Il governo ha rivisto alcune misure da finanziare con i fondi del PNRR. Tra le decisioni che fanno riflettere anche quella di non finanziare più l’installazione di colonnine di ricarica per auto elettriche e di utilizzare questi fondi per favorire l’acquisto di auto M1. Una decisione che fa riflettere e che avrebbe dovuto aprire un lungo dibattito. Ma così non è stato. Il motivo della decisione di eliminare le agevolazioni per le colonnine di ricarica non è chiaro: in Italia sono ancora troppo poche. Secondo il report MOTUS-E, sarebbero poco più di 19mila i punti di ricarica pubblici per veicoli elettrici per di più distribuite in modo incredibilmente disomogeneo: il 58% circa delle colonnine si trova nel Nord Italia, il 22% al Centro e il 20% nel Sud e nelle Isole. Con 5.971 punti di ricarica (16% del totale nazionale) è la Lombardia la regione dove sarebbe più facile utilizzare un’auto elettrica. Seguono Piemonte e Veneto (11% ciascuna), Lazio ed Emilia-Romagna (10% a testa) e poi la Toscana (8%). Poche, troppo poche, le colonnine di ricarica per auto completamente elettriche nelle altre regioni. Specie al Sud e sulle isole. Nell’ultimo periodo si è cercato di porre rimedio a questa situazione. In Sicilia si è passati da 620 a 1.618 punti. In Sardegna i punti di ricarica sono passati da 530 a 1.275. E in Campania da 430 a 1.184. Ma certo non è sufficiente.
Una situazione che potrebbe essere frutto di una scelta politica ben precisa: basti pensare che, lo scorso anno, il budget destinato dalla Regione Sicilia al programma di incentivi per l’acquisto di auto elettriche e ibride, ammontava alla stratosferica cifra di 94mila euro. Pochissimi per una regione che conta oltre cinque milioni di abitanti: secondo alcuni, basterebbe a finanziare l’acquisto di non più di una ventina di auto elettriche, un numero insignificante di fronte al numero di potenziali acquirenti. In queste condizioni parlare di mobilità “full electric” appare ridicolo. Anche in altri paesi europei la situazione appare impietosa. In Francia, mediamente si contano solo 11,5 punti di ricarica ogni 100 veicoli elettrici circolanti. Ancora meno (8,2) in Germania e nel Regno Unito (8,9) (dati 2023). A questo si aggiungono altre due aspetti. Il primo riguarda la possibilità di avere colonnine “private”, ovvero realizzate all’interno delle abitazioni: anche queste sono pochissime (rispetto al parco auto) e certamente non sufficienti a soddisfare la domanda se, come ha imposto democraticamente la Commissione europea, tra qualche anno dovrebbero circolare solo auto full electric ovvero completamente elettriche. Una scelta che in molti paesi non è stata accolta bene. Casualmente proprio quelli dove hanno sede grandi aziende produttrici di auto. Multinazionali con un passato prospero che vedono a rischio il proprio futuro. Non solo per il calo delle vendite (secondo alcune stime il mercato delle auto avrebbe perso quasi il 19% in cinque anni, ma anche per la concorrenza sempre più agguerrita di Stati Uniti e Cina. Se le auto prodotte in Cina sono ormai una realtà in tutti i mercati europei – Italia inclusa -, l’altalena dei dazi made in USA appare sempre senza senso (a meno che non sia frutto di una volontà di speculare in borsa).
A questo si aggiunge che le auto che potrebbero beneficiare grazie alla modifica al PNRR non saranno del tutto “verdi”. I 597 milioni di euro di incentivi prevedono la sostituzione di 39 mila veicoli a combustione interna con autoveicoli di “categoria M1”, entro il 30 giugno 2026. Ma tra i veicoli di categoria M1 non ci sono solo veicoli full electric: ci sono anche le cosiddette ibride e addirittura auto a motore endotermico tradizionale (purché rispettino certi livelli di emissioni). Inoltre, i benefici saranno accessibili solo per l’acquisto di un’automobile nuova e con limitazioni legate all’ISEE degli acquirenti. Ma non basta. Il contributo è previsto anche per quanti (persone fisiche) acquisteranno e installeranno sul proprio veicolo, di categoria M1 con classe ambientale non inferiore a Euro 4, un impianto di alimentazione a GPL o metano. Peccato che, secondo un rapporto di Transport & Environment che nel 2020 ha raccolto le ultime ricerche disponibili, i veicoli a gas naturale compresso (GNC) oltre ad essere nocivi per l’ambiente, rilascerebbero un gran numero di particelle pericolose, associate a cancro, Alzheimer e malattie cardiache e respiratorie. Eppure, in Italia, i veicoli a gas sono considerati “a basse emissioni”, e se ne incoraggia l’acquisto con incentivi e agevolazioni fiscali.
Al problema legato alla difficoltà di ricaricare le auto full electric per la mancanza di colonnine si aggiungerebbero, quindi, seri dubbi circa gli effettivi benefici per l’ambiente contenuti in questa misura. Alla fine, a beneficiare di questi contributi saranno soprattutto le aziende automobilistiche (molte delle quali in crisi) e le compagnie petrolifere (che continuerebbero a vendere combustibili fossili pagati a prezzi folli visto l’embargo dei combustibili provenienti dalla Russia). Un cambio di rotta, quello proposto dal governo, che servirà poco all’ambiente. E che, di sicuro, renderà l’Italia schiava dei combustibili fossili ancora per molti decenni.