A volte è strano vedere come notizie alcune notizie attirano l’attenzione dei media e altre, simili se non uguali, passano inosservate.
Nei giorni scorsi, i media si sono accaniti sull’incendio scoppiato nel campo di Moria nell’isola di Lesbo in Grecia. Un posto infernale (ne abbiamo parlato più e più volte) dove le condizioni di vita sono disumane e il sovraffollamento è la regola, tra condizioni igieniche disumane e condizioni sicurezza inesistenti per chi, dopo un lungo cammino, si è trovato non in un paradiso ma un vero inferno (basti pensare che prima dell’incendio a Moria c’era un bagno ogni 72 persone: in pratica le giornate passavano a fare la coda solo per potersi lavare – in barba alle precauzioni per il corona virus).
Prima dell’incendio, a Moria e nella tendopoli lì attorno, vivevano oltre 12mila persone. A poco sono servite le giustificazioni di alcuni funzionari locali che hanno riferito che le fiamme sarebbero state appiccate volontariamente da alcuni residenti del campo come segno di protesta per gli ultimi ordini di isolamento emessi per prevenire la diffusione del corona virus dopo che in decine erano risultati positivi al test.
La realtà è un’altra: nessuno ha ancora capito che grandi migrazioni o spostamenti di persone richiedono misure e scelte (anche economiche) che i governi non sono in grado di adottare.
Le prove non mancano. Una di queste è quanto è accaduto a Mina, in Arabia Saudita. Pochi hanno sentito parlare di questo sito eppure si tratta probabilmente della più grande tendopoli al mondo arabo. Nota anche come la città delle tende Mina è campo che sorge in una vallata nel distretto di Masha’er, non lontano della Mecca. I suoi numeri sono impressionanti: l’area coperta è di circa 20 kmq interamente occupata da tende (salvo l’area dell’Jamarat e quella per i macelli).
Mina è stata creata per accogliere i milioni di fedeli dell’islam in pellegrinaggio alla Mecca ogni anno specie nel mese di Dhu al-Hijjah. Per evitare accampamenti incontrollati in tutta l’area, sono state allestite oltre 100.000 tende in grado di ospitare fino a 3 milioni di persone (tenendo rigorosamente separati uomini e donne). É stata definita la più grande tendopoli del mondo.
Un sistema fornito di assistenza e servizi sorprendenti (ogni tenda è dotata di aria condizionata), ma che non sono bastati ad evitare tanti incidenti mortali e incendi devastanti. E tanti tantissimi morti. Nel Luglio 1990, e poi a Maggio del 1994, anche nel 1997, nel 1998, nel 2001, a Febbraio 2004, nel 2006 e altri ancora. Il più spaventoso, forse, è quello del 2015 quando persero la vita 2431 pellegrini, cui devono aggiungersi oltre 400 dispersi mai più ritrovati (ma il governo dell’Arabia Saudita parlò di 769 morti e 934 feriti). A generare tutto, come sempre, problemi legati al sovraffollamento e alla gestione delle strutture. Secondo le autorità saudite, tutto ebbe inizio quando due grandi gruppi di pellegrini provenienti da direzioni diverse incrociarono i rispettivi percorsi in un pericoloso collo di bottiglia tra due accampamenti di tende. Una situazione potenzialmente critica e prevedibile. Eppure nessuno l’aveva prevista né in fase di progettazione né dopo: la manciata di soldati sauditi presenti non riuscì a far nulla mentre i pellegrini si calpestavano nella calca.
Come per la strage di profughi al campo di Moria, a Lesbo, le polemiche e le indagini che seguirono il disastro di Mina non portarono a nulla di concreto. Alcuni esperti sottolinearono che, forse, i campi avrebbero dovuto essere realizzati in modo diverso. Keith Still, professore di Crowd Science alla Manchester Metropolitan University, in Gran Bretagna, parlò di punti critici che non erano stati attenzionati dopo l’incidente del 2004: “Per i sistemi complessi che fluiscono dentro e fuori, se apporti una modifica lungo il percorso può avere effetti a catena e a catena altrove. Cambia qualsiasi parte del sistema con 3 milioni di persone e c’è il pericolo di un incidente come questo”. Anche Mohammed Ajmal, un medico specializzato in medicina d’urgenza ed ex direttore di un centro medico istituito per curare i pellegrini indiani dell’Hajj, ha parlato di difetti di progettazione strutturale a Mina, definendola una “trappola mortale mal progettata – in tempi di disastro”, quando decine di migliaia di persone si incanalano in incroci a T.
Incendi, asfissia da compressione e problemi di igiene sono tra le principali cause di morte nelle tendopoli di tutto il mondo (si pensi alle baraccopoli vicine a molte metropoli africane che dove vivono, anzi sopravvivono, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini). Come disse Ajmal le condizioni di questo campo spesso impediscono di fornire cure mediche entro un lasso di tempo ragionevole. In queste condizioni, le persone coinvolte sono “destinate a morire” in pochi minuti prima che qualsiasi aiuto medico possa raggiungere il sito.
Molti studiosi parlano di flussi migratori in netto aumento. C’è addirittura chi ha parlato di uno spostamento di un miliardo di persone entro i prossimi decenni! Diverse le cause: povertà, guerre, missioni di pace (che distruggono intere regioni e causano migliaia di morti), landgrabbing (immorale e insensato ma ancora tanto, tanto diffuso) e poi condizioni economiche e sottosviluppo che i miliardi di aiuti stanziati non sono mai riusciti a migliorare. Tutto questo avrà un unico effetto: lo spostamento di milioni e milioni di persone e il loro assembramento in aree di accoglienza tutt’altro che accoglienti. Aree che molto spesso diventano un incubo e trasformano in un inferno quella che i migranti pensavano essere la terra promessa. E tutto questo nella più totale indifferenza dei media che, nel migliore dei casi, si limitano a parlare del fatto di cronaca, a riportare il numero dei morti e dei feriti. Senza andare oltre. Rendendo così il dolore dei sopravvissuti ancora più grande.