Discutibili molte delle decisioni sbandierate (firmate con un pennarello su un testo a caratteri molto piccoli e mostrate ai giornalisti così lontani da non riuscire a leggere altro che la firma). Alcune si sa già che non avranno seguito. Come quella di cancellare lo ius soli, il diritto di cittadinanza per chi è nato negli USA. Un diritto previsto dal Quattordicesimo Emendamento della Costituzione americana che, dal 1868, stabilisce che chiunque nasca sul suolo americano dovrebbe essere considerato “cittadino” USA. Una scelta che è uno dei pilastri del “sogno americano”. Trump aveva già provato ad abrogarlo durante il suo primo mandato come presidente, ma non c’era riuscito. Ora ci riprova. Lo fa fingendo di non sapere che non basta mettere una firma col pennarello e sbandierarla davanti ai media: si tratta di un provvedimento che richiede una modifica della Costituzione, quindi avrebbe bisogno del voto della maggioranza di due terzi dei votanti sia alla Camera che al Senato e dell’approvazione di tre quarti dei 50 Stati dell’Unione.
Anche altre decisioni appaiono discutibili. Non solo dal punto di vista legale ma anche sotto il profilo concettuale. Qualche settimana fa aveva destato scalpore la decisione di Biden di concedere la grazia al proprio figlio reo confesso di un reato abbastanza grave. Una scelta che ha messo in risalto un chiaro interesse personale che non dovrebbe in alcun modo riguardare un capo di Stato. Tanto meno il presidente degli USA. Trump ha fatto di peggio: appena insediato ha concesso l’amnistia a tutti i soggetti condannati per l’attacco a Capital Hill. Ma non basta, è andato oltre. Fra i primi ordini esecutivi firmati dal neo-presidente USA Donald Trump c’è anche la cancellazione delle misure previste dal suo predecessore contro i coloni e i gruppi di estrema destra israeliana coinvolti in violenze contro i civili palestinesi o per l’occupazione di territori in Cisgiordania. Il provvedimento, datato febbraio 2024, era rivolto a soggetti accusati di “minare pace, sicurezza e stabilità”. Trump, con un colpo di pennarello, ha cancellato tutto. Anzi è andato oltre: si è detto “non fiducioso” circa la tenuta della tregua a Gaza fra Israele e Hamas. Infatti, a tre giorni dall’inizio del cessate il fuoco, Israele ha bombardato i campi profughi palestinesi in Cisgiordania. Dure le polemiche anche sul cambio di rotta riguardante la riduzione delle emissioni e in particolare gli accordi di Parigi (per quanto blandi e insufficienti). Anche in questo caso non si tratta di una novità: nel 2016, appena eletto presidente per la prima volta, Trump aveva cancellato quanto sottoscritto a Parigi dal suo predecessore Obama. Anche la decisione di uscire dall’OMS non è una novità.
Durante il primo mandato Trump aveva promesso di fare la stessa cosa. Allora come ora il vero motivo di questa scelta è da cercare altrove: nella bocciatura del candidato USA al ruolo di capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una decisione che aveva causato commenti pesantissimi da parte di Trump (ma ingiustificati visto che il candidato proposto dagli USA pare non fosse idoneo a ricoprire quel ruolo). Da allora, gli USA non hanno fatto altro che attaccare l’OMS minacciando di tagliare i fondi che gli USA versano all’OMS. Il vero motivo per cui gli USA considerano l’OMS una “proprietà” (o quasi) è che, secondo alcune stime, è dagli USA che arriva una parte considerevole dei fondi che finiscono nelle casse di questo ente delle Nazioni Unite. Secondo alcune stime si tratterebbe di quasi un miliardo di dollari di contributi per il biennio 2024-2025 (su un budget totale di 6,5 miliardi) e più circa due miliardi legati a interventi di emergenza o specifiche finalità. Fondi in parte “diretti” (secondo la piattaforma pubblica dell’OMS, invece, i fondi ricevuti dagli Stati Uniti ammonterebbero a 260 milioni di dollari di contributi fissi e altri 698 milioni di contributi volontari) ma a questi si dovrebbero aggiungere le cospicue donazioni da parte di soggetti vicini al governo USA. Sarebbe questo il motivo che ha spinto Trump a decidere di chiudere i cordoni della borsa e di uscire dall’OMS.
