
[fonte immagine: fil-luge.org]
Ogni volta che si parla di grandi eventi sportivi, come i mondiali di calcio o le Olimpiadi (anche quelle invernali), sorgono polemiche sul costo che comportano. In molti si domandano se i ricavi generati da questi eventi basteranno a coprire le spese. Visot che molto spesso la risposta è no, ormai è prassi comune cercare di ridurre i costi. E, al tempo stesso, presentare questi eventi come “verdi”, rispettosi dell’ambiente. Per anni, le Olimpiadi invernali che si svolgeranno a Cortina nel 2026 hanno sollevato polemiche e discussioni. C’è chi ha parlato dei problemi legati alla decisione di ripristinare la storica pista da bob “Eugenio Monti” di Cortina d’Ampezzo. Polemiche dal punto di vista ambientale (per recuperarla e renderla utilizzabile è stato necessario tagliare pezzi di foresta). Ma anche economico: il primo bando di gara per la realizzazione dei lavori era andato deserto (a luglio 2023). Alla fine, si é andati avanti. Ma secondo alcuni dati, il progetto sarebbe costato molto di più del previsto: 118,4 milioni di euro, praticamente il 50% di più degli iniziali 81,6 milioni di euro previsti nel bando di ricostruzione.
Ora sembra che la pista sia pronta, ma in realtà non lo è ancora: è stato semplicemente avviato il processo di pre-omologazione, con circa 150 tra atleti, tecnici e allenatori della Federazione Internazionale di Bob e Skeleton impegnati nei test di sicurezza e performance. La vera conclusione dei lavori è prevista per il mese di novembre. E anche in questo caso ci si è buttati sul verde: per completare le strutture accessorie si è fatto ricorso a soluzioni ecocompatibili, come tetti verdi e percorsi in “ghiaino delle Dolomiti”. Ormai è prassi usuale, quando si presenta la candidatura per un evento come questo, parlare di sostenibilità. Come per le Olimpiadi di Parigi del 2024. Anche per quell’evento sono stati spesi miliardi di euro. A volte per opere inutili e insostenibili. Come la pulizia del fiume che attraversa Parigi: presentata con grande clamore mediatico, non sarebbe servita a molto molti (molti gli atleti che hanno presentato problemi di salute dopo essersi immersi nelle acque del fiume). O i letti di cartone che hanno costretto alcune quadre a dormire altrove (alcuni dei nostri atleti pluri-medagliati del nuoto sono stati fotografati mentre dormivano nel prato fuori dagli alloggi).
Quello di cui raramente si parla è che questi eventi hanno un costo anche dal punto di vista sociale. Anche per Parigi è stato così. E sarà così anche per le Olimpiadi invernali di Cortina. Tra le misure previste per mitigare l’impatto logistico e sulla viabilità, organizzatori e autorità hanno concordato di costringere gli studenti delle scuole superiori delle aree coinvolte alla didattica a distanza (DAD). A stabilirlo sarebbe la nota diffusa dall’Ufficio Scolastico Regionale (USR) della Lombardia che ha deciso che, dal 6 al 22 febbraio 2026, la continuità didattica potrà essere assicurata anche attraverso il ritorno a normative pandemiche per “ragioni logistiche e di sicurezza” (di chi?).
Una decisione niente affatto indolore che riaccende le polemiche su un modello didattico che ha mostrato tutti i suoi limiti formativi, sociali, pedagogici e psicologici durante la pandemia del 2020/22. Per un lungo periodo gli alunni sono stati costretti a ricorrere a questi strumenti. Solo dopo ci si è resi conto che questa decisione aveva prodotto danni non indifferenti, non solo sul livello di apprendimento e sul benessere psico-fisico degli studenti. È emerso che aveva acuito disparità dal punto di vista sociale: non tutti gli alunni erano stati in grado di dotarsi dei mezzi per seguire le lezioni in DAD. Ma in quel momento non c’erano molte alternative. Ora la situazione è diversa. Ora si tratta di una scelta non di una necessità. E per alcuni il rischio non sarebbe il contagio da un virus, ma ledere l’interesse di chi pensa che prima di tutto viene lo sport. Anzi lo spettacolo.
Poco importa, quindi, se si abbattono alberi secolari che nessuno vedrà più ricrescere. Poco importa se centinaia, migliaia di studenti avranno conseguenze rilevanti per il loro apprendimento (oltre che per i rapporti sociali). L’unica cosa che conta sarà accendere al TV e vedere un po’ di sport. Una forma di spettacolo (al di là della valenza agonistica e Sportiva – con la S maiuscola – della competizione) che genera giri di miliardi di euro di affari in pubblicità e altro. Uno spettacolo in cui tutto deve apparire perfetto. Apparire non essere.
Quanto è avvenuto in Brasile una decina d’anni fa è un esempio. Nel 2014, in occasione dei mondiali di calcio, le autorità “ripulirono” le strade e i quartieri di alcune metropoli cacciando con la forza i ninos de rua, i bambini di strada che sono tantissimi in questo paese. Obiettivo neanche tanto nascosto fornire in TV un’immagine del paese diversa da quella reale. La decisione scatenò mille polemiche. Nel 2015, il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia pubblicò un documento nel quale accusava le autorità brasiliane di usare la forza ripulire dai ninos de rua le maggiori città, anche in vista delle Olimpiadi del 2016. Alcuni consulenti dell’ONU, Gehad Madi e Sara Oviedo, dissero che, in Brasile, queste politiche non erano una novità come si era visto proprio in occasione dei mondiali di calcio del 2014. A cambiare era stato solo il modus operandi. Ma lo scopo era sempre lo stesso: “migliorare” l’immagine del territorio ed attirare manifestazioni internazionali.
A distanza di oltre un decennio la situazione non sembra essere cambiata molto: di fronte al desiderio di non “disturbare” certi eventi mediatici, i minori non sono più una priorità. E per evitare che possano “dare fastidio”, meglio che restino a casa. A studiare in DAD.