controlli al confine temporanei e proporzionali”. Ancora una volta una mezza verità: la sospensione degli accordi di Schengen non può non essere temporanea (a meno di non decidere di uscire definitivamente dall’accordo). L’accordo di Schengen offre agli Stati membri la possibilità di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere interne in caso di grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna. Ma “deve essere applicato come misura di ultima istanza, in situazioni eccezionali, e deve rispettare il principio di proporzionalità. La durata di tale ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne è limitata nel tempo, a seconda della base giuridica invocata dallo Stato membro che istituisce tale controllo di frontiera. La portata e la durata del ripristino del controllo di frontiera dovrebbero essere limitate al minimo indispensabile per rispondere alla minaccia in questione”. Quale sarebbe la minaccia non è chiaro.
Molti media si sono precipitati a dire che la persona di origine tunisina responsabile dell’attentato in Belgio era entrata in Europa passando dall’Italia. Ma secondo alcune fonti, sarebbe arrivato in Italia nel 2011. Cosa è successo da allora? E perché, visto che si trattava di un soggetto a rischio (era segnalato alle autorità) non si è pensato ad un procedimento di espulsione? Una foto lo ritrarrebbe a Genova nel 2021. Cosa è successo in questi dieci anni? Secondo Le Soir, nel 2019 aveva presentato una richiesta di asilo che però era stata rigettata. Aveva quindi ricevuto l’ordine di lasciare il territorio. Ma non l’aveva rispettata. Il premier belga Alexander De Croo ha cercato di giustificarsi dicendo che l’uomo “non era in un centro per richiedenti asilo, era a Bruxelles, non aveva più domicilio, e quindi i servizi non hanno potuto seguirlo”. Il quarantacinquenne tunisino, quindi, non era appena arrivato attraversando una delle frontiere sospese dal trattato di Schengen: viveva in Belgio da irregolare. E da molto tempo.
Ma l’aspetto più interessante, forse, è un altro: quasi sempre gli attentatori legati all’estremismo islamico che hanno commesso i loro attentati in Europa non erano “appena arrivati”. Secondo il centro di ricerca Startinsight – che ha analizzato le aggressioni terroristiche compiute dal 2014 al 2020 – solo il 16 per cento di queste sarebbero state realizzate da migranti irregolari (22 su 138). La stragrande maggioranza sarebbe opera di immigrati “regolari”, migranti di seconda o terza generazione. O da cittadini europei “regolari” che si sono convertiti all’Islam. Un fenomeno noto da molti anni. Già nel 2017, quando un terrorista si lanciò con un furgone sui pedoni che passeggiavano lungo la rambla a Barcellona gli analisti sottolinearono questo aspetto. L’attentato seguiva quelli di Parigi, di Bruxelles, di Londra di Nizza e di Berlino. Le indagini confermarono che quelle “cellule dormienti” non erano personaggi provenienti dai campi di addestramento terroristici e non venivano da paesi come la Siria o l’Iraq magari entrati in Europa come migranti: erano immigrati di seconda o terza generazione originari di paesi musulmani, ma che spesso si erano convertiti ed erano diventati estremisti molti anni dopo essersi insediati stabilmente.
Ma questo sembra non essere chiaro a molti. Il governo ha deciso di strumentalizzare quanto avvenuto per portare avanti la propria politica sui migranti. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha detto che “come ha dimostrato e dimostrano i fatti del Belgio, ogni giorno arrivano migliaia di persone e tra queste migliaia di persone può esserci chiunque”. Da qui la decisione di reintrodurre i controlli al confine con la Slovenia. “L’intensificarsi dei focolai di crisi ai confini dell’Europa, in particolare dopo l’attacco condotto nei confronti di Israele, ha infatti aumentato il livello di minaccia di azioni violente anche all’interno dell’Unione [europea]”, si legge nella nota pubblicata dal governo. Dimenticando che la decisione dovrebbe rispettare gli accordi di Schengen, ma soprattutto dovrebbe essere utile allo scopo. Quali sono le prove di arrivi di terroristi o potenziali tali dalla Slovenia? Interrompere la collaborazione alla frontiera con le altre polizie dell’UE (come prevede la sospensione degli accordi di Schengen) non potrebbe essere controproducente? Ma soprattutto, a cosa dovrebbe servire interrompere la libera circolazione di persone (e merci) per DIECI GIORNI (la sospensione prevede il ripristino delle frontiere con la Slovenia dal 21 a 30 ottobre 2023) solo con la Slovenia? Già perché l’aspetto più interessante di tutta questa vicenda è che nessun paese dello “spazio Schengen” può sospendere la libera circolazione per un periodo troppo lungo. In casi che richiedono un’azione immediata in base all’articolo 28 del CFS (proprio quello citato dalla premier) i controlli possono essere ripristinati per non più di 10 giorni, prorogabili fino a 20 giorni. Per un periodo complessivo del controllo di frontiera che non deve superare i 2 mesi.
Due mesi. E nei confronti della Slovenia. Ma secondo i dati rilevati, l’attentatore tunisino era arrivato in Italia nel 2011. Ed era rimasto qui per quasi un decennio. E di certo non era entrato nel paese dal confine con la Slovenia, ma con i barconi.
Ogni occasione è buona per non parlare dei veri problemi legati alle frontiere (sia interne che esterne) e per strumentalizzare quanto è accaduto. Prima di alzare un muro, una frontiera, una barriera, forse sarebbe bene pensare a ciò che si lascia fuori, come diceva Calvino.