
[Autore foto: Torrini – fonte foto: swissinfo.ch]
Firenze, tra gli anni ’70 e ’80. Nelle colline che incorniciano romanticamente la culla del Rinascimento, una serie di delitti agghiaccianti ha trasformato paesaggi di pace in luoghi dell’orrore. Otto duplici omicidi compiuti tra il 1968 e il 1985 da un ignoto assassino o, secondo alcuni, un gruppo organizzato. Il movente? Forse sadismo, forse ritualità, forse denaro. Nessuno può dirlo con certezza. La certezza è una sola: il Mostro di Firenze esiste, e ha segnato per sempre la memoria collettiva di un Paese intero. Il primo duplice delitto, quello di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, venne inizialmente archiviato come un delitto passionale. Colpevole il marito della donna, Stefano Mele, condannato a 14 anni. Ma nel 1982, una svolta inquietante: i bossoli rinvenuti sulla scena erano identici a quelli usati nei successivi delitti attribuiti al Mostro. Un dettaglio che retroattivamente apriva la porta a una verità molto più oscura: forse quel delitto non era un caso isolato, ma il primo tassello di un mosaico dell’orrore. Dal 1974 al 1985, altre sette coppie, tutte appartate in auto in luoghi isolati, vennero uccise con la stessa pistola: una Beretta calibro 22 Long Rifle con proiettili Winchester “H”. Lo schema era sempre lo stesso. L’uomo veniva ucciso per primo, la donna veniva trascinata fuori, colpita con arma da taglio e, in alcuni casi, mutilata nei genitali e nel seno sinistro. Alcuni esperti hanno parlato di “modus operandi rituale”, tanto era meticolosa la scena. Sempre nei fine settimana, con luna nuova o cielo coperto. L’assassino si muoveva nell’ombra, con tempismo chirurgico. Nessuno lo vide mai. Ma tutti cominciarono ad averne paura. L’impatto sulla popolazione fu devastante. Coppie che prima si appartavano in campagna smisero di farlo. I genitori iniziarono a concedere maggiore intimità domestica ai figli pur di tenerli al sicuro. Firenze cambiò volto: la paura si fece costume. Nessuno usciva più di notte senza un valido motivo. Il Mostro era diventato parte della vita quotidiana, un incubo collettivo senza nome né volto.
Le indagini furono un susseguirsi di depistaggi, arresti errati e confessioni discutibili. Tra i principali indiziati: Pietro Pacciani, un contadino di Mercatale noto per precedenti violenti e un passato oscuro. Arrestato nel 1993, fu condannato in primo grado ma assolto in appello. Morì nel 1998 prima del nuovo processo, lasciando un alone di mistero che neanche la Cassazione seppe dissipare. In seguito vennero condannati i cosiddetti “compagni di merende”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, quest’ultimo reo confesso. Ma il processo fu controverso: nessuna prova fisica li collegava ai delitti. Nessuna impronta, nessun DNA. Solo testimonianze incerte, contraddittorie.

[Pietro Pacciani]
La pistola del Mostro non è mai stata trovata. Nemmeno i bisturi usati per le mutilazioni. E soprattutto non è mai stato chiarito se ci fosse un movente occulto. Alcune piste investigavano un collegamento con ambienti esoterici, riti di magia nera o addirittura traffico di feticci sessuali destinati a collezionisti. Indagini condotte anche dalla procura di Perugia, ma senza riscontri oggettivi. Resta il mistero, alimentato anche da lettere anonime e testimonianze scomparse.
Dopo oltre quarant’anni, il caso è ancora irrisolto. La cronaca giudiziaria ha dato alcune risposte, ma non tutte. Restano le domande, l’ombra di un assassino mai identificato, e la sensazione che in questa storia si siano mosse forze più grandi di un singolo killer. Il Mostro di Firenze non è solo un criminale: è un simbolo del lato oscuro dell’Italia contemporanea. Di verità nascoste, giustizia imperfetta, e paura collettiva.
Ipotesi Zodiac: Joe Bevilacqua tra le ombre del Mostro di Firenze
Due enigmi, due mostri, due sponde dell’Atlantico e forse un solo volto: quello di Joseph “Joe” Bevilacqua, ex direttore del Cimitero Americano di Firenze, italo-americano nato a Totowa, New Jersey, nel 1935 e deceduto nel 2022. È lui il protagonista – controverso, oscuro, elusivo – dell’inchiesta condotta dal giornalista freelance Francesco Amicone, che nel 2018 ha acceso i riflettori su una teoria destinata a scuotere le fondamenta di due delle più celebri e irrisolte saghe criminali del Novecento: quella del Mostro di Firenze e quella dello Zodiac Killer.
La tesi è di quelle che non possono non far discutere: Zodiac e il Mostro di Firenze sarebbero la stessa persona, e quell’uomo avrebbe vissuto per oltre un decennio a pochi passi dai luoghi dei delitti toscani. Joe Bevilacqua, che nel 1994 fu chiamato a testimoniare al processo contro Pietro Pacciani, si trovava all’epoca dei fatti proprio in Toscana, direttore del Cimitero Americano situato a poche centinaia di metri dalla scena dell’ultimo omicidio attribuito al Mostro. Secondo Amicone, l’ipotesi non nasce da suggestioni ma da una serie di elementi inquietanti e circostanziati. Nel 2017, dopo aver stretto un contatto personale con Bevilacqua, il giornalista avrebbe ottenuto dall’ex militare una confessione non registrata in cui l’uomo avrebbe ammesso la propria responsabilità tanto nei delitti del Mostro quanto in quelli dello Zodiac. A detta di Amicone, Bevilacqua si sarebbe addirittura detto disposto a costituirsi e ad affidare a un avvocato la pistola del Mostro, una calibro .22 Long Rifle mai ritrovata.
