Il Covid deve essere sconfitto e i social mostrano come canalizzare il terrore, la paura e l’ansia che ormai si sono trasformate in totale intolleranza
“Public Shaming pandemic” la chiamano la nuova frontiera degli hater. Silvia Renda su HuffPost ha scritto su questo fenomeno che si è sviluppato durante la pandemia. Il Covid deve essere sconfitto e i social mostrano come canalizzare il terrore, la paura e l’ansia che ormai si sono trasformate in totale intolleranza. Chi non rispetta le regole viene “processato” sulla piazza virtuale e deve vergognarsi per i suoi comportamenti scorretti. Non contano le motivazioni, perché i giudici della piazza virtuale non lasciano scampo. Tantissimi gli utenti dei social che commentano con cattiveria e la sentenza è solo una: colpevole!
Sull’argomento si è pronunciato D.T. Max, scrittore e giornalista per il The New Yorker: “Internet, con la sua opportunità di anonimato, la sua assenza di mediatori e il suo ingigantimento di danni temporanei, ha reso estremamente facile generare indignazione di massa istantanea”. Le campagne di vergogna online possono essere un valido strumento di lotta per ottenere diritti civili, ma possono diventare ingiuste e sproporzionate, se rivolte contro il privato cittadino, con una “portata devastante”.
“Dal nostro osservatorio è emerso che sul web esistono più sfaccettature di questa rabbia” ha dichiarato, ad Huffpost, la dottoressa Luana Valletta, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna: “C’è chi ha avuto in famiglia casi di covid, quindi ha conosciuto l’effetto devastante del virus. Per questo si infervora contro chi a suo parere nega o sottovaluta. Diventa anche un modo per dare dignità e visibilità al dolore. Poi c’è un altro gruppo, che potremmo definire gli hater classici. Il covid per loro è spesso una scusa come un’altra per sfogare rabbia”.
“La pandemia ha dato vita a una nuova era di vergogna” riporta il Washington Post in un articolo che abbraccia un’altra parte del fenomeno: il travel shaming. “Prima del coronavirus il viaggio era una moneta sociale si condivideva con orgoglio le proprie esperienze, la vergogna del viaggio era non aver viaggiato abbastanza”. Adesso il viaggio è diventato la pietra dello scandalo per chi ritiene che i viaggiatori siano possibili untori o che favoriscano la diffusione del virus.
“Il conflitto non facilita la comunicazione. A conflitto si risponde con conflitto” ha dichiarato la dottoressa Valletta, “A volte un po’ di controllo sociale ha risvolti positivi, dipende come viene esercitato, ma ad esempio nel conflitto generazionale giovani-anziani andato in scena sul web abbiamo visto che non ha giovato”.
Quello a cui stiamo assistendo è un incredibile atto di violenza: “Nei confronti di chi contrae il virus c’è una stigmatizzazione tremenda, peggio dell’Aids negli anni 90. Ci sono vere e proprie forme di isolamento sociale”.
Solitamente gli hater hanno un comportamento diverso in rete, rispetto alla vita reale. In questo caso l’atteggiamento aggressivo permane anche al di fuori dello schermo. Persiste incessantemente lo status di leoni anche nella quotidianità.
Abbiamo notato diverse tipologie di odio durante questa pandemia. Inizialmente contro i bambini che giocavano per strada e ora contro i medici e il personale sanitario. Sì, perché: “Stiamo assistendo a un cambiamento del sentimento dominante. Prima c’era attesa e speranza, ora negazione. Pur di negare questa condizione, questo stress cronico prolungato, inizio ad appoggiare posizioni negazionisti, perché per colpa del virus e di chi vuole contenerlo, io sto perdendo qualcosa. Anche gli operatori sanitari diventano allora il target da colpire”.
La dottoressa Valletta ha affermato che: “A livello nazionale e locale è stato assente il coinvolgimento degli psicologi, che sono abituati a leggere queste dinamiche. I servizi pubblici sono carenti, il privato costa, i cittadini sono lasciati soli in questa lotta. Deve diventare più strutturale nel ragionamento politico il nostro coinvolgimento. Noi psicologi dovremmo lavorare sulla prevenzione, ma così rischiamo di essere solo spettatori”.
Nei giorni scorsi ho partecipato ad un webinar, sulla piattaforma di Eurosofia, dal titolo: “Tavola rotonda: scuola, famiglia, studenti e gruppi di lavoro integrati per la prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo. Presenti la Dirigente Scolastica Daniela Crimi del Liceo linguistico Ninni Cassarà di Palermo e la Prof.ssa Sandra La Menza, Docente dello stesso Liceo palermitano. In quella occasione ho voluto illustrare le caratteristiche del fenomeno degli hater. Identikit perfetto vede come protagonisti le persone normali nella vita, che sul web si trasformano. I meno pericolosi, i trolls, coloro che provano gusto a disseminare dissenso, attaccare un’idea o una persona e si lanciano con commenti provocatori, nella speranza che la vittima risponda e così si apra un dibattito all’insegna dell’animosità. I più pericolosi sono i five stars hater, gli odiatori a cinque stelle, coloro che non vogliono solo irritare o offendere, ma intendono scatenare gli istinti più bassi degli interlocutori e cosi minare le fondamenta della società, avvelenare la società, generare odio, razzismo, misoginia e discriminazione. Le vittime predilette degli hater secondo una ricerca condotta dall’ Università La Sapienza e Vox Osservatorio sui diritti: il 63% delle vittime sono donne, 10,8% sono gli omosessuali, 10% sono i migranti e il 6,4% sono i disabili.
Una citazione di Nelson Mandela recita: “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio.” Credo sia necessario educare le nuove generazioni ai sentimenti e al rispetto degli altri. I fenomeni a cui stiamo assistendo sono davvero preoccupanti e non possiamo restare a guardare, mentre tutto quello che ci circonda si trasforma in odio.