Secondo alcuni, la guerra tra Ucraina e Russia avrebbe interrotto un periodo di pace che durava da decenni.
Purtroppo la verità è un’altra: da decenni, in tutto il mondo, guerre e scontri armati non hanno mai smesso di causare vittime e danni geopolitici impressionanti (si pensi al numero dei profughi e dei rifugiati che ha raggiunto gli 80 milioni di persone). Anche oggi, nonostante la decisione di molti media di parlare solo della guerra in Ucraina, sarebbero ben 59 le guerre attualmente in corso (dati aggiornati a marzo 2022). Scontri più o meno famosi, più o meno “mediatici” ma che continuano a uccidere (e far morire di fame) milioni di persone. A fornire un quadro impietoso e l’Armed conflict location & event data project (Acled), una organizzazione internazionale che pubblica dati e numeri che classificano le varie forme di violenza presenti nel mondo, dalle guerre fino agli episodi più gravi di criminalità. ACLED (acleddata.com).
Da un alto ci sono guerre famose come quella in Ucraina, la guerra in Afghanistan (anche questa sembrerebbe non essere più di moda) o quella in Siria. Altre molto meno conosciute come la guerra civile in Etiopia, nella regione del Tigray, nella parte settentrionale del paese. I numeri di Alced sono impressionanti. Negli ultimi dodici mesi, da maggio 2021 a maggio 2022, gli eventi violenti in tutto il mondo sono stati 104.686. Un numero spaventoso. Prima di tutto perché mostra un trend crescente preoccupante: sono aumentati di oltre il 21%.
La realtà è che, dopo decenni di “sviluppo”, di crescita economica e sociale e di “miglioramenti”, in tutto il mondo si continua a combattere e ad uccidere. Ovunque: dall’India alla Russia, dall’Africa all’America fino all’Europa. I paesi che non sono coinvolti direttamente in questi conflitti lo diventano vendendo armi a una delle due parti di un altro conflitto (e talvolta a entrambe: India e Pakistan sono in guerra da decenni, e l’Italia vende a entrambi). Molti dei conflitti non riguardano stati, ma “milizie politiche, bande criminali o gruppi di terroristi internazionali. Tensioni regionali irrisolte, crollo dello stato di diritto, assenza delle istituzioni e attività lucrative illecite sono le principali cause. Il tutto aggravato dal peso dei cambiamenti climatici”, come riportato in un comunicato delle Nazioni Unite.
Negli ultimi decenni a cambiare (forse) è il modo di “fare la guerra”. Niente più dichiarazioni formali presso le rappresentanze diplomatiche del paese estero che si vuole sfidare (del resto questa prassi non è più utilizzata da molti decenni). Anche la natura dei conflitti armati è cambiata: spesso sono meno “mortali” (nonostante alcune eccezioni come nel caso della Siria), ma più duraturi (si pensi alle guerre in Afghanistan o tra Pakistan e India). Anche i metodi di risolvere questi conflitti tradizionali (e pacifici) appaiono ormai obsoleti. Spesso a problemi politici e militari si aggiungono problemi sociopolitici, ecologici e geopolitici che si evolvono nel corso degli anni (si pensi al caso del conflitto nello Yemen e al ruolo degli USA). L’unica cosa che non è cambiata, è il motivo alla base dei conflitti. Al di là di pacchiane scuse ideologiche, religiose storiche o altro, la causa delle guerre è sempre la stessa: i soldi. In Ucraina, si combatte da molti decenni (eppure se ne parla solo ora, forse per giustificare l’intervento di molti paesi). A fare gola sono le risorse del paese e alcuni punti strategici dal punto di vista commerciale (come lo sbocco sul Mar Nero o il passaggio del gasdotto).
Spesso le dispute territoriali sorgono quando nazioni o gruppi etnici o politici cercano di far valere il proprio predominio sulle risorse di un altro paese. Come nel 2021, tra Armenia e Azerbaigian, per il controllo sulla regione del Nagorno Karabakh. O tra Israele e Palestina per il controllo dei territori contesi in Cisgiordania. A volte alcune guerre durano più del previsto a causa dell’instabilità politica. Si pensi a quanto avviene in Libia. O nello Yemen (anche se dopo la vergognosa ritirata degli USA e dei loro alleati, i media hanno preferito non parlare più di questa guerra). O nel Myanmar. Esistono poi paesi in situazioni che un giornale ha definito border line, a un passo dalla guerra. Come è stato il Venezuela qualche anno fa. O Haiti. O il Messico.
