Perché i negazionisti non percepiscono la gravità della situazione
L’ultima rilevazione ISTAT del 22 Ottobre ha sostanzialmente confermato quanto era già emerso con chiarezza in precedenza: in Italia tra Marzo ed Aprile 2020 ci sono stati circa 48.000 decessi in più rispetto alla media dei cinque anni precedenti, mentre quelli attribuiti ufficialmente al COVID sono stati 29.000 nello stesso periodo.
La differenza è di circa ventimila decessi in più; a Maggio 2020 una situazione analoga ha portato l’Office for National Statistics della Gran Bretagna a ricalcolare il numero delle morti da attribuire al coronavirus per i decessi avvenuti fuori dagli ospedali, in particolare nelle case per anziani e nelle case private, soprattutto nell’Aprile 2020 mese che ha mostrato un numero estremamente elevato di morti rispetto alla media degli anni precedenti.
Attualmente l’Italia ha superato la cifra ufficiale di 41.000 morti per COVID, nella realtà questo significa che ci sono stati circa 60.000 decessi, tenendo presente tutti i dati fin qui rilevati dell’ISTAT sui quasi ottomila comuni italiani; l’Istituto ha proceduto con maggiore rapidità rispetto ai normali tempi di raccolta dei dati, proprio per poter meglio monitorare gli effetti della pandemia in corso.
La domanda che dobbiamo porci è come sia possibile il negazionismo (o anche il riduzionismo) di fronte a dati e numeri così sconvolgenti?
La risposta sta nel modo in cui funziona il nostro cervello ed in alcune sue forme di “cecità” nel valutare gli eventi ed il contesto nel quale si svolgono.
La prima forma di “cecità” del nostro cervello sta nella difficoltà di riuscire a tradurre le statistiche in realtà percepita, ossia nella capacità di trasformare i numeri in qualcosa di concreto e maggiormente comprensibile rispetto alle azioni da porre in essere.
Uno degli strumenti che può aiutare è riuscire ad usare un metro (una pietra di paragone) per potersi rendere conto di quanto il numero sia enorme. Nell’arco dei cinque anni della Seconda Guerra Mondiale le vittime civili (non militari) in Italia sono state circa 155.000 (con qualche lieve scostamento nelle valutazioni delle fonti), mentre oggi siamo nella situazione che nell’arco di otto mesi abbiamo avuto più di un terzo del numero delle vittime civili di quell’enorme tragedia.
Una guerra che ha colpito l’immaginario collettivo è stato il Vietnam, che ha comportato nell’arco di vent’anni la morte di 58.200 soldati americani (per non parlare delle vittime molto superiori tra i vietnamiti). In questi otto mesi l’Italia ha avuto un numero di decessi paragonabili a quelli dei militari americani deceduti nella guerra che ha segnato un’intera generazione negli anni sessanta e settanta.
Ma il metro di paragone che maggiormente ci può aiutare a mettere a fuoco la situazione attuale è rappresentato da eventi a noi più prossimi: il terremoto de L’Aquila con 309 morti nel 2009 ed il terremoto del Centro Italia 303 morti nel 2016 (in totale 612 vittime). Dal 20 marzo al 9 aprile 2020 per venti giorni di fila si sono avuti ogni giorno più morti dei due maggiori fenomeni tellurici della recente storia italiana, con un picco di 969 morti per COVID nella sola giornata del 27 marzo, ossia mille persone che ci hanno lasciato in un solo giorno.
Proviamo a riflettere su quanta è stata la nostra attenzione, e quella dei media, per i due terremoti verificatisi; l’attenzione c’è stata per un lungo arco di tempo sulle due tragedie com’era giusto che fosse, mobilitando l’intero Paese in una gara di solidarietà a favore delle popolazioni colpite; invece, pensiamo alla situazione attuale, all’assuefazione che tende a subentrare rispetto al numero dei decessi per coronavirus relativo a centinaia di persone che ci lasciano ogni giorno.
