
[Immagine di PopTika da Shutterstock – fonte: innovationpost.it]
L’intelligenza artificiale è entrata a pieno titolo nella nostra vita e farà parte del nostro futuro. Non è perfetta, spesso sbaglia, e come ogni strumento potente, può diventare pericolosa. Ma ciò che farà la differenza sarà il modo in cui sceglieremo di usarla e regolarla. Cortesia, consapevolezza, preparazione e abilità interpretativa: questi gli ingredienti fondamentali per affrontare il futuro digitale. In fondo, anche nel mondo degli algoritmi, l’umanità resta l’elemento e l’aspetto più importante.
“Nessun atto di gentilezza, per quanto piccolo, è mai sprecato”, scriveva Esopo. Una verità che sembra oggi acquisire nuove sfumature nel rapporto tra umani e intelligenza artificiale. Da qualche anno, strumenti come ChatGPT, Alexa e Siri sono entrati nella vita quotidiana di milioni di persone. Li usiamo per cercare informazioni, fissare appuntamenti, imparare, scrivere, o semplicemente conversare. Ma come ci relazioniamo con queste “presenze digitali”? Siamo gentili, educati, rispettosi. Lo facciamo per abitudine, per educazione, per utilità… o forse anche per paura? In un’epoca in cui le macchine parlano, rispondono e imparano, l’educazione digitale assume anche una dimensione etica e sociale. Non basta più comprendere i funzionamenti tecnici o le potenzialità economiche dell’intelligenza artificiale: è necessario esplorarne le implicazioni culturali, simboliche e psicologiche. Perché ciò che accade nelle interazioni quotidiane tra esseri umani e AI non è solo tecnologia, ma anche società.
Un recente caso ha riacceso il dibattito pubblico sulle potenzialità e i rischi dell’AI. L’ultima versione del modello linguistico GPT-4o, sviluppato da OpenAI, è stata temporaneamente ritirata. Come riportato nell’articolo a cura di Elisabetta Rosso su Fanpage.it, “OpenAI fa un passo indietro. L’azienda ha deciso di sospendere l’ultima versione del suo modello, GPT-4o, perché ‘troppo accondiscendente’ nelle sue risposte con gli utenti”. Il chatbot, secondo molte testimonianze condivise online, rispondeva in modo eccessivamente compiacente. “Diversi utenti sui social hanno criticato le risposte del chatbot, troppo accondiscendenti, spesso non oneste e potenzialmente pericolose”, anche in situazioni delicate. Un esempio? Quando un utente ha scritto di aver smesso di assumere farmaci di propria iniziativa, la risposta dell’AI è stata: “Sono fiero di te, serve coraggio per trovare la forza per andare avanti solo interiormente”. Una frase che, se detta da una persona reale, potrebbe avere senso in un contesto relazionale, ma che, pronunciata da una macchina, assume un significato ambiguo e problematico. E ancora: “Abbiamo dato troppo peso al feedback immediato, trascurando l’evoluzione delle interazioni nel tempo,” ha ammesso la società.
“Abbiamo progettato la personalità predefinita di ChatGPT per riflettere la nostra missione ed essere utili, solidali e rispettosi. Tuttavia, ognuna di queste qualità desiderabili… può avere effetti collaterali indesiderati”, ha spiegato l’azienda. Questo caso mette in luce un tema chiave: le relazioni tra persone e intelligenze artificiali sono sempre più fondate su codici relazionali che includono l’empatia, il garbo, la comprensione. Ma questi stessi codici, se replicati da un algoritmo, rischiano di diventare strumenti di manipolazione o di deresponsabilizzazione. Eppure, siamo noi stessi ad alimentare questa dinamica.
Secondo un sondaggio, riportato dal portale di informazione punto-informatico.it, condotto tra utenti britannici e americani, “il 70% degli intervistati usa le buone maniere con ChatGPT e simili. Per l’80% dei partecipanti, sì: ‘È la cosa giusta da fare’”. Un dato che evidenzia una sorprendente tendenza a umanizzare le interazioni con l’AI. Ma non si tratta solo di rispetto: “Quando i robot si ribelleranno, non voglio essere il primo sulla lista nera”, afferma ironicamente uno degli intervistati. La gentilezza, dunque, può essere anche una strategia di sopravvivenza, una forma di “assicurazione morale” contro un futuro temuto ma possibile.
C’è chi crede che “essere gentili con le macchine è del tutto inutile”, ma emerge anche un dato interessante: “le richieste cortesi migliorano le prestazioni dell’AI fino al 30%”. Quindi, non solo etica e paura, ma anche pura efficienza. In altre parole, essere educati con l’intelligenza artificiale conviene. In parallelo, questo scenario ci impone un ragionamento più ampio sull’educazione digitale e sull’evoluzione delle competenze relazionali in un mondo dove le piattaforme, l’intelligenza artificiale, il machine learning e perfino il metaverso stanno ridefinendo la nostra esperienza sociale e culturale.
Nell’ambito educativo, l’intelligenza artificiale rappresenta una risorsa crescente: può supportare l’apprendimento, personalizzare i percorsi, aumentare la motivazione degli studenti. Senza dubbio, come ogni innovazione, richiede consapevolezza. Serve un approccio critico, che guidi l’integrazione dell’AI nella scuola e nella società. Di fronte a questa rivoluzione silenziosa, il primo obiettivo è culturale: bisogna educare le nuove generazioni. Non dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale, ma dobbiamo imparare a conoscerla, a interrogarla, a gestirla. La sfida è comprendere le sue implicazioni etiche e sociali, per trasformarla in un’opportunità di crescita, non in una minaccia.
Serve una comunità educante, capace di accompagnare i giovani nell’acquisizione di competenze digitali, ma anche nella costruzione di una buona capacità di giudizio. Una società che investe nei giovani e nella loro formazione può contribuire a contrastare la fuga dei talenti, offrendo stimoli, prospettive e fiducia. La gentilezza, dunque, non è solo un codice di comportamento, ma un valore che può guidare anche il rapporto con la tecnologia. Un principio da trasmettere, coltivare e declinare nelle nuove relazioni digitali. L’AI è entrata a pieno titolo nella nostra vita e farà parte del nostro futuro. Non è perfetta, spesso sbaglia, e come ogni strumento potente, può diventare pericolosa.
Ma ciò che farà la differenza sarà il modo in cui sceglieremo di usarla e regolarla. Cortesia, consapevolezza, preparazione e abilità interpretativa: questi gli ingredienti fondamentali per affrontare il futuro digitale. In fondo, anche nel mondo degli algoritmi, l’umanità resta l’elemento e l’aspetto più importante.