
[immagine dal sito aeaconsulenzealimentari.it]
Nell’ultimo periodo, si sono diffuse anche politiche per la vendita di prodotti vicini alla “scadenza” ma ancora “buoni”. Prodotti venduti a prezzi generalmente più bassi dai supermercati nel tentativo di sbarazzarsi di generi alimentari a breve invendibili. Prodotti che diventano sprechi. Di denaro e di risorse naturali. Nel tentativo di ridurre gli sprechi di cibo e, al tempo stesso, di salvaguardare la salute dei consumatori, da anni sono in vigore norme che cercano di regolamentare la “scadenza” degli alimenti.
Ora, al tema già complesso (come vedremo tra poco) sulla “scadenza” nelle scorse settimane si è aggiunta una novità: la Commissione europea ha proposto di introdurre un nuovo modo di etichettare i prodotti alimentari inserendo la dicitura “spesso buono oltre”.
Il regolamento europeo 1169/2011 attualmente in vigore prevede l’obbligo di indicare sull’etichetta degli alimenti il “termine minimo di conservazione” o la “data di scadenza”. Dati espressi in … date, ma molto differenti tra loro (per questo spesso vengono indicati con diciture leggermente diverse).
Il “termine minimo di conservazione” fa riferimento alla data entro la quale un certo prodotto mantiene le sue proprietà specifiche (a patto ovviamente che siano rispettate alcune condizioni di conservazione). Questo significa che, anche dopo tale data, quell’alimento può essere consumato in totale sicurezza. A mutare sono solo le sue proprietà organolettiche e, quindi, il suo valore nutrizionale. Conserve, marmellate, tonno in scatola, creme spalmabili, pasta, riso, sottaceti e molti sono tra i prodotti per i quali spesso sulla confezione si trova questa data.
Una data che deve essere riportata in modo differente. Per i prodotti conservabili per meno di tre mesi, sulla confezione è necessario indicare giorno e mese. Per i prodotti conservabili per un periodo di tempo maggiore ma inferiore ai diciotto mesi, si possono indicare mese e anno. Infine, per i prodotti conservabili per più di diciotto mesi, è sufficiente indicare l’anno. A questa data in genere si aggiunge una indicazione riguardante il modo in cui il prodotto alimentare deve essere conservato per garantire tutte le sue caratteristiche (ad esempio, “conservare in frigo” oppure “consumare entro 3 giorni dall’apertura”).
Ma non basta. Per complicare la vita dei clienti che spesso corrono al supermercato e fanno al spesa in fretta e furia, per alcuni prodotti alimentari non è obbligatorio indicare il termine minimo di conservazione: frutta e verdura fresche (ma non quelle già tagliate o sbucciate e confezionate per le quali permane l’obbligo), patate, vini e liquori, prodotti della panetteria e della pasticceria. Il motivo è semplice: si tratta di prodotti che generalmente vengono consumati poco dopo la produzione o la commercializzazione. O in altri casi, di alimenti (come sale da cucina, zucchero e altri) per i quali le caratteristiche non variano in modo rilevante.
Del tutto diversa è la “data di scadenza”. In questo caso viene indicato un termine oltre il quale l’alimento potrebbe presentare un cambiamento radicale che costituisce un rischio per la salute umana. Passato questo termine su questi alimenti potrebbero svilupparsi cariche batteriche nocive per l’organismo e mangiarlo potrebbe causare disturbi di vario tipo (dolori intestinali, vomito, diarrea o peggio). Ecco, quindi, che la data non è più un consiglio ma un termine inderogabile. In genere, la data di scadenza è indicata in modo perentorio: “da consumare entro” seguita, appunto, dalla data. Altra differenza rispetto alla misura precedente, in questo caso la data deve necessariamente riportare nell’ordine giorno, mese e anno e deve essere presente su ogni singola porzione preconfezionata.
Ora qualcosa potrebbe cambiare. Recentemente è stata presentata dalla Commissione europea una proposta di revisione delle norme sulla data di scadenza degli alimenti che prevede di aggiungere sull’etichetta degli alimenti, accanto al termine minimo di conservazione, la dicitura “Spesso buono oltre…”.
Una proposta che ha suscitato polemiche. Non solo per il fatto che già oggi l’etichettatura dei prodotti alimentari è abbastanza complessa e poco conosciuta (alcuni hanno proposto di inserire anche dei dati sull’impatto sull’ambiente che ha produrre certi alimenti!). Ma anche per la genericità dei termini.
I “tecnici” della Commissione europea hanno cercato di giustificare la proposta dicendo che servirebbe a contrastare gli sprechi alimentari. Ma non sono in pochi ad aver visto in questa proposta un aiuto ai grandi centri commerciali per consentire loro di limitare i danni legati ai prodotti invenduti perché “scaduti”. Danni non indifferenti: ogni anno, in Europa, si buttano 57 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (127 chili per abitante).
Ma non basta. Questa misura proposta era già stata annunciata nel lontano 2020 come parte della strategia Farm to Fork. Avrebbe dovuto far parte di un pacchetto più ampio di misure sull’etichettatura, tra cui quella di origine e quella nutrizionale. Ora di tutto questo, stranamente, non è rimasto nulla. Solo la norma “spesso anche oltre”. “Il fatto che la questione della data di scadenza sia ora contenuta in un atto delegato ad hoc vuol dire che al momento non c’è nessuna intenzione di modificare il pacchetto delle informazioni ai consumatori, come per esempio il Nutriscore o gli avvertimenti salutistici sugli alimenti” ha dichiarato l’eurodeputato Paolo De Castro. Blanda la giustificazione dei tecnici della Commissione: “Il tema dell’etichetta nutrizionale fronte-pacco è molto complesso dal punto di vista politico e tecnico” ha replicato la responsabile della Direzione generale per la salute della Commissione europea, Sabine Pelsser. E ha annunciato che è in lavorazione “una proposta che risulti convincente per le PMI, gli Stati membri, l’Europarlamento e i cittadini”.
Intanto però, nessuno né della Commissione europea né al Parlamento europeo ha saputo spiegare cosa dovrebbero significare in termini concreti parole come “spesso” (una volta su mille, una su un milione? o cosa?) e “oltre” (dopo un giorno? dopo un mese? o dopo un anno?).