
[Photo by Ernesto Ryan/Getty Images]
All’età di 89 anni è morto José Alberto Mujica, noto come “Pepe”. A dare la notizia il presidente uruguaiano Yamandú Orsi: “Con profondo dolore comunichiamo che il nostro compagno Pepe Mujica è morto. Presidente, militante, referente e leader. Ci mancherai molto. Grazie per tutto quello che ci avete dato e per il vostro profondo amore per il vostro popolo”.
Pepe mancherà a molti. A quanti credono che si possa ancora fare politica in modo pulito, guidando un paese con mille problemi senza mai perdere di vista la propria umanità e la propria umiltà. Anteponendo i problemi dei propri concittadini (non quelli delle multinazionali) ai propri desideri. Senza mai, nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio, esporsi a critiche. Senza mai dimenticare che, prima di tutto, si è esseri umani, come lui stesso ha ripetuto più volte. Nato nel 1935, divenne guerrigliero del Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros (MLN-T). Venne imprigionato nel 1964 per l’assalto all’azienda tessile Sudamtex di Montevideo. Quindi si diede alla macchia. Nel 1969 partecipò alla presa della città di Pando. Venne ferito, ma fuggì attraverso le fogne. Arrestato, scappò due volte dal carcere di Punta Carretas. Ripreso rimase in carcere per 13 anni, imprigionato in condizioni disumane. Alla fine, il 15 marzo 1985, dopo il ripristino della democrazia in Uruguay, venne rilasciato. Il 20 maggio 1989, il Fronte Amplio approvò l’ingresso in politica del MLN e il 25 giugno di quell’anno si tennero le elezioni del Movimento di Partecipazione Popolare MPP, il movimento politico più importante, in termini elettorali, del XXI secolo in Uruguay. Un movimento guidato da Mujica. Eletto deputato e poi senatore, dal 2010 al 2015 divenne presidente dell’Uruguay. Tra le leggi approvate durante il suo mandato la regolamentazione dell’aborto, della marijuana o del matrimonio egualitario. Dimessosi dal Senato, si era ritirato dalla politica, ma non aveva mai lasciato il Broad Front e aveva guidato la campagna politica dell’attuale presidente Yamandú Orsi alle elezioni del 2024.

[fonte foto: greenme.it]
In tutto il mondo il nome di Pepe è sinonimo di pace (aveva collaborato alla ricerca di una soluzione pacifica al conflitto con i guerriglieri in Colombia). Più volte proposto come candidato al Premio Nobel per la Pace, non lo ricevette mai. Il motivo, forse, è da cercare nel agire e nelle sue parole. Pepe ha sempre mantenuto uno stile di vita modesto. Da presidente non abitò mai nella residenza presidenziale: preferì continuare a vivere nella piccola fattoria dove ha vissuto fino all’ultimo giorno della sua vita, esemplare per mille aspetti. Durante il suo mandato, ha devoluto il 90% del suo stipendio mensile – circa 9.000 dollari – vivendo con i 900 restanti. Lo fece dicendo che era normale visto che “molti dei suoi concittadini devono accontentarsi di molto meno”. C’è stato chi gli ha affibbiato (forse con una nota negativa) l’appellativo di “presidente più povero del mondo”. Niente auto presidenziali, niente jet presidenziali (come quello dono di un paese arabo al tycoon della Casa Bianca sbandierato in tutto il globo): anche da presidente, Pepe andava in giro col suo vecchio Maggiolino del 1987 (una Volkswagen, un’ “auto del popolo”!). O con il trattore. Da capo di Stato non aveva lasciato che venisse meno la frugalità, una regola di vita. Facendolo ha dimostrato al mondo intero che, se si vuole, è possibile costruire un mondo migliore dove vivere meglio, lontano dai dettami del capitalismo e dal commercio inutile.
Schietto e sincero le sue parole colpivano il cuore. Più volte ha ripetuto che la crisi ambientale è, prima di tutto, una crisi politica e culturale, frutto di un consumismo insostenibile che preferisce i profitti di pochi alla felicità di tutti: “Quando lottiamo per l’ambiente, il primo elemento dell’ambiente si chiama felicità umana”. Durissime le sue parole nei confronti degli speculatori: “Abbiamo inventato una montagna di consumi superflui. Continuiamo a comprare e buttare. Ma quello che stiamo buttando è il tempo della nostra vita. Quando compri qualcosa, non lo paghi con i soldi: lo paghi con il tempo della tua vita che hai speso per guadagnarli. Con un’unica differenza: che l’unica cosa che non si può comprare è la vita. E la vita è l’unica cosa che non si recupera”.
Il suo era un modo di fare dolce. Rivolgendosi ai giovani diceva che ascoltano poco, “ma non per colpa loro. La colpa è di una realtà che non gli permette di sognare. E quando si è giovani si ha bisogno di utopia, credere in qualcosa. Il mondo di oggi non motiva i giovani. Si perdono nel consumismo atroce o frequentemente nella solitudine”. Parole che arrivano dritte al cuore di chi sa e vuole ascoltare. Parole semplici ma pesanti come macigni. Parole che i politici occidentali (tutti nessuno escluso) non riescono a pronunciare. Mujica era l’esempio vivente di come la politica è “servizio” e non “carriera” e profitto personale.
Il mondo ha perso José “Pepe” Mujica, ma la sua eredità, il suo essere esempio globale di coerenza, umanità e sobrietà, continuerà a a vivere. Ciò che ci ha lasciato rimarrà nei cuori di chi pensa che un mondo più giusto, più umano, più verde è ancora possibile.