
[foto: NATO – Ringraziamenti: NATO
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In volo sull’Air Force One di ritorno dall’Aia dove si è tenuto il vertice NATO, il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump ha risposto alle domande di alcuni giornalisti. A chi gli chiedeva del rispetto dell’articolo 5 del Patto Atlantico (che prevede la difesa di un membro dell’Alleanza atlantica in caso venga attaccato), Trump ha risposto che “dipende”. “Ci sono più definizioni di quell’articolo, lo sai vero? – ha aggiunto – Mi impegno a essere amico di quei leader, sai, sono amico di molti di loro”. Una risposta che sembra quella di uno scolaretto che non ha fatto i compiti.
In realtà, l’articolo 5 del Patto Atlantico è uno solo: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali”.
Questo però significa che alcuni media hanno “dimenticato” di dire diverse cosette. La prima è che gli USA, ovvero Trump (visto che ormai decide tutto lui senza passare dal Congresso), non possono “scegliere” se aiutare leader “amici” o no: dovrebbero correre in soccorso di tutti i paesi membri della NATO. Questo vuol dire che anche la dichiarazione rilasciata qualche settimana fa da Trump, nella quale annunciava che gli USA non sarebbero intervenuti nel caso in cui uno degli Stati europei venisse attaccato, sarebbe una violazione del Patto Atlantico.
Quanto, alla decisione di costringere gli Stati europei a portare la spesa per la NATO al 5% del PIL, anche qui Trump l’ha sbandierata come una sua vittoria. Dopo aver ricevuto un messaggio “privato” del segretario generale della NATO Mark Rutte che lo ringraziava per aver spinto l’Europa all’aumento della spesa militare fino al 5% del PIL, Trump non solo si è precipitato a sbandierare il messaggio “privato” di Rutte, ma ha esultato dicendo che “L’Europa pagherà, e sarà una mia vittoria”. Non c’è da sorprendersi: ormai di tutto quello che aveva promesso in campagna elettorale e subito dopo l’insediamento al potere, ha mantenuto ben poco.
A spegnere gli entusiasmi la notizia che è arrivata a Trump, rima ancora di arrivare negli USA. Qualcosa era andato storto: “La Spagna ha detto di non essere d’accordo” con la decisione di portare le spese per la difesa al 5% del PIL, ha tuonato Trump ancora sull’aereo presidenziale. E ha minacciato di alzare i dazi contro la Spagna….
Secondo i dati diffusi a dicembre 2024 dalla Camera dei Deputati (aggiornati al report del 17 giugno 2024) solo 23 paesi su 31 avevano superato la soglia del 2%, già ritenuta da molti un limite. Oltre agli Stati Uniti (3,38%), Polonia (4,12%), Estonia (3,43%), Lettonia (3,15%), Grecia (3,08%), Lituania (2,85%), Finlandia (2,41%), Danimarca (2,37%), Regno Unito (2,33%), Romania (2,25%), Macedonia del Nord (2,22%), Norvegia (2,20%), Bulgaria (2,18%), Svezia (2,14%), Germania (2,12%), Ungheria (2,11%), Repubblica Ceca (2,10%), Turchia (2,09), Francia (2,06), Paesi Bassi (2,05%), Albania (2,03%), Montenegro (2,02%) e Slovacchia (2,00%). L’Italia è poco sotto l’1,5%. Secondo i tecnici del governo (alzi la mano chi lo ha sentito dire ad un TG), il calcolo di questa percentuale “non è comparabile con analoghe valutazioni svolte in ambito nazionale, europeo ed internazionale e ciò in quanto, come evidenziato anche nel Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa relativo al periodo 2022/2024, il complessivo volume finanziario preso in considerazione in ambito NATO (ovvero il cosiddetto budget della Difesa in chiave NATO) viene individuato sulla base di parametri e criteri propri dell’Alleanza, affinché, nell’ambito della c.d. Defence Planning Capability Survey, i dati finali siano omogenei e quindi comparabili con quelli di tutti i Paesi appartenenti all’Alleanza stessa”. Le spese per la difesa in ambito NATO
A questo si aggiunge che passare dall’1,5% (o dal 2%) al 5% non è affatto facile. Per nessuno dei governi europei, non solo per la Spagna. Come ha detto recentemente alla Camera, il responsabile di AVS Bonelli, significa svendere “la sovranità italiana al complesso militare-industriale. La proposta di Rutte prevede il 3,5% del PIL per spese militari e un altro 1,5% per spese “collegate”, come la cybersicurezza”. Per farlo, ci vorrebbero132 miliardi di euro. Con quei soldi, secondo Bonelli, “potremmo ricostruire la sanità pubblica, aumentare gli stipendi, mettere in sicurezza le scuole, salvare vite umane e affrontare davvero la crisi climatica”. “Ma Meloni preferisce spendere in F-35, basi militari e cacciabombardieri. È questa la sua idea di Italia: uno Stato armato, povero e diseguale”. “L’Italia ha bisogno di giustizia sociale, non di missili”, ha concluso.
