In queste ultime settimane, si sta tornando a discutere su un caso passato agli onori della cronaca nera. Una narrazione terribile che riguarda la complessa personalità del serial killer Jeffrey Dahmer, un uomo spietato e dalle perversioni efferate.
Le maggiori testate giornalistiche si stanno occupando di Dahmer, perché lo showrunner Ryan Murphy gli ha dedicato una miniserie che sta andando in onda su Netflix. Una miniserie, uscita il 21 settembre 2022, che è diventata un fenomeno mediatico e ha superato ogni record di visualizzazione sulla piattaforma.
Dal 21 settembre al 2 ottobre, a livello globale, ha ottenuto quasi 300 milioni di visualizzazioni. Infatti, risulta essere la nona serie televisiva in lingua inglese più vista di tutti i tempi. A quanto pare si appresta a superare Squid Game.
Ma che uomo è stato Dahmer? Facciamo un passo indietro. Nato il 21 maggio 1960 a Milwaukee, nel Wisconsin, ha commesso tra il 1978 e il 1991 crimini che superano l’immaginazione e la fantasia.
Fin dalle scuole elementari ha manifestato la sua passione: smembrare gli animali per poi conservarne le ossa. Amava bere, già a 14 anni, e quando ha capito di essere omosessuale ha iniziato ad immaginare lo stupro di uomini.
Vanity Fair ha ripercorso tutti i delitti commessi da Dahmer e ha citato i nomi delle vittime. Il primo a perdere la vita è stato Steven Mark Hicks. Lo strangolò e poi si masturbò sul suo corpo, lo smembrò e lo seppellì.
Le vittime accertate furono diciassette: Steven Tuomi, Jamie Doxtator, Richard Guerrero, Anthony Sears e tanti altri. La sua pazzia omicida raggiunse limiti estremi, poiché alle uccisioni seguirono atti di necrofilia e cannibalismo. Non sono mancate nemmeno le lobotomie sui cadaveri.
Il 22 luglio 1991 venne arrestato e nella sua casa furono rinvenuti resti di corpi umani. Parti del corpo congelate nel frigo e numerosi teschi. Ma non è tutto. Nell’appartamento furono ritrovate 84 polaroid in quanto, Jeffrey, adorava scattare le fotografie alle sue vittime, mettendo accuratamente in posa i loro corpi.
Nel 1992 è stato condannato a 957 anni di carcere. Senza alcun risentimento confessò di aver scelto uomini di colore e asiatici, visto che la loro scomparsa non avrebbe insospettito le autorità. Quindi, mostrando a chiare lettere anche il suo disprezzo per gli uomini di colore.
Il killer non ha concluso la sua pena: è stato massacrato di botte e ucciso il 28 novembre 1994 da un compagno di detenzione.
Adesso, tornando alla serie televisiva ci si chiede le motivazioni di un tale successo e non mancano le polemiche. Una ricostruzione delle dinamiche comportamentali di Dahmer quasi fedele alla realtà, ma i parenti delle vittime non ci stanno e sui social hanno espresso il loro pensiero e il loro disappunto.
La madre della vittima Tony Hughes ha rilasciato una dichiarazione al Guardian in cui spiega che la descrizione della morte di suo figlio non è corretta. Eric Perry, cugino della vittima Errol Lindsey, ha twittato che la serie diretta da Ryan Murphy sta “traumatizzando di nuovo” la sua famiglia e ha aggiunto: “Non sto dicendo a nessuno cosa guardare, ma siamo tutti molto arrabbiati per questo show. Si tratta di continuare a traumatizzare chi è stato coinvolto, e per cosa? Di quanti film/spettacoli/documentari abbiamo bisogno? Non sono mai stato contattato in merito alla serie. Penso che Netflix avrebbe dovuto chiedere se ci dispiace o come ci siamo sentiti a realizzarlo. Non mi hanno chiesto nulla. L’hanno fatto e basta”.
Ad indignare sono i video e i commenti, comparsi sui social, che sembrano motivare l’atteggiamento di Jeffrey. Quel che peggio è che sta spopolando su TIkTok una nuova challenge, ispirata a Dahmer.
L’indagine è partita dal New York Post che ha cercato sulla piattaforma: “Jeffrey Dahmer vittime polaroid”. In questi video è possibile vedere gente che filma la loro reazione mentre guarda le vere polaroid scattate da Dahmer. Fortunatamente, su queste immagini è stata posta una censura e questo potrebbe arginare il diffondersi della challenge.
Ho dedicato tante ricerche alle challenge e ne ho parlato nel mio ultimo libro “Figli delle App”. Sfide assurde e rischiose che i giovanissimi decidono di intraprendere, mettendo a repentaglio anche la loro stessa vita. Il forte individualismo, e la concentrazione su di sé, spinge molti preadolescenti e adolescenti a cercare il consenso sulle loro piattaforme del cuore. Hanno bisogno di approvazione, di “like” e “cuoricini” per sentirsi accettati e sono disposti a tutto.
Diverse indagini, compresa quella che ha divulgato l’ISTAT, ci hanno ricordato che la popolazione è sempre più affetta da cattivismo. Non è semplice capire il perché di tanta cattiveria e le trasformazioni del tessuto sociale. Certamente, parlare solo di “cattivismo” non è una risposta a quello a cui stiamo assistendo. Le motivazioni sono più profonde e vanno indagate con attenzione. Uccidere un altro essere umano significa non dare valore alla vita e quotidianamente la cronaca nera ci consegna episodi di violenza inaudita. Purtroppo, sui social network ognuno può dire la propria opinione su tutto, arrivando a giustificare anche le atrocità commesse dal Mostro di Milwaukee.
Oggi, dobbiamo riscoprire l’educazione e il rispetto degli altri. Basti pensare agli adolescenti che fanno autolesionismo, ai bimbi che spezzano i loro sogni per inseguire una sfida su TikTok, ad adulti che spendono il loro tempo a spiare o a studiare come distruggere gli altri. Manca il rispetto minimo per l’altro. Non si può accettare che le nuove generazioni, prendano a modello Dahmer e lo emulino, attraverso le challenge o ne parlino con leggerezza. Interroghiamoci sui fattori che stimolano il nostro interesse per il crimine e sul connubio orrore/attrazione. Chiediamoci anche che cosa spinge centinaia di persone in tutto il mondo a praticare il dark tourism.
Il dark tourism è un turismo particolare, dal momento che le persone si recano in quei luoghi dove sono avvenuti terribili omicidi e orrendi crimini. Posti che, diventati il simbolo della cattiveria umana, si trasformano in mete turistiche.
Riusciamo a parlare del suicidio o dell’omicidio di un uomo con estrema facilità come non fosse importante o come se gli esseri umani fossero numeri da quantificare. Una sofferenza che si può commercializzare senza alcuna importanza e questo è inaccettabile.
Siamo in piena emergenza educativa e dobbiamo ripartire da quello che ci sembra orrendo e cambiare la tendenza. Honoré De Balzac ha scritto che: “L’amore prova orrore per tutto ciò che non è amore” e a noi serve ritrovare il concetto di amore, isolando le meschinità e le brutture di questo mondo.