Sarebbero tante le cose da dire sulle decisioni di Trump appena insediato (e non tutte positive). Di alcune i giornali hanno parlato. Di altre meno. C’è una cosa, però, di cui si è parlato poco, molto poco. Durante il discorso tenuto in occasione del giuramento, riferendosi all’attentato cui è scampato durante la campagna elettorale, Trump ha detto di essere stato “salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande”. “Sentivo allora, e credo ancora di più adesso, che la mia vita è stata salvata per un motivo”, ha dichiarato. Parole con le quali Trump si sarebbe fregiato di una sorta di imprimatur divino.
Non è la prima volta che un leader usa questo stratagemma per giustificare le proprie azioni. Il primo fu Hammurabi: il re dei sumeri presentò al popolo le leggi a incise nella pietra (in caratteri che pochi sapevano decifrare ma che erano incancellabili) dicendo di essere un inviato di Dio. Da allora sono stati decine i monarchi che si sono avvalsi del proprio “diritto divino dei re”. Ne parla anche la Bibbia. Nella Lettera ai Romani, San Paolo dice che i regnanti in terra, anche nel caso in cui non fossero cristiani, sono nominati da Dio alle loro posizioni di potere, allo scopo di punire i malvagi. Anche Sant’Agostino, nel De Civitate Dei, scrive che quando i monarchi seggono sul proprio trono per gli scopi di Dio, mettere in discussione la loro autorità equivaleva a mettere in discussione quella di Dio. Durante il regno di Luigi XIV, Bossuet dichiarò che i re erano consacrati come rappresentanti di Dio sulla Terra e ognuno di loro aveva ricevuto il trono da Dio stesso. Per questo ribellarsi contro la loro autorità era come ribellarsi a Dio. Nessun parlamento, nobile, tanto meno il popolo, aveva il diritto di partecipare a questa autorità data da Dio, poiché era stata conferita dalla provvidenza divina attraverso il diritto di primogenitura. L’elenco dei sovrani o dei capi di Stato che si sono presentati come discendenti o emissari di un qualche Dio è lunghissimo. L’ultimo, in termini di tempo, sarebbe Narendra Modi, vincitore delle elezioni generali in India per la terza volta consecutiva: in un’intervista televisiva rilasciata poche settimane prima del voto, il leader indiano ha detto di essere convinto di avere origini divine e di essere un “messaggero di Dio”, che lo avrebbe mandato e benedetto con “potere divino”. Rispondendo a una domanda sulla sua “energia indomabile”, Modi ha ribadito di averla ricevuta per compiere l’opera affidatagli da Dio.
Ora, a usare questo stratagemma, è stato Trump. Con una differenza non secondaria: nei secoli passati a vantare questo potere erano sempre re, dittatori, tiranni, persone che avevano bisogno di giustificare le proprie scelte dispotiche parlando diun qualche mandato divino. Donald Trump è un “eletto” non perché scelto da una divinità, ma dal popolo. Da un elettorato che, un certo punto non ha avuto di meglio da votare. Sia tra i repubblicani che, tanto più, tra i democratici i quali, dopo aver perso mesi e mesi per convincere (o costringere) Biden a ritirarsi dalla corsa alla Casa Bianca, hanno ripiegato sulla Harris. Anche la decisione di Trump di precipitarsi a firmare decine e decine di atti (sapendo che molti di questi non avranno un seguito) potrebbe essere sintomo di un desiderio smodato di presentarsi come prescelto non dagli elettori ma da “qualcuno più in alto”.
Inutile dire che tutto questo potrebbe avere conseguenze nefaste. Alcune delle quali si sono già viste. Tra le prime misure firmate da Trump c’è quella di imporre dazi agli “amici” europei. Ancora una volta, però, la vera ragione di questa misura non è da ricercare in un qualche disegno divino ma nella brama di fare soldi: il bilancio import/export tra UE e USA è largamente a favore degli europei. É per questo che Trump ha “imposto” agli “amici” europei di comprare più prodotti made in USA. Quali prodotti? Prima di tutto GNL e armi (di cui gli USA sono i primi produttori al mondo). Come fare per costringere gli europei a comprare più armi? Semplice, chiedendo (ma sarebbe più corretto dire “imponendo”) di portare la percentuale del PIL da destinare alla NATO dal 2 al 5%. Soldi da spendere in armi e armamenti da comprare dagli “amici” americani governati da un presidente “salvato da Dio per un motivo”: fare grande l’America (o meglio gli USA). E poco importa degli altri paesi. La prova di questo atteggiamento (l’ennesima) si è avuta nei giorni scorsi: Trump ha deciso di non partecipare di persona agli incontri dei leader mondiali durante la 55esima edizione del World Economic Forum a Davos: si è limitato a mandare un video-messaggio…
E pensare che a Davos molti hanno parlato proprio di lui.