In Italia, i problemi legati alla pandemia di coronavirus non sono certo finiti. E la decisione di passare a tutti i costi (anche quelli in termini di vite umane) alla “fase 2”, magari nascondendosi dietro blande scuse o strumenti poco funzionali, come certe app, appare più legata a motivi economici che ad una reale fine dei pericoli legati al Covid-19.
Una situazione che, negli ultimi giorni, ha visto l’Italia sotto attacco da parte di molti paesi della cosiddetta e sempre più fantomatica “Unione” europea. Molti hanno deciso a turno di chiudere le frontiere ai cittadini da e per il Bel Paese (con danni economici enormi per il settore turismo a pochi giorni dall’inizio delle vacanze estive). Un divieto che non ha mai (neanche nel periodo “rosso”) toccato gli scambi commerciali. “Persone no, merci sì” avrebbe dovuto aprire da anni una querelle internazionale sull’applicazione degli accordi di Schengen. Invece, stranamente, non ne ha parlato nessuno.
L’accusa rivolta da molti paesi europei (non solo UE) all’Italia riguarda chiaramente il modo in cui è stato gestito il problema Covid-19. Eppure in molti di questi paesi, però, la pandemia non è stata gestita in modo migliore. Anzi. Soprattutto per quello che da anni ormai è un tema bollente: i migranti.
La Spagna è uno dei principali fornitori di frutta e verdura ai supermercati di tutta Europa: circa la metà dei prodotti agricoli è destinata all’esportazione e il 93% è destinato al mercato dell’UE. Ma questo settore in Spagna sopravvive grazie ai lavoratori extracomunitari, molti privi di documenti che vivono in condizioni terribili, a volte costretti a vivere in rifugi di cartone e plastica, senza facile accesso a cibo o acqua corrente.
Da tempo, alcune associazioni, come Ethical Consumer, denunciano questa situazione. Le loro condizioni sono peggiorate dopo la diffusione del Covid-19: molti lavoratori temono di non essere protetti contro il virus, sia negli insediamenti dove sono alloggiati che mentre lavorano fianco a fianco nelle fattorie. Philip Alston, relatore delle Nazioni Unite, dopo la sua visita in Spagna ha presentato una relazione fortemente critica circa le condizioni per i lavoratori migranti. “Ho visitato aree che sospetto che molti spagnoli non riconoscessero come parte del loro paese”, ha detto Alston “A Huelva, ho incontrato lavoratori che vivono in un insediamento di migranti in condizioni che rivaleggiano con il peggio che abbia mai visto in tutto il mondo. Sono a chilometri di distanza dall’acqua e vivono senza elettricità o servizi igienici adeguati”. Lo stesso ha fatto la Caritas spagnola: “Nei campi e in molti impianti di trasformazione alimentare, i lavoratori si sforzano l’uno vicino all’altro senza dispositivi di protezione”.
In Europa, oltre a Italia e Spagna, il paese dove si trovano più migranti è la Grecia. Ha sorpreso molti la decisione (revocata dopo le proteste internazionali) del governo ellenico di aprire le frontiere ai turisti provenienti da 29 stati, ma non ai turisti italiani. Eppure anche in Grecia la gestione dell’epidemia da Covid-19 manca di lati oscuri. In una recente intervista, Dimitra Kalogeropoulou, direttore nazionale dell’International Rescue Committee (IRC) in Grecia, ha dichiarato “è necessario fare di più per il sovraffollamento e le cattive condizioni” nei campi profughi di Lesbo e Mikonos dove “i rifugiati che vivono nei campi hanno modi limitati di proteggersi dal coronavirus”. Il governo greco ha chiesto ad altri paesi europei di farsi carico e accogliere parte dei migranti. Per questo nelle scorse settimane alcuni giovani sono partiti per la Germania e il Belgio. Anche il Regno Unito ha organizzato un volo di persone provenienti da Atene (ma solo in base alle leggi sul ricongiungimento familiare).
A proposito del Regno Unito, dopo il fallimento della tecnica dell’“immunità di gregge” voluta dal primo ministro Johnson a tutti i costi (anche in termini di vite umane: proprio a causa del ritardo nell’adottare politiche di contenimento i morti nel Regno Unito sono stati tra i maggiori in Europa), anche qui si è adottato un lock down, ma tardivo. Ma non è bastato ad impedire che emergesse uno dei tanti problemi sociali di cui soffre il Regno Unito (e di cui nessuno parla oltre Manica). L’organizzazione per i diritti delle donne IKWRO ha denunciato il rischio di un aumento esponenziale dei casi di matrimoni infantili.
Ad oggi pare che non si sappia nemmeno quanti sono i casi in oltre la metà dei dipartimenti responsabili dell’assistenza sociale dei bambini in Inghilterra e nel Galles: nel 56% dei dipartimenti responsabili dell’assistenza sociale dei bambini mancherebbe qualsiasi dato relativo a minori a rischio di matrimonio infantile. Una carenza grave dato che i numeri disponibili relativi a tutto il Regno Unito lasciano pensare che i casi di matrimonio infantile sarebbero molti di più di quanto riportano le autorità locali. Nel 2018, dei 1.764 casi relativi a un possibile matrimonio forzato, l’unità del matrimonio forzato ha fornito sostegno, 574 (33%) hanno coinvolto vittime di età inferiore ai 18 anni. I dati per il 2019 non sono mai stati pubblicati. Per il resto non si sa più nulla.