Dobbiamo impegnarci e fare ricorso a tutta la nostra attenzione mentale per trasformare dei meri numeri contenuti nelle statistiche giornaliere nella reale percezione della tragedia in corso: le terapie intensive che si riempiono, gli ospedali intasati, le ambulanze con i pazienti in attesa all’esterno del pronto soccorso.
Il secondo meccanismo si chiama euristica della disponibilità, il nostro cervello tende a privilegiare le cose e gli accadimenti vicini, non percepisce nella loro piena rilevanza le situazioni lontane; tende a sostituire un giudizio, che necessità di maggiore riflessione, con un altro più facile e più comodo, di maggiore immediatezza.
Un esempio: l’aver assistito personalmente ad uno scippo ci farà percepire la situazione nella nostra città più pericolosa che in passato, mentre le statistiche confermeranno il calo dei reati nell’anno in corso (compreso il numero degli scippi) nell’area urbana in cui viviamo.
Questo perché le esperienze ed i vividi esempi personali sono più disponibili per il nostro cervello delle mere statistiche o di eventi accaduti ad altri; infatti, la conoscenza dei numeri delle statistiche sulle malattie non ci portano a cambiare stile di vita, soltanto un evento personale che ci tocca direttamente ci determina a farlo.
I negazionisti ed i “minimizzatori” non hanno avuto esperienza di casi vicini tra parenti, amici, colleghi o conoscenti, per cui tutto sommato perché rinunciare alla propria vita quotidiana per un pericolo lontano ed ipotetico, eventualmente dovendo subire soltanto pochi sintomi similinfluenzali.
A nulla sono servite le immagini “lontane” dei camion militari pieni di bare della scorsa primavera e neanche i tragici reportage dalle terapie intensive stracolme; non è una situazione “vicina”, il loro cervello non si focalizza nella necessaria attenzione; ricordiamolo l’attenzione richiede sforzo e concentrazione, ossia un maggiore impegno.
Prevale l’euristica della disponibilità: non è una questione che riguarda da vicino il negazionista; meglio mettere la testa sotto la sabbia, non guardare i servizi giornalistici sgraditi in televisione che richiederebbero attenzione e di dover conseguentemente adottare le giuste cautele ed un maggiore impegno; è più facile gridare al complotto contro la propria libertà (di poter contagiare gli altri, o di potersi ammalare, ed in alcuni casi perire).
Attenzione il meccanismo dell’euristica della disponibilità non crea problemi soltanto con il COVID, ma nella percezione della pericolosità di tutta una serie di malattie: gli ictus provocano quasi il doppio dei decessi di tutti gli incidenti messi insieme, ma l’80% delle persone reputa più probabile una morte accidentale.
La morte per malattia è 18 volte più probabile della morte per infortunio, mentre le persone le giudicano alla pari; ed allo stesso modo la morte per incidente è ritenuta 300 volte più probabile della morte per diabete, mentre il rapporto vero è di 1 a 4 (ossia per diabete muoiono il quadruplo della persone che per incidente); infine, le morti per tornado sono considerate più frequenti di quelle per asma, che invece è 20 volte più frequente come fattore letale.
In conclusione, una situazione totalmente nuova per il nostro cervello (la pandemia) richiede un grande sforzo di attenzione e riflessione per poter metabolizzare il nuovo scenario; come ben sanno coloro che si occupano di organizzazione ogni cambiamento dello status quo ante (in questo caso della nostra normalità precedente al virus) richiede molta energia ed un impegno reale e concreto da parte delle persone. Generazioni prima della nostra hanno dovuto affrontare guerre ed altre calamità, alla nostra generazione è toccata in sorte la pandemia da COVID-19; come per le generazioni precedenti se ne esce in un solo modo: non sottovalutando la situazione attuale, non pensando che ci siano scorciatoie, ma impegnandosi tutti al meglio delle proprie possibilità per affrontare una situazione estremamente seria.