Il problema (ma anche di questo i media non hanno parlato) è anche dove trovare questi soldi. Non è un caso se l’Italia e altri Stati hanno chiesto di posticipare la scadenza del tetto del 5% al 2035 e di eliminare l’obbligo di aumentare le spese dello 0,2% annuo. Richieste analoghe sono arrivate alla NATO da Belgio, Canada e Portogallo: anche questi paesi hanno sottolineato le difficoltà economiche che dovrebbero affrontare per rispettare gli obiettivi di spesa. Dove dovrebbe trovare, l’Italia, i soldi per compare centinaia di miliardi di euro in armi e armamenti? Non è chiaro. Di sicuro c’è che continua la svendita dei gioielli di famiglia da parte del governo italiano: l’ultima ad essere stata messa in vendita è Plenitude controllata al 90% da ENI. Nei giorni scorsi, è stato firmato un accordo con il fondo statunitense Ares Management per la cessione del 20% delle azioni di Plenitude, per un valore di circa due miliardi di euro (ENI ne aveva già venduto il 10% al fondo d’investimento svizzero Energy Infrastructure Partners EIP). Una cessione che, secondo i vertici aziendali, rientrerebbe nella “strategia” di sviluppo del “modello satellitare” di ENI.
In realtà, la svendita di parti d’Italia rientra in una tendenza a privatizzare parti di società strategiche per la sicurezza nazionale che va avanti da diversi governi. Anche con il governo Meloni. Pur mantenendo quote di maggioranza in alcune compagnie chiave, il governo ha approvato la privatizzazione di parti di società importanti, alcune addirittura tutelate dal cosiddetto Golden power (in italiano “poteri speciali”). Aziende vendute in parte a compagnie straniere, anche grazie all’intervento di finanziarie statunitensi (c’è ancora chi pensa che nelle foto che ritraevano Trump e la premier finite su tutti i giornali, i due stessero contrattando per l’eliminazione dei dazi – sono sempre lì – o la pace in Ucraina – non se ne parla più – o la pace nella Striscia di Gaza mentre Israele continua a bombardare).
Tra le parole che non hanno scritto, il fatto che queste svendite potrebbero avere ripercussioni politiche e geopolitiche non indifferenti, dato che verrebbero condivisi dati sensibili, e della possibilità di permettere ad azionisti stranieri di influenzare le decisioni di queste compagnie. La cosa più divertente è che durante la campagna elettorale, Fratelli d’Italia aveva sempre dichiarato di essere contro le privatizzazioni (anche quando era all’opposizione). Poi, una volta al governo, ha ammesso senza giri di parole che l’obiettivo è quello di ricavare 20 miliardi in tre anni dalla vendita di quote di società pubbliche. Per cosa? “Fare cassa”. Ma non per aiutare gli italiani (oggi sono più di 5 milioni gli italiani in povertà estrema). No, per comprare armi e armamenti da chi ne produce così tante che deve fare continuamente guerra a qualcuno per non fallire.