Problemi per i minori durante il Covid-19 sono emersi anche nei paesi della ex Jugoslavia. Secondo alcuni esperti l’epidemia di coronavirus starebbe violando i diritti alla nascita delle donne. L’organizzazione Human Rights in Childbirth (HRiC) ha pubblicato un rapporto contenente prove che l’assistenza sanitaria durante la maternità sarebbe stata minata dalla pandemia e che i tentativi di controllarla avrebbero violato in modo sproporzionato i diritti delle donne che partoriscono. Molte neo-mamme sarebbero state costrette a lasciare l’ospedale per lasciare spazio ai pazienti di Covid-19 e avrebbero potuto rivedere il proprio bambino solo dopo settimane. “Invece di un abbraccio, sono andato a casa a mani vuote solo con la testa piena di domande”, ha dichiarato una di loro, “Ogni giorno senza il mio bambino stava togliendo la mia forza e danneggiando la mia salute mentale”.
Durante e dopo la pandemia, l’associazione Women’s Circles ha criticato duramente il governo per aver consentito agli ospedali di applicare regole arbitrarie. Oltre 4.500 persone hanno firmato una lettera aperta al governo avvertendo che la separazione dei bambini prematuri dai loro genitori è una violazione dei diritti umani.
Stessa cosa in Croazia, dove diversi medici hanno denunciato che le donne in gravidanza sospettate di avere Covid-19 avrebbero dovuto ricorrere al taglio cesareo e sono state allontanante dai loro bambini.
Un problema che si sarebbe verificato anche in Polonia, dove secondo Dignity Foundation sarebbe stato raccomandato di separare le madri positive al Covid-19 dai loro neonati e di allattare al seno “con cautela”.
Tra i paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, la diatriba sulle procedure di salvataggio/accoglienza dei migranti provenienti dall’Africa adottate dal governo maltese non sembra essere conclusa. Anzi, durante la pandemia la situazione è peggiorata. Recentemente le autorità italiane hanno dichiarato che le forze armate maltesi avrebbero allontanato una barca di migranti delle acque maltesi minacciandola con le armi e imponendole di raggiungere l’Italia, dopo aver fornito carburante e coordinate GPS.
Solo pochi giorni fa l’autorevole giornale The Guardian ha pubblicato una esclusiva congiunta con il quotidiano Avvenire in cui sono riportate le dichiarazioni dei richiedenti asilo e le riprese video di una nave delle Forze armate di Malta (AFM) che si sarebbe rifiutata di salvare decine e decine di persone in un gommone anche dopo che molti migranti erano saltati in acqua per cercare di raggiungere la barca militare, pensando erroneamente di essere stati salvati.
“Ci hanno dato giubbotti di salvataggio rossi, un nuovo motore e carburante e ci hanno detto che ci avrebbero mostrato la strada per l’Italia. Poi ci hanno puntato le pistole e ci hanno detto: “Ti diamo 30 minuti”, ha dichiarato al Guardian uno dei migranti dopo il suo arrivo in Sicilia. Secondo il governo italiano, il comportamento delle autorità maltesi in questa circostanza è in linea con un atteggiamento purtroppo non nuovo da parte di La Valletta. “Le autorità maltesi hanno spesso eluso gli obblighi stabiliti nelle convenzioni internazionali in materia di salvataggio in mare”.
In Croazia, in Francia e in molti altri paesi europei i casi di violazioni dei diritti umani e degli accordi internazionali non si contano più. E la gestione della pandemia mostra lacune e problemi a non finire. Esemplare il caso avvenuto in Bosnia Erzegovina: secondo quanto riportato dal Guardian, 29 delle 33 persone intervistate dal Danish Refugee Council (DRC), uno dei principali enti che fornisce assistenza sanitaria ai migranti in questo paese, avrebbero riferito di essere stati picchiati con bastoni dalla polizia. Al punto che un gruppo di parlamentari dell’UE a Bruxelles ha richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente per indagare su tali abusi. “Riteniamo che la Commissione europea dovrebbe unirsi agli sforzi investigativi delle Nazioni Unite per fermare il presunto abuso e ritenere gli autori responsabili delle loro azioni”, si legge in una nota interna che circola tra i deputati. Anche l’UNHCR starebbe valutando se effettuare indagini sulle presunte violazioni dei migranti da parte della polizia in Croazia.
Il problema dei “confini” e delle “frontiere” in tempi di crisi è forse uno degli più delicati emerso nelle ultime settimane. “L’unica conclusione che puoi raggiungere sul perché tacciono è che fintanto che i confini saranno rafforzati, gli obblighi in materia di diritti umani potranno essere comodamente ignorati”, ha affermato la rappresentante di una organizzazione umanitaria. “Tutti sono felici dell’ampliamento di Schengen per motivi commerciali. Poco importa se i rifugiati e i migranti vengono sacrificati […] Mi auguro che le responsabilità di ognuno vengano a galla o l’UE è finita”. A sentire queste parole sembra proprio che il Covid-19 abbia colpito non solo le persone ma anche molte istituzioni. E nessuno sembra volersi prendere cura del “malato molto grave”…