Il termine hikikomori riguarda un fenomeno, allarmante, di cui ho scritto e parlato in diverse occasioni, che vede i giovani che hanno un’età compresa tra i 14 e i 30 anni isolarsi dal mondo reale. I hikikomori non hanno contatti con il mondo esterno e preferiscono trascorrere le loro giornate online. Proprio durante la pandemia ho condotto una ricerca che ha confermato lo status di isolamento di molti adolescenti.
La fotografia che è emersa dalle risposte fornite dai 1858 ragazze e ragazzi che hanno partecipato alla Survey ha dimostrato come la rivoluzione tecnologica sia ormai compiuta e che gli adolescenti rappresentino a tutti gli effetti la prima generazione digitale. La tecnologia è parte integrante delle loro vite, praticamente il 100 per cento (99,6 per cento) degli intervistati ha dichiarato di possedere uno smartphone e oltre l’80 per cento (88,8 per cento) ha affermato di avere un computer. I ragazzi hikikomori non vogliono incontrare altre persone e desiderano restare da soli, chiusi nelle loro camere, sfruttando solo la rete per comunicare con gli altri.
E’ di qualche giorno fa la notizia di una crescita esponenziale di hikikomori a Treviso. Questa condizione di isolamento è peggiorata e il portale di antennatre.medianordest.it ha riportato le parole del dott. Mirco Casteller. Lo psicoterapeuta ha detto: “Lo si vede anche in terapia, perché di solito in psicoterapia i ragazzi tendevano a forzare la presenza ovvero rispetto agli adulti volevano venire in presenza. Oggi, vorrebbero avere la psicoterapia a distanza online, presso la loro abitazione”. E ha aggiunto: “Quello che succede è che vivono nella rete e da lì non vogliono uscire. La camera diventa un nodo della rete all’interno della quale, attraverso i social, loro si connettono con il mondo”. Cosa deve fare la famiglia? Secondo Casteller “se vede che il ragazzo è assente dalle relazioni umane e si isola è necessario faccia immediatamente una sorta di segnalazione alle strutture preposte”.
Il portale Skuola.net, il portale di informazione rivolto agli studenti, ha pubblicato un articolo di Federico Bianchetti. Il giornalista ha spiegato cosa sta accadendo in una scuola di Treviso, in cui sono presenti cinque casi di hikikomori, e ha riferito cosa ha detto la Preside dell’istituto al Quotidiano del Piave. La Dirigente Scolastica ha evidenziato che la scuola sta cercando di supportare gli studenti anche se non basta: “Possiamo essere solo un tramite tra la famiglia e le strutture territoriali della prevenzione e della cura per cercare di risolvere questo problema”.
La scuola ha attivato la DAD per riuscire a mettersi in contatto con i ragazzi: “Se la scuola può essere un aiuto noi ci siamo. Alcuni docenti mi raccontano che fanno partire il link per il collegamento con la lezione alla mattina e, nonostante non si veda nessuno, colgono qualche segnale che dietro c’è la presenza di qualcuno. Questo scalda il cuore”.
In realtà, di Treviso e del Trevigiano si è tanto parlato anche negli ultimi mesi del 2022. Infattii, il 16 dicembre 2022, è stato pubblicato su ilgazzettino.it un articolo di Mauro Favaro. Il giornalista ha sottolineato l’importanza del fenomeno hikikomori e del disagio di natura psicologica. Il direttore dell’unità Infanzia, adolescenza, famiglia e consultori, Nicola Michieletto, ha rilasciato una dichiarazione: “L’emergenza Covid ha aperto un vaso di Pandora le richieste ai nostri servizi sono complessivamente aumentate del 30%. E ci siamo attrezzati di conseguenza”.
L’indagine condotta dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) in collaborazione con Skuola.net, ha visto coinvolto un campione di 1.668 giovani di età compresa tra i 9 e 19 anni. I comportamenti della generazione Z risultano preoccupanti. RaiNews ha pubblicato tutte le percentuali e ad essere evidente è la solitudine digitale. Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te., ha detto: “Che gli adolescenti facciano fatica a limitare il tempo trascorso sui social media potrebbe essere indice di una potenziale dipendenza tecnologica. Questo aspetto, spesso sottovalutato, richiede una maggiore attenzione e comprensione da parte di tutti, in primis da parte dei genitori, per prevenire conseguenze a lungo termine sulla salute mentale. Più che vietarne l’uso, però, dovremmo indirizzare i nostri ragazzi verso una maggiore consapevolezza, attraverso l’educazione digitale. Che, visto il trend, dovrebbe diventare motivo di insegnamento già nell’età dell’infanzia nelle scuole”. È chiaro che i numeri ci dicono che il problema non è risolto. In molte parti del mondo questo fenomeno viene chiamato “depressione con ritiro sociale e comportamenti ossessivi” e si è molto diffuso.
Purtroppo, sono tanti gli adolescenti che preferiscono stare soli, non frequentare la scuola e non incontrare più nessuno. La decisione di abbandonare la realtà porta i giovani a trascorrere le loro giornate su internet e le conseguenze possono essere davvero tante. Gli adulti devono vigilare e devono cercare di comprendere i ragazzi perché, quando sono chiusi nelle loro stanze, non sempre sono al sicuro. È davvero importante che le scuole, gli insegnanti, i ragazzi e i genitori siano informati e formati. Continuo a ripetere, ormai da anni, che è necessario prima documentarsi in maniera approfondita e poi avviare campagne di sensibilizzazione per fronteggiare le nuove emergenze sociali.
Il grande sociologo Zygmunt Bauman sosteneva che “Oggi non abbiamo paura di essere visti troppo, abbiamo paura della solitudine, il virus che mina e compromette il senso della vita è l’esclusione, l’abbandono. E su questo traggono vantaggio i social network”. Dobbiamo cercare di vincere la battaglia contro il senso di abbandono e di sconforto. Non possiamo far finta che il problema non esista, perché abbiamo il dovere di proteggere le nuove generazioni dal dolore, dalla disperazione, dall’oscurità e soprattutto dal vuoto.