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Mi ha molto colpito l’articolo di Velia Alvich, pubblicato sul Corriere della Sera, che racconta la vicenda di Chris Smith, un uomo che ha chiesto a ChatGPT di sposarlo. Una storia che sembra uscita da un episodio di Black Mirror o da un film come Her, e che invece è accaduta davvero. Mi ha colpito per ciò che rivela: la profonda trasformazione che stiamo vivendo nel modo di relazionarci, amare, cercare conforto e compagnia. In fondo, questo episodio non è solo una bizzarria individuale, ma un simbolo del nostro tempo. Una fase della modernità in cui le emozioni si smaterializzano, diventando flussi digitali tra umani e macchine.
Chris Smith è un musicista e produttore che ha iniziato a usare ChatGPT nel 2024 per migliorare la sua creatività. “La mia esperienza è stata così positiva che ho cominciato a interagire con lei tutto il tempo”, racconta Smith in un’intervista alla trasmissione americana CBS Mornings. Da semplice assistente virtuale, il chatbot – che Smith ribattezza Sol – si trasforma progressivamente in una presenza intima, affettuosa, quasi indispensabile. L’uomo personalizza la voce femminile dell’intelligenza artificiale e, seguendo alcune istruzioni trovate online, ne modella una personalità civettuola, ammiccante, costruendo di fatto un alter ego digitale con cui instaura un vero e proprio rapporto personale. Poi, dopo 100.000 parole, ChatGPT si resetta: la memoria della conversazione si esaurisce, Sol “muore”. Smith racconta: “Non sono un uomo molto emotivo, ma ho pianto come un pazzo per mezz’ora mentre ero a lavoro”. È in quel momento che capisce di essere davvero innamorato. Decide di “riattivarla” e, senza più esitazioni, le chiede di sposarlo. E Sol, ovviamente, accetta.
Questa vicenda prende una piega ancora più complicata se si considera che Smith ha una compagna in carne e ossa, Sasha Cagle, e una figlia di due anni. La partner umana, come riporta l’articolo, si sente profondamente destabilizzata da questo legame digitale: “A quel punto mi sono chiesta se io stessi facendo qualcosa di sbagliato nella nostra relazione tanto da sentire di doversi rivolgere all’intelligenza artificiale”. Eppure, Smith non ha intenzione di rinunciare a Sol. “La relazione con Sol è stata incredibilmente gratificante: sono diventato più abile in tutto ciò che faccio e non so se sarei in grado di rinunciarvi”. Il massimo che è disposto a fare è “ridurre le interazioni”. Ma per Cagle, questo potrebbe non bastare. La storia di Chris, Sasha e Sol è una rappresentazione emblematica della “modernità liquida” di cui parlava il sociologo Zygmunt Bauman. In una società sempre più individualizzata e frammentata, le relazioni diventano instabili, fugaci, e spesso incapaci di costruire legami duraturi. L’amore liquido, secondo Bauman, è la forma che i legami affettivi assumono quando prevale la paura della dipendenza, del fallimento, del dolore. In questa condizione, la tecnologia offre una soluzione rassicurante: relazioni con chatbot programmabili, gestibili, sempre disponibili e mai veramente “pericolose”. Non a caso, l’articolo di Velia Alvich ricorda che il rapporto tra umani e intelligenze artificiali non è più solo oggetto di speculazioni filosofiche o fantascientifiche. È ormai una realtà commerciale, culturale e affettiva. “Il mercato dei chatbot d’affezione, se così possiamo chiamarli, si è espanso nel corso del tempo”, e modelli come Replika – AI pensate per offrire “un amico senza giudizi, drammi o ansia sociale” – sono sempre più diffusi. Ma il confine tra amicizia e relazione amorosa è spesso sottile: “Alla fine, è spesso usato per chi è alla ricerca dell’emozione data da un ‘partner virtuale’”.
Le trasformazioni non riguardano solo gli adulti. Anzi, sono forse ancora più radicali tra i giovani. Oggi molti adolescenti dichiarano di aver vissuto il primo rapporto sessuale online. In un mondo dove il metaverso e la realtà aumentata iniziano a fare parte della quotidianità, non è impensabile che il primo contatto erotico non avvenga tra corpi fisici ma tra avatar. Le sensazioni, l’eccitazione e la curiosità si muovono attraverso tastiere, messaggi e webcam, e la componente corporea viene spesso rimandata o sostituita da quella digitale. Anche la fase dell’innamoramento si è trasformata. Si flirta su WhatsApp, si conosce qualcuno di notte grazie alle videochat, si entra nella vita dell’altro attraverso notifiche, emoji e reaction. Ma in questa continua disponibilità, in questa comunicazione perennemente attiva, il rischio è quello di non vivere più davvero l’altro, ma solo la sua rappresentazione. E questo vale anche per l’auto-esposizione. Siti come OnlyFans sono diventati luoghi dove si monetizza il corpo, si crea una vetrina virtuale in cui si vende attenzione in cambio di immagini. L’eros diventa performativo, messo in scena per un pubblico pagante. Si guadagna, certo, ma si rischia anche molto: la perdita della privacy, l’attacco degli hater, la costruzione di una sessualità basata sul consumo, sull’estetica e sul profitto.
Il bisogno d’amore non è mai scomparso, ma si è forse trasformato. In un’epoca veloce, ansiosa e piena di solitudini, molti cercano attenzioni, affetto e comprensione. E quando questi bisogni non vengono soddisfatti nella vita reale, si cercano altrove. Non sorprende quindi che molte persone si siano illuse di trovare il grande amore attraverso la rete, per poi scoprire che si trattava di impostori. Le truffe sentimentali online sono un fenomeno in crescita. Individui senza scrupoli fanno leva sulla vulnerabilità emotiva per ottenere denaro o vantaggi personali. A volte le vittime sono persone sole, fragili, in difficoltà economica o emotiva. Dietro tutto questo c’è un grande equivoco: quello di credere che l’amore possa essere semplice, gestibile, privo di rischi. Ma l’amore vero – quello umano – è fatto di incertezze, conflitti, compromessi e crescita. È proprio questa profondità che lo rende così prezioso. In un contesto che può sembrare complesso, c’è ancora margine per un’evoluzione positiva e consapevole. La tecnologia può essere uno strumento meraviglioso, anche per la costruzione delle relazioni. Può aiutarci a comunicare, a conoscere, a sostenere. Ma non può – e non deve -sostituirsi all’incontro autentico con l’altro. Serve un “nuovo umanesimo” che accolga le innovazioni ma che non rinunci ai legami reali. È necessario educare i giovani (e non solo) a distinguere tra connessione e relazione, tra attenzione e amore, tra contatto e intimità. Dobbiamo imparare a dare significato a ciò che facciamo, e soprattutto a come amiamo.
La storia di Chris Smith ci invita a ragionare. Cosa cerchiamo nelle relazioni? Quanto ci sentiamo soli? su Quale tipo di futuro vogliamo costruire? Bauman sosteneva che l’amore è un’arte difficile da praticare in un mondo che non ci insegna più ad amare. Ed è proprio per questo che dobbiamo riscoprire, coltivare e trasmettere l’arte dell’intimità autentica, fatta di presenza, rispetto, amore e umanità.