
[fonte foto: lentepubblica.it]
I media sembrano sempre più concentrati su alcune notizie. Spesso, però, “dimenticano” di informare i propri lettori circa altri avvenimenti non meno importanti. Per questo abbiamo deciso di fare un breve riepilogo delle notizie a nostro avviso degne di attenzione (e di discussione) ma che non sono state diffuse. A cominciare da alcune notizie che riguardano direttamente tutti gli italiani.
Ad esempio, pochi hanno detto che nel 2024 si è registrato un aumento impressionante dei fallimenti. Le aziende che hanno chiuso i battenti definitivamente sono passate da 7.848 nel 2023 a 9.194 nel 2024. A confermare questo incremento del 17,2% rispetto all’anno precedente (che aveva già segnato un aumento preoccupante del 9,8% rispetto al 2022) è stato l’Osservatorio Procedure e Liquidazioni di Cerved. Un dato che fornisce un quadro preoccupante di un’economia vittima di costi energetici alle stelle, congiunture sfavorevoli e mercati altalenanti. Ma soprattutto che non riesce a far fronte al calo del potere d’acquisto dei consumatori nazionali.
Anche di questo si è scritto poco. Eppure i segnali d’allarme non sono mancati. Un recente studio di Eurostat evidenzia il divario tra gli stipendi netti medi nei paesi OCSE, considerando il potere d’acquisto reale. L’Italia occuperebbe l’ultimo posto tra le grandi economie europee. I dati sono stati elaborati utilizzando il Purchasing Power Standard (PPS), un’unità di misura che permette di confrontare il potere d’acquisto tra diversi paesi. Secondo gli autori dello studio, nel 2023, lo stipendio netto medio di un single senza figli nell’Unione Europea è stato di 27.500 PPS, mentre in Italia si ferma a circa 24.000 PPS, segnando un divario del 15% rispetto alla media UE. Lontana la Svizzera al vertice della classifica con oltre 47.000 PPS. Ma anche molti paesi UE hanno mostrato un potere d’acquisto elevato. I Paesi Bassi (38.000 PPS), il Lussemburgo, l’Austria e la Germania (34.900 PPS). Questo significa che mediamente lo stipendio di un lavoratore tedesco è maggiore di quello di un italiano. E non di poco: del 45%. Lo stesso dicasi per i salari francesi (maggiori del 18%). Maggiori stipendi significa anche maggiore potere d’acquisto e quindi maggiori stimoli per l’economia locale. Al contrario, stipendi bassi e al di sotto del costo della vita significano impoverimento.
A proposito di povertà, nessuno ha detto che, secondo i dati ISTAT, in Italia il numero di persone in condizioni di povertà assoluta ha raggiunto livelli impressionanti. I dati ISTAT parlano per il 2023, di poco più di 2,2 milioni di famiglie vivevano in povertà assoluta (l’8,4 per cento del totale delle famiglie residenti in Italia). Quasi 5,7 milioni di individui (il 9,7 per cento del totale degli individui residenti) di cui 1,27 milioni minorenni (con una percentuale maggiore nelle regioni più povere: mediamente sono il 13,4 per cento della popolazione sotto i 18 anni, ma nelle regioni del Mezzogiorno questa percentuale sale fino al 15,9 per cento). A confermare questa situazione anche il WeWorld Index Italia 2025, che ha analizzato la condizione di donne, bambine, bambini e giovani. Secondo le ultime stime, oggi, in Italia, un minore su quattro è a rischio di povertà o esclusione sociale. Dal rapporto presentato al Senato alla fine del 2024, emerge che in Italia il 29,9 per cento dei minori vivono in regioni con uno scarso accesso ai diritti fondamentali. Un problema che non è una novità, come ha ammesso Martina Albini, coordinatrice Centro Studi WeWorld: “Il Rapporto non è inedito, è collegato al ChildFund Alliance World Index”, che misura le condizioni di vita di donne, bambini e bambine in 157 paesi. Nello studio, “le regioni sono classificate su una scala da 0 a 100, solo otto raggiungono la sufficienza. Un dato allarmante è che quasi il 30 per cento delle donne e dei minori vive in regioni con un’implementazione minima dei diritti. Le disuguaglianze territoriali sono marcate: le migliori condizioni sono al Nord e al Centro, mentre al Sud cinque regioni hanno un livello insufficiente”, ha detto la Albini.
Problemi noti, quindi, ma dei quali si parla poco e si fa ancora meno. Forse invece che spendere decine di miliardi di euro in armi e armamenti made in USA (come ha promesso la premier in visita negli Stati Uniti d’America) o impegnarsi a destinare il 2% del PIL al settore della difesa (da chi?) sarebbe stato meglio spendere questi soldi per aiutare le fasce più deboli della popolazione.
Ma di questo non si parla mai. Ormai di certe notizie si parla poco. Forse anche per il timore di non cadere nel ridicolo. In un un documento inviato recentemente alla Commissione europea e alla sua presidente Ursula Von der Leyen, il governo italiano ha definito la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina “imperativa e prevalente per l’interesse pubblico”. Non solo per ragioni economiche o di protezione civile, ma soprattutto per motivazioni geopolitiche e militari: per “il passaggio di truppe e mezzi della NATO”. Una mossa “strategica”. Ma non per la difesa bensì per scavalcare tutti i vincoli che finora non hanno consentito la realizzazione di quest’opera di dubbia utilità. Inserire il ponte nel Military Mobility Action Plan dell’UE (il piano per facilitare il movimento rapido delle forze armate in Europa) consentirebbe di classificarlo “opera strategica militare” e quindi di ottenere le deroghe ambientali che finora hanno impedito la sua realizzazione. Naturalmente di questo i media non hanno detto molto così come non hanno parlato delle preoccupazioni presentate dal Comitato No Ponte che esprimendo preoccupazione, ha pubblicato un comunicato nel quale si fa (giustamente) notare che, in caso di conflitto, “il ponte sarebbe un facile obiettivo/bersaglio da colpire e distruggere”. Di queste (e molte altre) notizie i media non hanno parlato (o hanno detto poco). Eppure su di esse ci sarebbe molto da dire…e da scrivere.