Questa rivelazione spinse Amicone a presentare una denuncia formale ai Carabinieri di Lecco il 1º marzo 2018. Le autorità, però, accolsero l’informazione con scetticismo, e nel giugno dello stesso anno la Procura di Firenze fece trapelare alla stampa la propria decisione di non procedere in assenza di elementi oggettivi, sottolineando l’assenza di una registrazione della presunta confessione. Le indagini giornalistiche di Amicone portano alla luce un passato militare fitto di ombre. Bevilacqua avrebbe servito per oltre vent’anni nell’esercito americano, svolgendo attività sotto copertura per la Criminal Investigation Division. L’uomo avrebbe dichiarato di aver operato proprio a San Francisco negli anni dell’attività di Zodiac, facendo anche riferimento all’inchiesta “Khaki Mafia” – una rete di corruzione e crimini nell’esercito statunitense che coinvolse alti ufficiali.
Nel maggio 2018, Amicone svela queste informazioni alla magistratura italiana, aggiungendo che Bevilacqua mentì al processo Pacciani, dichiarando di non conoscere l’imputato, salvo poi contraddirsi davanti ai Carabinieri del ROS durante una nuova audizione a casa propria. Non mancano, nell’inchiesta, elementi più simbolici. Tra questi la “Water Theory”, secondo cui sia Zodiac che il Mostro avrebbero scelto luoghi vicini all’acqua per firmare i loro crimini. Gli omicidi del Mostro, ad esempio, si sono verificati tutti nei pressi di fiumi, pozzi o falde acquifere. Nell’ultimo delitto di Scopeti, due bidoni con il marchio “Acquabet” furono utilizzati per occultare i cadaveri: un dettaglio che per Amicone sarebbe una firma deliberata.
E ancora: la parola “acqua” compare più volte nei ritagli di giornale usati per comporre le lettere inviate dal Mostro. Lo stesso Bevilacqua, secondo il giornalista, avrebbe nascosto messaggi cifrati nei testi di Zodiac in cui apparirebbero riferimenti espliciti al proprio nome e cognome – “Bevilacqua” – suggerendo una volontà narcisistica e criptica di svelarsi. Nel 2020, la Procura di Siena ottiene un campione di DNA di Bevilacqua nell’ambito dell’indagine sull’omicidio della tassista Alessandra Vanni. Il confronto è negativo, ma quel profilo genetico non viene condiviso con le autorità americane. Soltanto nel novembre 2023, Amicone – autorizzato per indagini difensive – decide di inviarlo direttamente ai detective statunitensi che si occupano del caso Zodiac.
La reazione, secondo quanto rivelato nell’ultima puntata del Pulp Podcast condotto da Fedez e DJ Marra, non si fa attendere: la polizia californiana si rivolge alla Procura di Firenze, spingendo per la riapertura delle indagini. Un elemento che accende di nuovo i riflettori sul caso proprio mentre Francesco Amicone viene condannato per diffamazione nel dicembre 2024 per aver sostenuto pubblicamente – senza prove “oggettive”, secondo il giudice – la colpevolezza di Joe Bevilacqua.
Bevilacqua, oltre ad aver abitato a soli 400 metri dalla piazzola di Scopeti, aveva riconosciuto nel 1994 le vittime nei giorni precedenti all’omicidio. Una circostanza che lo pose sotto i riflettori già allora, ma che venne considerata frutto di coincidenze. Eppure, come nota l’esperta Valeria Vecchione, una delle lettere inviate all’epoca conteneva coordinate geografiche che portavano esattamente a quel luogo, un dettaglio che difficilmente poteva conoscere chiunque, in assenza della tecnologia moderna. Non solo: secondo una testimonianza ricevuta da Vecchione nel 2023, un medico fiorentino avrebbe raccolto la confessione di un paziente ricoverato anni prima che ammise di aver ucciso la sua prima moglie e di essere il Mostro. Il nome che emerge da questo racconto è ancora quello di Bevilacqua. Se Zodiac è tuttora senza volto, e se sul Mostro di Firenze aleggia da decenni il sospetto che Pacciani e i suoi “compagni di merende” non fossero i soli responsabili, questa teoria ha il pregio – o l’azzardo – di unire i puntini tra le due storie. Oggi, con una nuova indagine aperta a seguito della richiesta americana e con il DNA finalmente confrontato, la figura di Joe Bevilacqua si staglia nel cuore della cronaca nera italiana e americana come una delle ipotesi più affascinanti, inquietanti e divisive della storia investigativa contemporanea. E se fosse davvero lui? Se a distanza di decenni il killer fosse stato sotto gli occhi di tutti, travestito da testimone e protetto dall’impunità dell’ambiente militare e diplomatico? Una domanda che oggi, più che mai, sembra pretendere una risposta.