La verità è che molte guerre fanno comodo, che lo si voglia ammettere o no. A dimostrarlo sono i numeri. Quelli della spesa pubblica in armi e armamenti. Numeri che, in un mondo in cui si lamenta la mancanza di fondi per realizzare azioni per lo sviluppo sostenibile e duraturo, lasciano esterrefatti. La produzione e la vendita di armi e armamenti è uno dei settori economici più floridi in assoluto. Per questo che nel mondo siano così tanti i conflitti, non può che far piacere a chi ha fatto della produzione di strumenti di morte il proprio business. “Tutti oggi parlano di aumentare le spese militari al 2 per cento del PIL, ma nessuno ricorda che l’Italia si è impegnata più volte con le Nazioni Unite a raggiungere lo 0,7 per cento per aiuti allo sviluppo. E oggi siamo solo allo 0,2”, ha dichiarato Martina Pignatti Morano, direttrice dei progetti dell’associazione Un ponte per e presidente del comitato etico di Banca etica.
Fare la guerra a molti soggetti conviene. Secondo i dati forniti dai ricercatori della FAO e delle nazioni Unite, per eliminare radicalmente e per sempre la fame dal mondo (rapporto presentato al Global Forum di Roma ad ottobre 2018) basterebbero “risorse aggiuntive fino a 265 miliardi di dollari per porre fine alla povertà e alla fame entro il 2030”. Ed eliminare fame o povertà risolverebbe tantissimi problemi. A cominciare da quelli inseriti negli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (i SDGs). Consentirebbe anche di ridurre le migrazioni. Sarebbe possibile pensare ad una educazione per tutti e all’adozione di politiche più rispettose dell’ambiente. E poi si potrebbe cercare di debellare definitivamente malattie legate alla malnutrizione e all’alimentazione sbagliata. E molto altro ancora. Per farlo basterebbero 265 miliardi di dollari. Molti? In realtà pochi se confrontati con la spesa in armi e armamenti: solo nel 2021, per armi e armamenti sono stati spesi circa 2.113 miliardi di dollari (dati SIPRI). Lo 0,7% in più rispetto al 2020. Una somma destinata a crescere ulteriormente nel 2022 proprio grazie al conflitto in Ucraina e alla corsa sfrenata di tutti i paesi occidentali a chi regala più armi al paese invaso. Trends in World Military Expenditure, 2021 | SIPRI.
Non c’è politico o governo che non abbia riempito i propri discorsi di promesse di pace, di belle parole, di leggi e regolamenti per condannare la guerra e le sue conseguenze. Ma in realtà, sono in molti a volere che ci siano le guerre. E spesso per un solo motivo: fare più soldi di quelli che già fanno. Basti pensare che gli USA solo lo scorso anno, hanno speso circa 801 miliardi di dollari in armi e armamenti, una somma pari al 3,5% del PIL. Soldi che il governo americano avrebbe potuto utilizzare per migliorare la sanità. O per ridurre le diseguaglianze sociali (spesso sono alla base di stragi e violenze per le strade d’America). E per far fronte ai problemi legati ai cambiamenti climatici. Lo stesso dicasi per il secondo paese al mondo per spesa in armi e armamenti: la Cina (con 293 miliardi di dollari). Anche in questo caso, soldi che avrebbero potuto (e dovuto) essere usati per eradicare la povertà che era e continua ad essere una delle piaghe di questo paese (in barba alle promesse del presidente che lo scorso febbraio si è vantato di aver debellato la povertà, salvo poi scoprire che si trattava solo della povertà estrema e per di più calcolata mediante parametri ad hoc).
Anche in India la povertà è un problema serio. Eppure anche questo paese preferisce spendere decine e decine di miliardi di dollari (76,6) in armi e armamenti. E poi i paesi europei. A cominciare dal Regno Unito che spende in armi e armamenti la somma spaventosa di 68,4 miliardi ogni anno. Ovviamente in questo elenco non può mancare la Russia, con 65,9 miliardi di dollari: quasi al 4,1% del proprio PIL.
E l’Italia? Secondo gli esperti del SIPRI, lo scorso anno, l’Italia avrebbe speso in armi e armamenti 32 miliardi di dollari (l’1,5% del PIL, ma a questi si dovrebbe aggiungere la spesa per la NATO pari in teoria al 2% del PIL). Anche in Italia, i problemi non mancano (povertà dilagante, debito pubblico, edilizia scolastica – decine di migliaia di scuole a rischio – ma il governo finge di non saperlo e destina alla messa in sicurezza pochi spiccioli, se confrontati con la spesa in armi e armamenti). Problemi che sarebbe stato possibile risolvere se chi governa avesse scelto di spendere questi soldi in modo più oculato. Invece no. Anche l’Italia, come molti altri paesi “sviluppati”, non ha fatto altro che parlare di pace e di convivenza pacifica. E poi ha preferito spendere miliardi in armi e armamenti. Al punto di venderne o addirittura regalarne anche a paesi in guerra. Ben sapendo che verranno utilizzati per uccidere persone, per macchiare di sangue le strade e le case.
I veri responsabili delle migliaia di morti (e di un numero incalcolabile di feriti) in Ucraina e in tutte le guerre che si stanno combattendo sulla Terra, non sono i soldati o i combattenti: è chi ha deciso di fare affari con la guerra producendo e vendendo armi. Soldi sporchi del sangue di uomini, donne, bambini che spesso non sanno neanche il vero motivo per cui sono stati uccisi.