Il 14 dicembre sono iniziate le udienze della causa (la citazione era stata depositata al Tribunale di Roma a giugno scorso) intentata da 17 minori – tra loro nessuna svedesina – rappresentati in giudizio dai genitori, 162 cittadini e 24 associazioni contro lo Stato italiano, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Motivo: “inazione climatica”. Tra i ricorrenti l’Associazione A Sud, Medici per l’Ambiente ISDE Italia, Associazione Terra!, Coordinamento nazionale No Triv, Centro Documentazione Conflitti Ambientali, Società Meteorologica Italiana e molti altri.
Obiettivo principale dimostrare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica e che l’impegno profuso è stato insufficiente a centrare gli obiettivi di contenimento della temperatura definiti dall’Accordo di Parigi. Una mancanza che avrebbe avuto come conseguenza la violazione di numerosi diritti fondamentali. Ad assistere i ricorrenti è un team di avvocati e di docenti universitari, fondatori della rete di giuristi Legalità per il clima. Tra le argomentazioni riportate la relazione tra diritti umani e cambiamenti climatici e la necessità di riconoscere un diritto umano al clima stabile e sicuro. Richieste specifiche avanzate sono il riconoscimento dell’inadempienza dello Stato italiano nell’adottare misure di contrasto all’emergenza climatica e imporre la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto al livello 1990. E farlo applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate (Fair Share). Ossia tenendo conto delle responsabilità storiche dell’Italia nelle emissioni di gas serra e delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie attuali.
Questa azione legale non è un caso singolo: fa parte della campagna di sensibilizzazione internazionale chiamata “Giudizio Universale” alla quale hanno aderito 120 associazioni tra cui Fridays for Future Italia, Per il clima, fuori dal fossile!, Link coordinamento universitario, Rete della conoscenza, movimento No Tap, movimento non Tav e molti altri. Tra le accuse mosse a livello globale l’assenza di una normativa internazionale di contrasto al cambiamento climatico.
Una carenza che ha portato alla nascita dei climate right cases o contenziosi climatici, che costituiscono una componente fondamentale della strategia globale sul clima. In altre parole, vista l’impossibilità di ottenere risultati concreti a livello internazionale, si sta cercando di spostare l’attenzione dell’azione climatica sulla scena nazionale: paese per paese, gli ambientalisti chiedono ai giudici di pronunciarsi circa l’adeguatezza delle misure in materia di cambiamento climatico adottate dai governi.
Secondo il Global Climate Litigation Report delle Nazioni Unite, da luglio 2020 ad oggi sono stati almeno 1.550 contenziosi climatici presentati in 38 paesi. Di questi la stragrande maggioranza (circa 1.200) sono stati depositati solo negli Stati Uniti d’America. Due le tipologie di controversie sul clima: quelle in cui si accusano il governo di ledere il diritto delle parti coinvolte e quello “strategico”, in cui il diritto dei ricorrenti cade in secondo piano rispetto alla volontà di provocare un cambiamento più ampio all’interno della società. In questi casi, i contenziosi climatici rappresentano uno strumento strategico per far rispettare o rafforzare gli impegni di contrasto al cambiamento climatico presi dai governi, contestando l’inadeguatezza dell’azione climatica rispetto atti diretti o omissioni da parte del governo. In molti casi, i procedimenti si sono basati sui diritti umani fondamentali sanciti dal diritto internazionale e dalle costituzioni nazionali.
Diversi gli esiti delle cause avviate in altri paesi europei, come Olanda, Francia, Germania e Regno Unito. In Francia, questa azione ha avuto un ritorno mediatico ben diverso da quello dedicato alla causa verso il governo italiano: più di 2,3 milioni di cittadini hanno firmato una petizione presentata come documentazione ufficiale in tribunale. L’Affaire du Siècle, o Notre Affaire à Tous e altri contro la Francia, guidato da quattro ONG francesi, si è concluso con la condanna dello Stato il 14 ottobre 2021: i giudici hanno ordinato al governo di agire per ridurre le emissioni, ma anche di riparare i danni dovuti all’inerzia dello Stato negli ultimi anni. Anche in Belgio (VZW contro il Belgio), la causa ha avuto un notevole ritorno con la partecipazione di 60.000 cittadini in qualità di ricorrenti.
Una delle sentenze più significative è quella emessa, nel 2021, dalla Corte costituzionale tedesca nella causa Neubauer e altri contro la Germania. I querelanti hanno sfidato la costituzionalità degli obiettivi di riduzione delle emissioni all’interno della legge tedesca sulla protezione del clima. La sentenza ha affermato che le attuali disposizioni della legge impongono un un onere irragionevole per le future generazioni, per cui la Corte ha ordinato al governo federale di chiarire gli obiettivi di riduzione delle emissioni dal 2031 in poi entro la fine del 2022.
La conseguenza immediata è stata l’obbligo del governo tedesco di rivedere la propria normativa innalzando il target di riduzione a 65% entro il 2030 e anticipando l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2045.
Secondo il LSE’s Global trends in climate change litigation Report pubblicato a luglio 2021, sono oltre 100 i climate rights cases a livello globale. La maggior parte di questi è stata presentata contro governi, ma non mancano (circa 93) quelli contro aziende.
Non tutti i climate right cases presentanti sono arrivati ad una sentenza e non tutte le cause hanno raggiunto i risultati sperati: ad oggi, 25 cause hanno avuto esito positivo, 32, invece, negativo. In entrambi i casi, però, queste cause sono sempre state accompagnate da campagne mediatiche che hanno avuto un notevole impatto anche al di fuori delle aule di tribunale. Non in Italia, dove di tutto questo non ha parlato (quasi) nessuno.