In Italia, nel 2025, si può ancora discutere se l’educazione sessuale debba entrare in aula o restare fuori dai programmi scolastici. Un paradosso che non ha nulla di astratto, ma grava ogni giorno sulla crescita di milioni di adolescenti. In assenza di un percorso formativo strutturato che affronti affettività e sessualità, si è ormai affermato un modello alternativo, potente e silenzioso: quello della pornografia. E non si tratta di una minaccia futura, ma di un dato già consolidato.
Due articoli recenti confermano con chiarezza questa deriva. Il primo, pubblicato su demografica.adnkronos.com, racconta dell’emendamento approvato in Commissione Cultura alla Camera, proposto dalla deputata Giorgia Latini, che vieta qualsiasi forma di educazione sessuale prima dei 13 anni e introduce il consenso informato dei genitori per gli studenti delle scuole superiori. Il secondo, firmato da Marianna Vazzana su ilgiorno.it, documenta le conseguenze dirette di questo vuoto educativo: la campagna #HackingThePorn, che coinvolge creator del mondo hard per interrompere i video pornografici con brevi inserti informativi realizzati da un sessuologo. Un tentativo estremo di supplire l’assenza dell’educazione sessuale nelle scuole, attraverso strumenti non convenzionali.
Il rischio è ormai evidente: la pornografia sta diventando la “classe parallela” in cui molti giovani iniziano a costruire la propria idea di corpo, intimità e relazione.
“L’idea che l’educazione sessuale porti necessariamente verso i temi Lgbtqia+ è quantomeno grottesca” afferma il pedagogista Daniele Novara nell’articolo di Adnkronos, commentando le motivazioni politiche che hanno ispirato l’emendamento. Una preoccupazione che, secondo lui, si traduce in “una situazione imbarazzante”, che impedisce la costruzione di percorsi educativi simili a quelli presenti in gran parte dell’Europa.
L’istituzione scolastica, che dovrebbe fungere da spazio neutrale, protetto e autorevole, viene limitata proprio nel momento in cui sarebbe fondamentale agire. Il testo normativo in questione vieta ogni proposta educativa sulla sessualità nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, demandando ogni eventuale intervento all’approvazione delle famiglie. Ma qui emerge una criticità profonda: secondo i dati dell’Osservatorio Giovani e Sessualità 2025 di Durex, citati nell’articolo, “quasi la metà (49%) degli adolescenti non parla mai di sesso o contraccezione in famiglia”. E il 9,8% dichiara di aver avuto il primo rapporto sessuale prima dei 13 anni. Come si può, alla luce di questi numeri, continuare a sostenere che certe tematiche siano premature?
Intanto, i siti pornografici — come sottolinea ancora Novara — “gongolano nel loro business, ormai prevalentemente rivolto proprio ai ragazzini”, veicolando un’immagine della sessualità come performance e del corpo femminile come oggetto, non soggetto.
In questo contesto, c’è chi ha scelto di intervenire con metodi alternativi. Come racconta Il Giorno, la campagna #HackingThePorn lanciata dal magazine Loveby nasce proprio per “sensibilizzare le persone sulla scarsità di educazione sessuale in Italia”.
Alcuni noti performer del mondo adulto hanno accettato di caricare video che verranno interrotti da brevi messaggi del sessuologo Livio Ricciardi, con l’obiettivo di spiegare che “si tratta di finzione e non di verità, che la sessualità non è solo quella che passa dai video e che i content creator non sono educatori”.
È un’azione creativa e provocatoria, che intercetta i ragazzi “nel momento stesso in cui accedono ai contenuti espliciti”, come spiegano gli organizzatori. Ma pur nella sua intelligenza comunicativa, l’iniziativa segnala un fallimento collettivo: siamo arrivati al punto di utilizzare la pornografia come strumento educativo, per colmare un vuoto che nessuno ha ancora affrontato con responsabilità.
Questa situazione dimostra con forza quanto sia importante ripensare il ruolo della scuola e delle istituzioni nel processo educativo. L’idea che basti affidare tutto alla responsabilità dei genitori è una semplificazione che non regge alla prova dei fatti. Nella mia esperienza sul campo — fatta di incontri in numerose scuole italiane con adolescenti e preadolescenti — ho riscontrato spesso un profondo senso di isolamento nei ragazzi, e un forte imbarazzo nei genitori, che non sempre hanno mezzi, parole e contesti per affrontare certi argomenti in modo sereno.
Per questo è fondamentale proporre un modello scolastico che includa un’équipe di professionisti: esperti in sessuologia, psicologia evolutiva, comunicazione e media education. Figure capaci di affiancare docenti e famiglie in un percorso continuativo. A questa visione, si aggiunge la necessità di istituire una vera “Scuola per Genitori”, che offra strumenti e formazione per sostenere il ruolo educativo familiare in una società sempre più complessa.
L’educazione ai sentimenti, che da anni porto avanti come prospettiva culturale e sociologica, non può essere considerata una “materia facoltativa”. È il fondamento di una crescita equilibrata. Significa aiutare i ragazzi a comprendere sé stessi, ad ascoltare le emozioni, a costruire rapporti basati sul rispetto reciproco, sull’empatia e sull’accettazione della diversità.
Il sociologo Zygmunt Bauman ci ha ricordato che viviamo in una “società liquida”, in cui tutto cambia velocemente e i legami diventano instabili. In un simile contesto, privare le nuove generazioni di supporti emotivi e relazionali significa lasciarle esposte a modelli distorti, spesso violenti e incapaci di rappresentare la realtà.
Ma c’è un dato che deve farci riflettere e al tempo stesso alimentare la speranza. Secondo l’Osservatorio Maturità 2024 ScuolaZoo, riportato nell’articolo di Adnkronos, “1 studente su 2 avrebbe voluto studiare educazione affettivo-sessuale, e il 52% ritiene che la scuola non stia preparando davvero alla vita e al futuro”. È la dimostrazione che i giovani non solo sono pronti, ma desiderano un’educazione che parli di ciò che vivono, delle sfide che incontrano ogni giorno, delle trasformazioni interiori che attraversano.
Serve ascolto, non negazione. Servono competenze, non moralismi. Serve il coraggio di riconoscere che l’educazione sessuale non è strumentalizzazione, ma prevenzione, salute, cittadinanza, dignità.
Ogni volta che evitiamo di parlare apertamente di relazioni, corpo e intimità, lasciamo che a farlo siano piattaforme, algoritmi, contenuti inadatti. È una scelta culturale che ha conseguenze enormi sul futuro di un’ intera generazione.
Ma esiste un’alternativa. Possiamo decidere di costruire una scuola capace di formare, non solo di istruire. Una comunità educativa che metta al centro i valori, la consapevolezza, la responsabilità affettiva. Un’alleanza concreta tra docenti, famiglie e professionisti che non lasci indietro nessuno. Non è una battaglia ideologica. È una sfida educativa. E vale la pena di affrontarla.

