
Henri de Toulouse-Lautrec
“Accade spesso che un destino capriccioso decida di deviare il corso degli eventi che sembrano scontati”: questa frase della critica d’arte Enrica Crispino descrive appieno le vicende pittoriche ed esistenziali di Henri de Toulouse-Lautrec, un uomo che per nascita era destinato ai salotti aristocratici e che invece virò verso i quartieri popolari per vivere in dissolutezza una tormentosa e licenziosa, quasi immorale, vita da artista bohémien a Montmartre.
Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa nacque il 24 novembre 1864 all’Hotel du Bosc, uno dei suoi palazzi presso Albi, una cittadina nel sud della Francia, da una delle famiglie più prestigiose del Paese. I genitori erano cugini. Era, infatti, usanza sposarsi fra consanguinei per preservare il sangue blu e i genitori di Henri non si sottrassero alla tradizione, sebbene l’unione non fu certo felice. I due caratteri erano incompatibili, opposti all’eccesso: il padre di Lautrec, il conte Alphonse, era un esibizionista dongiovanni con la passione per i vizi e gli ozi dell’alta società; la madre, la contessa Adèle era una donna manifestamente pia, schiva e amorevole, ma anche molto puritana, moralista a volte isterica, ipocondriaca e possessiva, che per Henri diventò un punto di riferimento imprescindibile, fattore importante alla luce della scelta di vivere in modo bohémien.
Questo matrimonio fu funesto non solo nel loro privato, ma anche nel patrimonio genetico di Henri: in famiglia c’erano già stati diversi casi di malattie, deformazioni e morti premature, come successe per il secondogenito della coppia, Richard il fratellino minore di Henri, morto ad appena un anno.
Henri crebbe viziato e coccolato, ma anche molto fotografato, insieme a cugini, amici, cavalli, cani e natura incontrastata. Lo chiamavano petit bijou, il gioiellino. La sua infanzia non fu toccata dal fatto che i genitori, dopo la morte del secondogenito, vivevano separati. Nessuno sospettava che il bimbo fosse affetto da una malattia genetica, causata dal matrimonio tra consanguinei.

[Toulouse-Lautrec all’età di tre anni]
È nei periodi a letto che Lautrec iniziò ad appassionarsi alla lettura, al disegno e alla pittura, per ammazzare il tempo e vincere la noia. Riempiva incessantemente interi quaderni di schizzi e disegni. I cavalli erano il suo soggetto preferito, minuziosamente eseguiti, quasi a reazione del fatto che, non potendoli cavalcare, li rappresentava su carta o tela.

[Alphonse de Toulouse-Lautrec alla guida della sua carrozza, 1880]
Dopo aver conseguito la licenza liceale, annunciò ai genitori di voler diventare pittore, cosa che venne pienamente accettata dalla famiglia, forse perché i soggetti scelti erano parte delle tradizioni familiari e ciò non doveva aver destato troppa preoccupazione.
Consapevole di essere ancora immaturo dal punto di vista pittorico, Henri optò per i corsi allo studio di Léon Bonnat, pittore molto popolare all’epoca, ma molto severo e tradizionalista. Però Lautrec era alla ricerca di un suo stile personale e il suo apprendistato da Bonnat finì presto. Henri si trasferì nello studio di Fernand Cormon, il quale, pur mantenendo le tradizioni, si interessava anche alle avanguardie. Lautrec si sentì stimolato nell’atelier di Cormon, poiché era meno critico con i suoi disegni. Tuttavia, sentendosi un po’ troppo influenzato dalle tradizioni accademiche, lasciò l’atelier per aprirne uno suo a Montmartre, quartiere che aveva scelto ponderatamente e che si era quasi autoimposto. Montmartre era un sobborgo vivace, colorato e colorito, pieno di cabaret, case di tolleranza e locali mal frequentati.
I genitori rimasero molto scandalizzati da questa sua scelta e il padre gli impedì fermamente di usare il suo nome per firmare le opere, restrizione che lui osservò per un po’ di tempo, ma che abbandonò piuttosto presto, firmando i suoi quadri con un elegante monogramma con le sue iniziali.

[Monograma]

[Jane Avril, 1893]
È nelle case di tolleranza che Lautrec trovò un’altra forma di espressione molto produttiva. Le case chiuse avevano un ruolo molto importante nella vita dell’artista e egli ne rappresentava le attività in modo distaccato, senza commenti o giudizi di sorta. Destò ovviamente clamore e critiche per la disinvoltura con cui accettava il ruolo della prostituta come oggettività contemporanea indiscutibile e rappresentava questa vita con dignità, senza pudori o sentimentalismi inappropriati, ma dipingendo la realtà dei fatti, senza veli, senza idealizzare né rendere volgari le prostitute. Ignorando le critiche dei benpensanti che lo consideravano un depravato, raffigurò anche i rapporti omosessuali che univano alcune ragazze delle case di tolleranza, mettendone in risalto la bellezza e l’autenticità.

[l bacio 1892]

[Aristide Bruant dans son cabaret, 1892]

[Moulin Rouge – 1891]
Negli ultimi anni di vita, l’artista già dedito agli eccessi e dongiovanni impenitente, fu devastato dalla sifilide alla quale si aggiunsero i suoi problemi di alcolismo, iniziati con la frequentazione dei locali di Montmartre. Ammaliato dalla sensazione di stordimento che gli procurava l’alcol, ne consumava smodatamente e tra le bevande che più amava c’era l’assenzio, il distillato dalle disastrose conseguenze tossiche che creava una quasi immediata dipendenza, aiutato anche dal basso costo. L’alcolismo oltre che peggiorare la sua situazione clinica, lo aveva reso un uomo irascibile e quasi insopportabile, con continue allucinazioni, esasperato da ogni minimo rumore. Devastato dall’alcol fu costretto a interrompere la sua attività artistica. La sua condizione degenerò e nel 1899 fu colto da delirium tremens.
Viste le sue pessime condizioni, si fece ricoverare presso una clinica per malattie mentali. La stampa iniziò quindi a screditare l’artista denigrando le sue opere. Questo in qualche modo lo fece reagire e si rimise a disegnare: dopo tre mesi fu dimesso, consapevolmente grazie ai suoi disegni.
In realtà non si liberò mai del demone dell’alcol e la dimissione dalla clinica segnò inesorabilmente la sua fine. Si ritrasferì ad Albi, poi a Le Crotoy, Le Havre, Bordeaux, Taussat e infine a Malromé, ma fu inutile: la sua creatività si era esaurita, così come la sua gioia di vivere, caratteristica che lo aveva accompagnato tutta la vita, in contrasto con la serie di sfortune e le sue precarie condizioni fisiche e il suo aspetto grottesco. Si trasferì di nuovo a Parigi, dove le sue opere iniziarono ad avere un successo quasi violento. A Parigi venne affidato ad un parente, ma le sue dipendenze tornarono a galla, forse aggiungendo anche l’uso di oppio. Nel 1900 sopravvenne una paralisi alle gambe, fermata grazie ad una cura a base di scariche elettriche. Ciononostante, la sua salute era così in declino da togliere ogni speranza. Nel settembre del 1901, dopo un soggiorno nella casa materna e dopo aver riordinato i suoi lavori incompiuti, Henri de Toulouse-Lautrec si spense a soli 36 anni, assistito dalla madre disperata per la perdita del tuo giovane figlio di vetro che dipingeva e aveva vissuto la vita sregolata, emarginata ma scoppiettante dei sobborghi di Parigi.