
Mikhail Bulgakov (1891-1940)
Michail Afanas’evič Bulgakov è senza dubbio una delle figure più affascinanti e controverse della letteratura russa del Novecento. La sua carriera, segnata da una vita tormentata e da una costante lotta con il regime sovietico, si traduce in una produzione letteraria ricca di opere intrise di satira, ironia e critica sociale, in particolare nei confronti delle contraddizioni e dei fallimenti del sistema staliniano.
Nato il 15 maggio 1891 a Kiev, in una famiglia russa ortodossa e culturalmente radicata, Bulgakov cresce in un ambiente che inizialmente lo orienta verso la spiritualità e l’integrità morale. Suo padre, Afanasij Ivanovič Bulgakov, era docente di storia e critica delle religioni, mentre sua madre, Varvara Michajlovna Pokrovskaja, contribuiva alla formazione di un’intelaiatura familiare solida e impegnata nella cultura. Tuttavia, l’educazione che Bulgakov riceve nella sua infanzia e adolescenza, pur essendo marcata dalla religiosità, diverrà solo una fase transitoria, destinata a evolvere in una visione del mondo sempre più complessa, plasmata dall’inevitabile conflitto con il regime sovietico.
Il percorso di Bulgakov come scrittore si intreccia inevitabilmente con la tumultuosa storia della Russia del primo Novecento, in particolare con la Rivoluzione d’Ottobre e la successiva guerra civile. Dopo aver conseguito la laurea in medicina nel 1916 e aver lavorato come medico in una zona rurale della Russia, la sua esperienza diretta con il dolore, la miseria e la sofferenza umana fornisce al giovane scrittore una preziosa base per le sue prime opere letterarie. I racconti di un giovane medico, pubblicati negli anni successivi, rispecchiano il suo drammatico incontro con la condizione umana, tra scienza e realtà disorganizzata, e mettono in luce la disillusione che accompagnerà tutta la sua carriera letteraria.
Con la fine della guerra civile, Bulgakov si trasferisce a Mosca nel 1921, dove il suo spirito inquieto e la sua penna provocatoria lo spingono a intraprendere un percorso difficile all’interno della letteratura sovietica, lottando contro la censura e le difficoltà economiche. L’opera che lo consacra come scrittore di spicco, La guardia bianca, testimonia la sua scelta di schierarsi con gli sconfitti della guerra civile, una posizione che lo metterà in contrasto con le autorità sovietiche, ma che evidenzia la sua critica al nuovo ordine politico. Tuttavia, è con Uova fatali che Bulgakov dà vita a una delle sue riflessioni più caustiche sulla scienza, sulla politica e sul futuro della Russia.
Scritto nel 1925 e ambientato tra il 1928 e il 1929, Uova fatali è un romanzo di fantascienza che esplora, in modo inquietante e grottesco, le implicazioni di una scienza manipolata dalle forze politiche. Il protagonista, il professor Vladimir Ipat’evic Persikov, è uno zoologo che scopre casualmente un raggio rosso capace di accelerare la proliferazione e l’aggressività degli organismi vivi. Quella che inizia come una scoperta scientifica innocente diventa presto un potente strumento di distruzione, quando un funzionario sovietico senza scrupoli, Aleksandr Semënovič Rokk, decide di utilizzare il raggio su delle uova di gallina, in un tentativo di risolvere una crisi agricola causata da una moria di pollame. L’esito disastroso degli esperimenti, che porta alla creazione di enormi e violente creature, diventa la metafora di una Russia in cui la scienza, invece di essere un mezzo per il progresso, si trasforma in un’arma di autodistruzione.
Il racconto è chiaramente una critica feroce al sistema sovietico, che nella sua smania di modernizzazione e controllo spesso si ritrova a manipolare la scienza senza un’adeguata comprensione delle sue potenzialità e dei suoi limiti. Bulgakov, con il suo stile ironico e grottesco, mette in evidenza le contraddizioni di un regime che pretende di avere il controllo assoluto sul destino della scienza, ma che, in realtà, crea solo caos e distruzione. La figura di Rokk, un burocrate che agisce senza scrupoli e senza alcuna conoscenza adeguata della scienza, è una parodia della classe dirigente sovietica, che cerca di utilizzare la scienza come strumento di potere, senza comprenderne la complessità.
Nel romanzo, la scienza non è più vista come una forza redentrice o liberatrice, ma come una forza pericolosa, una forza che, nelle mani sbagliate, può condurre a conseguenze catastrofiche. La scoperta di Persikov, il “raggio rosso”, è una metafora della fiducia cieca che il regime staliniano ripone nella tecnologia e nella scienza, senza una visione critica dei pericoli insiti in tali poteri. È un avvertimento contro l’arroganza di un sistema che, pur rivendicando il potere di cambiare la natura umana e sociale, non ha la capacità di prevedere o controllare le proprie azioni.
Anche la figura di Persikov, il brillante scienziato che scopre il raggio ma non riesce a fermare la sua distruzione, può essere letta come una rappresentazione della lotta di molti intellettuali e scienziati sotto il regime sovietico. Nonostante le sue scoperte, egli non ha alcun controllo sulla direzione in cui il suo lavoro viene utilizzato, e alla fine ne paga le conseguenze. L’opera di Bulgakov suggerisce un’amara riflessione sulla condizione dell’intellettuale nella Russia sovietica: pur possedendo un’intelligenza straordinaria e una profonda comprensione delle leggi della scienza, l’individuo è impotente di fronte alla burocrazia e all’autoritarismo del regime.
In parallelo alla critica alla scienza, Bulgakov dipinge anche un quadro disincantato del sistema politico sovietico. Le risate amare che scaturiscono dalle situazioni grottesche e dalle assurdità burocratiche mettono in luce l’incapacità del regime di risolvere i problemi reali del paese. La descrizione del sovchoz “Raggio Rosso”, dove un apparato burocratico senza cuore gestisce esperimenti scientifici con l’intento di risolvere una crisi agricola, diventa il simbolo di un sistema che, in nome del progresso e della collettivizzazione, non fa altro che esacerbare la sofferenza della popolazione.
Inoltre, l’uso del raggio rosso come metafora del potere di trasformazione del regime sovietico, che si impone come una forza capace di rimodellare la natura umana e la società, è un ulteriore riferimento all’arroganza del potere staliniano. Come il raggio che rende le creature più forti e più aggressive, così il regime sovietico cercava di plasmare la società a sua immagine, ma senza tener conto delle conseguenze devastanti di tale ingegneria sociale.
Uova fatali è un’opera che si distingue nel panorama letterario russo per la sua capacità di mescolare elementi di fantascienza, satira sociale e riflessione filosofica. Bulgakov, con il suo stile ironico e il suo approccio grottesco, non solo racconta una storia di scoperta scientifica e disastro, ma traccia anche un quadro critico e profetico della Russia sovietica. La sua critica alla scienza, alla burocrazia e al potere è universale e ancora oggi risuona come un monito contro la tentazione di utilizzare il progresso tecnologico e scientifico come strumento di dominio, senza considerare i limiti morali e sociali delle nostre azioni.